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E i tedeschi programmano il futuro industriale

Il problema di creare una dimensione industriale europea competitiva a livello globale esiste. Ma la soluzione non è imporre il modello tedesco all’Europa, quanto ragionare in un’ottica europea e investire in modo massiccio sulle tecnologie strategiche.

La ricetta tedesca

C’è un tema di cui si comincia a parlare in vista delle elezioni europee di maggio: quello della politica industriale europea e del suo rapporto con la politica della concorrenza, uno dei capisaldi della Unione europea. Ad agitare le acque sono, da un lato, la nuova strategia industriale tedesca, annunciata agli inizi di febbraio da un documento del ministro dell’Industria Peter Altmaier, e, dall’altro, la bocciatura della fusione fra la francese Alstom e la tedesca Siemens a opera della commissaria europea alla concorrenza, Margrethe Vestager.

Con la sua Nationale Industriestrategie 2030 Altmaier propone le linee guida della politica industriale tedesca ed europea nei prossimi anni. Il contesto è rappresentato dalla sfida mondiale lanciata dalla Cina nelle tecnologie chiave del futuro, in primo luogo l’intelligenza artificiale. Una sfida alla quale rispondono gli Stati Uniti, forti dell’appoggio del presidente Trump, e che vede l’Europa recitare un ruolo più da inseguitore che da protagonista, come dimostra il fatto che nessuna impresa europea compare tra le prime venti società tecnologiche mondiali contro le undici americane e le nove cinesi. La risposta alla duplice minaccia, cinese e americana, deve venire – secondo Altmaier – dal rafforzamento del peso dell’industria, che dovrebbe raggiungere il 25 per cento del Pil in Germania (dall’attuale 23,4) e il 20 per cento in Europa, e da un ruolo più attivo dello stato attraverso:

  • il controllo di tutti gli anelli della catena del valore, possibilmente riportandoli all’interno della Germania;
  • la difesa di ogni posto di lavoro nei settori industriali, vecchi e nuovi;
  • il rafforzamento delle Pmi, in particolare delle medie aziende più specializzate;
  • la costruzione di campioni nazionali, in quanto “le dimensioni contano” se si vuole competere con i giganti stranieri;
  • l’ingresso temporaneo, in casi estremi, dello stato nel capitale delle imprese strategiche a rischio di acquisizione estera, prevedendo la creazione di un fondo anti-scalate;
  • il ricorso, se necessario, a interventi statali per “compensare gli effetti negativi della concorrenza”, ripristinando condizioni di parità su prezzi dell’energia elettrica, importo delle imposte sulle società, contributi sociali.
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Forzando la tradizione ordoliberale della politica economica tedesca, che risale a Ludwig Erhard, il ministro del miracolo economico, Altmaier propone un modello in cui lo stato può intervenire nell’economia se si manifesta una minaccia esterna. Ciò ha forti implicazioni anche per la politica industriale europea in quanto può comportare:

  • la revisione della dottrina degli aiuti di stato e della concorrenza;
  • la possibilità di concedere aiuti temporanei in settori di elevata innovazione;
  • il contrasto al dumping e all’abuso di posizione dominante;
  • “l’incoraggiamento” delle aggregazioni industriali nei settori in cui servono grandi dimensioni per competere.

 

La questione della concorrenza in Europa

Il Rapporto del ministro tedesco è stato presentato mentre, contemporaneamente, a Bruxelles veniva bocciata l’ipotesi di fusione tra il colosso delle ferrovie francesi e la divisione ferroviaria della Siemens, che avrebbe creato un gruppo da 15 miliardi di fatturato destinato a competere con la cinese Crrc nel settore dei treni e dei servizi ferroviari. “Non vediamo arrivare i cinesi”: con queste parole Vestager ha dichiarato illegittima la fusione perché altererebbe la concorrenza all’interno del mercato europeo a danno dei consumatori. Sia Altmaier che il collega francese Bruno Le Maire hanno criticato la decisione, su cui per ora non possono intervenire. Ma lo scontro è rimandato al dopo-elezioni, quando i governi tedesco e francese torneranno alla carica per rivedere le norme europee in materia di concorrenza.

Indubbiamente il problema di creare una dimensione industriale europea competitiva a livello globale esiste. Oggi le imprese europee si misurano con concorrenti che spesso godono di sussidi nazionali, falsando la concorrenza. Si tratta però di capire con quali strategie e quali strumenti affrontare la sfida. La ricalibrazione delle regole europee può essere utile, ma in generale non sono raccomandabili né l’uso improprio di sussidi né l’imposizione di fusioni dall’alto. La strada da seguire è un’altra. Quella di investire massicciamente nelle tecnologie strategiche su cui si gioca la competizione globale attraverso gli investimenti, pubblici e privati, la ricerca pura e applicata, la maggiore sinergia tra imprese e università realizzata attraverso commesse e progetti comuni. Occorre in altre parole far crescere di più il mercato unico europeo anche in settori in cui per il momento siamo svantaggiati, attraverso la cooperazione fra i paesi dell’Unione. E soprattutto non imporre, come propone Altmaier, il modello tedesco all’Europa, ma ragionare veramente in un’ottica europea, tenendo conto delle sinergie che si possono instaurare fra gli apparati industriali dei paesi dell’Unione e impegnando l’Europa nelle grandi sfide industriali, energetiche, ambientali che hanno un impatto non solo sulle imprese, ma anche sulla vita dei cittadini. Non è proprio di questo che si sente tanto la mancanza nel Vecchio continente?

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Il Punto

  1. Henri Schmit

    Aggiungerei solo che tutto questo esiste già, ma fra Germania e Francia. 40 anni fa erano ancora diffidenti, per esempio quando Thomson intendeva comprare Grundig e i Tedeschi l’hanno accompagnata verso Philips. Ma poi si è instaurato un rapporto di sempre maggiore fiducia di cui (a giudicare dai commenti giornalistici e politici) l’opinione in Italia non è minimamente consapevole. L’approccio comune per cambiare le regole europee sulla concorrenza e ridefinire il concetto di posizione dominante è un segnale chiaro. La questione trattata dall’autore esperto è quindi di sapere come entrare in quel club, ispirando fiducia (che si mette decenni, numerose legislature, a creare e un attimo, un solo governo, a distruggere) e offrendo reciprocità, un’ambizione piuttosto difficile con le tradizionali ipoteche politiche e di relazioni internazionali del paese. Quindi analisi condivisibile, forse non completa ( non tiene conto del tandem), ma “vaste tâche!” – la vedo male e lunga.

  2. Marco Locatelli

    Bellissima analisi, che tocca punti fondamentali per il futuro dei Paesi dell’Europa. Triste vedere come in Italia un piano industriale a media scadenza non si senta da anni e che le questioni qui toccate non vengano nemmeno sfiorate. Ancora più disarmante è vedere come ancora oggi i paesi dell’Unione ragionino ancora come corpi separati, pronti a difendersi non solo da giganti esterni, ma anche dai vicini europei. Così facendo, molto velocemente, finiremo per essere il vaso di coccio tra USA e Cina, nonostante una competenza diffusa di altissimo livello.

  3. Giuseppe Fumagalli

    La visione di politica industriale tedesca per il futuro denota chiaramente la differenza con il nostro Paese, tutto preso a contemplarsi l’ombelico ponendosi problemi inconsistenti e certifica il gap che non potrà che aumentare. Per quanto riguarda l’ostilità UE alla fusione Alstom-Siemens, consiglio di leggere quanto scritto dal prof. Giulio Sapelli, che alle conoscenze economiche unisce una rara esperienza industriale per le collaborazioni sul campo, ad es., con Eni, ottima nave scuola: bolla senza mezzi termini l’ostilità come pura miopia.

  4. bob

    a questo Paese come al solito fa comodo non avere memoria e senza conoscere e analizzare la propria Storia non si va da nessuna parte…! Ci dimentichiamo chi hanno messo a fare i Ministro delle Riforme? Mai come in questi ultimi 40 anni la commedia all’italiana è stata “travasata” dalla trama di un film alla vita reale. La Germania nel 1970 in piena crisi con l’aiuto decisivo fondamentale di un Italiano impostò il progetto ( non la costruzione di un auto , un progetto) della Golf auto rivoluzionaria attuale anche adesso. Di rimando l’ Italia si invento la ” patacca” Arnia – Alfa Sud “fallimentare progetto” tipico di un Paese furbo, abituato a vivere di espedienti, un Paese mistificatore di dati e informazioni. Questo esempio basta a far capire la differenza dei due Paesi

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