Se il Regno Unito lascerà la Ue senza un accordo, i commerci tra le due aree avverranno in base alle regole del Wto. E i dazi ricadranno anche sui beni intermedi importati per essere poi riesportati. Cambieranno le scelte di localizzazione produttiva?

La possibilità di una Brexit senza accordo

Dopo il voto di gennaio dei parlamentari britannici contro l’accordo di recesso concordato dai negoziatori, è difficile fare previsioni su quale sarà il regime per gli scambi commerciali tra il Regno Unito e l’Unione europea dopo il 29 marzo. Non si può escludere la possibilità che Londra esca dalla UE con un “no deal”, accentuando la preoccupazione per gli effetti di un innalzamento di barriere commerciali, anche alla luce dell’alto grado di integrazione produttiva raggiunta dalle due aree attraverso le “catene internazionali del valore”. Più del 40 per cento degli scambi di beni tra la UE-27 e il Regno Unito deriva infatti da produzioni frammentate tra le due economie. Una così elevata integrazione produttiva amplificherebbe l’effetto di nuovi dazi sulle imprese e in ultima istanza sui consumatori, perché i dazi si cumulerebbero tante volte quante i beni attraversano la Manica.

Analizzare le interconnessioni tra paesi e settori non è comunque semplice: le statistiche tradizionali di commercio estero non forniscono un’adeguata rappresentazione dei legami di domanda e offerta tra paesi. Un recente lavoro calcola una misura del costo dei flussi commerciali tra il Regno Unito e i paesi dell’Unione europea, tenendo conto dell’intera struttura delle catene del valore che legano le due aree. L’ipotesi di base è che gli scambi, attualmente senza alcuna barriera tariffaria, siano regolati dalle norme dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), dunque soggetti ai dazi che oggi l’Unione europea impone ai paesi con i quali non intercorrono accordi commerciali, secondo lo schema tariffario noto come clausola della “nazione più favorita” (most favoured nation). Nel lavoro si ricostruisce una matrice tariffaria, con dettaglio di settore e caratteristica d’uso del bene (consumo finale o intermedio), che consente di stimare i costi derivanti dall’introduzione dei dazi, quantificando l’effetto di amplificazione attribuibile alla frammentazione produttiva tra le due sponde della Manica.

L’impatto cumulato dei dazi lungo le catene del valore

Dall’esercizio emerge un impatto cumulato dei dazi sui costi di produzione molto più elevato per le imprese manifatturiere britanniche, dove i costi totali (per gli input di produzione interna e importati) salirebbero in media di circa 0,9 punti percentuali, mentre quello sui costi delle imprese dell’Unione europea sarebbe invece trascurabile (0,1 per cento; tavola 1). Il risultato deriva dal fatto che nel Regno Unito, circa un quinto degli input del settore manifatturiero provengono dall’Unione europea, mentre solo l’1,5 per cento degli input europei è importato dal Regno Unito. L’effetto è particolarmente marcato in alcuni settori (in primo luogo, quello degli autoveicoli) e varia molto tra paesi, secondo la loro specializzazione settoriale. Per l’Italia, sarebbe nel complesso trascurabile.

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Tabella 1 – Effetti complessivi sui costi totali di produzione dovuti all’introduzione di dazi (in percentuale sui costi totali, interni e importati)

Dazi diretti e indiretti sui flussi commerciali tra Ue e Regno Unito

I dazi medi che verrebbero imposti sulle importazioni della Ue e del Regno Unito nel settore manifatturiero e in alcuni specifici comparti sono riportati nelle tavole 2 e 3: l’incremento dei costi tariffari sui beni britannici importati dalla Ue è pari a 4,3 punti percentuali, di cui circa un decimo riconducibile alle catene del valore. Al contrario, nel caso dei beni europei importati dal Regno Unito, l’effetto amplificazione dovuto ai legami produttivi con la Ue è trascurabile.
Per il Regno Unito i costi tariffari diretti sarebbero maggiori che per la Ue perché le importazioni britanniche dall’Unione si concentrano in settori che sarebbero soggetti a dazi particolarmente elevati, come alimentari e autoveicoli. Nel complesso, gli effetti diretti prevalgono su quelli indiretti. Questo spiega perché i dazi totali, diretti e indiretti, sarebbero in media di quasi 2 punti percentuali più alti per gli importatori britannici che per quelli europei.

Tabella 2 – Dazi diretti e indiretti sulle importazioni della Ue dal Regno Unito (in percentuale sul valore delle importazioni)

Tabella 3 – Dazi diretti e indiretti sulle importazioni del Regno Unito dalla Ue (in percentuale sul valore delle importazioni)

Dall’analisi si desume che i costi tariffari indiretti sono rilevanti per gli importatori europei, assai meno per quelli britannici. I produttori europei utilizzano impianti produttivi localizzati nel Regno Unito più di quanto facciano quelli britannici in Europa: nelle importazioni europee dal Regno Unito la quota di valore aggiunto prodotta nella stessa Ue e reimportata è di circa il 9 per cento, mentre per le importazioni del Regno Unito dalla Ue la quota di valore aggiunto britannico è di appena il 2 per cento. Di conseguenza, l’amplificazione dei costi tariffari dovuta al fatto che i beni attraversano la Manica più volte incide di più sui produttori europei. Come mostrato in figura 1, l’ammontare dei costi tariffari indiretti è correlato positivamente alla quota del commercio connessa alle catene di fornitura tra le due economie. Nel lungo periodo, questo potrebbe indurre le imprese dell’Unione Europea e quelle di altri paesi, come il Giappone, che utilizzano impianti nel Regno Unito per raggiungere il mercato europeo, a spostare alcune fasi produttive attualmente in territorio britannico verso altre destinazioni.

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Figura 1 – Quota del commercio tra Regno Unito e Ue connessa a catene del valore e costi tariffari indiretti (in percentuale)

Il grado di “resistenza” delle esportazioni all’introduzione di dazi

Dal lato delle esportazioni, il lavoro mostra che la quota di scambi commerciali “indiretti” tra i paesi della UE e il Regno Unito, cioè di flussi di beni che attraversano la Manica dopo essere transitati in altri paesi dell’Unione, è pari a circa il 20 per cento del totale, in entrambe le direzioni. Con una così elevata quota di scambi “indiretti”, nonché la forte intensità dei legami produttivi all’interno dell’Unione europea, i nuovi dazi genererebbero costi non necessariamente evidenti alle imprese produttrici di questi beni. Ad esempio, i produttori italiani che esportano verso la Germania beni destinati al mercato britannico sarebbero penalizzati comunque, per effetto delle barriere tariffarie introdotte nelle fasi più a valle di produzione o commercializzazione.
In altre parole, il percorso delle esportazioni verso la destinazione finale è un aspetto rilevante: un tragitto indiretto dei beni tra Regno Unito e un paese membro della UE implica costi che, pur non immediatamente percepiti dagli esportatori, rappresenterebbero il 25 e il 22 per cento dei costi tariffari totali necessari per raggiungere l’altro mercato.

* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire agli autori e non investono in alcun modo la responsabilità dell’istituzione di appartenenza.

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