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Europa in cerca di una strategia comune verso la Cina

La firma italiana al Memorandum of Understanding con la Cina ha mosso le acque anche in Europa. Si intravede ora la possibilità di quella posizione comune che finora è mancata, ma che è l’unica strada per ottenere risultati concreti e duraturi.

La posizione dell’Italia

La firma del controverso Memorandum of Understanding (MoU) bilaterale con la Cina ha portato l’Italia al centro dell’attenzione di tutto il mondo, nonché di un’ondata di forti critiche arrivate soprattutto dalla Commissione europea e dagli Stati Uniti. Percepita come mossa divisiva sia a Bruxelles sia a Washington, quella firma potrebbe avere conseguenze dannose sull’importanza (non sulla posizione, come giustamente ha sottolineato il Presidente Mattarella nel suo discorso ufficiale di fronte al Presidente Xi) dell’Italia in Europa e nella Nato. Il MoU ha infatti una portata che travalica – e di molto – le relazioni bilaterali: è una importante mossa geopolitica che la Cina ha compiuto nell’ambito dei suoi rapporti complessivi con l’Occidente.

A prescindere dai risultati commerciali concreti che l’Italia potrà ragionevolmente ottenere, che per il momento non sono chiari, è auspicabile che il Memorandum appena firmato diventi l’occasione per contribuire attivamente alla costruzione di una nuova posizione europea. È infatti improbabile che un singolo paese, benché grande e importante come l’Italia, possa pensare di migliorare significativamente, da solo, gli squilibri di potere e di forza economica con la Cina di oggi. Solo con un approccio comune sarà possibile trarne benefici concreti e duraturi, tanto più che i pochi accordi siglati sono peraltro avvenuti nell’ambito del parallelo Business Forum Italia-Cina, già attivo da anni, ben prima che si parlasse della cornice politica (e non giuridica, come invece ha affermato il Sole24Ore) del Memorandum of Undestanding.

Il MoU cambia l’atteggiamento dell’Italia nelle relazioni economiche e commerciali con la Cina in ambito europeo. Se finora era rimasta nei ranghi, subendo però le conseguenze dell’assenza di una posizione comune, ora ha mostrato di voler navigare da sola, illudendosi di poter recuperare la distanza che la separa dalla Germania e dalla Francia. Sia Berlino sia Parigi hanno sempre gestito molto bene i propri interessi economici con la Cina, senza troppo curarsi di quelli altrui e senza aspettare che un’eventuale – e finora improbabile – posizione comune emergesse in Europa: non l’hanno mai avallata perché non ne percepivano la necessità.

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Cosa è cambiato nella Ue

Oggi una volontà comune ancora non si vede, ma qualcosa è cambiato. Innanzitutto, la Commissione ha emesso un documento che introduce lo screening degli investimenti diretti in entrata dall’estero nell’UE, anche se solo nell’autunno del 2017, quando la Germania lo ha ritenuto necessario, dopo che le era stata soffiato dai cinesi Kuka, il suo gioiello della robotica. A quel documento l’Italia, con il lavoro di Carlo Calenda, aveva contribuito, chiedendo da tempo un fronte comune. Il 12 marzo scorso, poi, sempre la Commissione ha emanato un decalogo di azioni suggerite agli stati membri nelle loro relazioni con Pechino, sotto il nome significativo di China Strategy. Il decalogo include, tra l’altro, un riferimento esplicito alla necessità di salvaguardare da eccessive ingerenze cinesi i settori maggiormente strategici per gli stati membri, come quello delle telecomunicazioni. Non è difficile immaginare che il decalogo sia stato ispirato dall’imminente firma dell’Italia e questo può essere un primo effetto positivo della mossa italiana in prospettiva della definizione di una posizione comune europea. Finora, ha sempre stentato a emergere perché mentre i principali paesi europei preferivano curare individualmente i loro interessi in e con la Cina, Pechino tesseva con costanza e pazienza la sua tela nel resto dell’Europa, costruendo intese economiche e commerciali bilaterali con ormai 16 paesi in Europa centro-orientale, alcuni dei quali stati membri dell’UE, e allargando a macchia d’olio la sua influenza economica, divenuta al contempo politica. Influenza che ora sta abbracciando il sud dell’Europa: prima dell’Italia, la Grecia e il Portogallo hanno firmato un MoU, e Cipro potrebbe seguire. L’abile mossa di Emmanuel Macron di invitare Angela Merkel e il presidente della Commissione UE Jean-Claude Juncker a Parigi per incontrare Xi nei prossimi giorni segnala la volontà di innalzare il livello dell’incontro da bilaterale a comunitario, atteggiamento che potrebbe ispirare anche il governo italiano. Se davvero il MoU appena firmato, come hanno dichiarato alcuni esponenti del governo, ha lo scopo di impostare relazioni più efficaci con la Cina, allora sarà opportuno dialogare maggiormente con Bruxelles in vista dell’EU-China summit dei primi di aprile.

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Il summit sarà per l’Italia un’occasione unica e senza precedenti per dimostrare concretamente la volontà di restare nel quadro delle relazioni e delle politiche europee. E per la Commissione, insieme ai due maggiori stati membri – Germania e Francia – sarà l’occasione per dimostrare davvero di voler perseguire una strategia comune verso la Cina al di là dei decaloghi, evitando in tal modo che il fascino dei capitali cinesi coinvolga altri stati membri, piccoli e grandi, e che il futuro delle relazioni tra Europa e il gigante asiatico sia deciso più a Pechino che a Bruxelles.

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12 commenti

  1. Stefano Minardi

    Mi spiega il recente accordo tra Macron e XI Jinping? Non mi sembra si siano fatti problemi….

    • andrea

      nn è un accordo politico, come il MoU, ma un contratto x vendere 290 aerei “francesi” in Cina, senza contropartite (se nn, immagino, di trasferimento di tecnologia, e.g. x la manutenzione)

  2. Henri Schmit

    C’è un enorme equivoco. L’UE decide la politica doganale, ma non ha una politica commerciale (export e FDI). Ogni paese promuove 1. le sue aziende, i suoi prodotti, i suoi servizi e 2. l’investimento estero sul suo territorio. Il decalogo europeo di cui parla l’articolo rimane generico e non vincolante. La politica italo-cinese promossa dal SottoSegratario Geraci non ha nulla di scandaloso. Ma l’Italia gioca da perdente, sia sull’export (vendere servizi frazionati come il turismo, prodotti di consumo e macchinari sempre frazionati perché offerti dalle piccole imprese) alla Cina non regge il confronto con la vendita di auto e di aeri da parte di multinazionali. L’Italia sarebbe anche perdente sotto il profilo dei FDI perché non offre condizioni competitive (contesto giuridico e prospettive economiche), tranne per un investitore atipico, dominante (pubblico, che non segue una logica dell’IRR/TIR, ma una di dominio) come la Cina, o gli Stati del Golfo. Il paese “grande e importante”, ma anche debole (cf. sopra) e percepito più che mai come inaffidabile, non avendo delle carte credibili da giocare a Bruxelles (cioè a Parigi e a Berlino), è quindi costretto al doppio gioco e a giocare “sporco” , come da ruolo storico, amici di Trump ma anche di Putin, dell’UE e dei suoi avversari commerciali e politici. Questo fa tremare gli alleati tradizionali e gioire i partner anti-europei. Il contrasto non può che aumentare.

    • andrea

      l’UE ha eccome una politica commerciale, in particolare una strategia x il market access che dà I suoi frutti (anche con la Cina) + gli accordi che sono sempre più ricchi di riferimenti a questioni non-tariffarie (e.g. la Responsible Business Conduct)

      • Henri Schmit

        Ha ragione. Ma ho dovuto semplificare: non menziono le regole del Mercato comune (libero accesso di persone, prodotti e servizi, anti-trust, numerose regolamentazioni specifiche etc), diverse da quelle dell’Unione doganale e che dagli origini (e sempre di più) incidono sulla politica commerciale. Ma i punti decisivi (1+2 nel mio commento) sono di competenza nazionale. Quindi penso che la mia rappresentazione del quadro sia la più fedele alla realtà, soprattutto per comprendere quello che sta accadendo ora.

  3. Roberto Convenevole

    Ha ragione Stefano Minardi. Ieri mattina a Prima pagina di Rai Tre un professore di storia ha ricordato come negli anni 2016-18 Germania e Francia abbiano concluso privatamente importanti accordi commerciali con la Cina, lasciando all’Italia il vessillo dei diritti umani. Certo siamo stati anche sfortunati perché quando era presidente Napolitano la visita di Stato cinese venne interrotta in fretta e furia per via di una sommossa scoppiata al confine col Tibet; sicché una delegazione di 300 imprenditori cinesi tornò in patria senza avere incontrato gli omologhi italiani. Sarebbe interessante quantificare il mancato incremento delle nostre esportazioni nel periodo. La Cancelliera Merkel, che si considera superiore a Bismarck, sarà stata in Cina già 5 o 6 volte. Cerchiamo di muoverci anche noi. Altrimenti raccoglieremo solo le briciole degli altri.

    • bob

      la patetica sceneggiata ( Mattarella escluso) che si è consumata a Roma con la visita di Xi Jinping ha mostrato l’assenza totale di politica diplomatica di questo Paese. Una massa di cortigiani provenienti dal contado con polli e fiaschi di vino in mano ha trasformato quello che doveva essere un importante incontro tra Paesi in una misera platea di ” masanielli” con visione prospettica alla loro punta dei piedi. Lo spiega benissimo Riccardi qui ( https://formiche.net/2019/03/via-della-seta-vaticano-spadaro/ ) . La diplomazia non si inventa ! Anche se credo che l’ Europa unita dovrebbe affrontare questi rapporti diplomatici e non andare in ordine sparso, la notizia che Macron firma un accordo per 30 aerei come al solito ci pone alla berlina . Noi? Fiaschi di vino, polli, mele e una parata di personaggi locali ( scappati di casa) che invitano il cinese di turno nel proprio “agriturismo” . Le nozze con i fichi secchi non si fanno le figure meschine si.

  4. Gaudenzio

    30 anni fa sono stato in Cina per un anno a mettere in funzione impianti industriali e ho capito cosa sarebbe successo. Oggi quello che gli americani producono in un anno, ai cinesi basta un me se. Alleati ai francesi e ai tedeschi che sempre ti pugnalato alle spalle.questo non lo fanno. Mi fido più di loro. I cinesi

  5. Ezio

    Ogni critica a ciò che il governo ha fatto nei rapporti commerciali con la Cina è fuori luogo. La Francia ha fatto accordi per 40 miliardi di euro mentre noi ne abbiamo fatti per 2,5. Come sempre aspettiamo le briciole che ci lasciano Germania e Francia.

  6. gaudenzio

    Brlusconi, sempre alla ricerca di amici importanti, ha detto che la Cina è un nemico per fare contento Trump e subito Salvini si adegua disertando l’incontro coi cinesi. Gli americani sono in ritardo nelle più moderne tecnologie, anche militari, di anni. Non riusciranno a recuperare anche per mancanza del numero di ingegneri che servirebbero. Se ci accodiamo a loro, come sperano gli “Europei” resteremo tagliati fuori dalla modernità per sempre.

  7. bob

    “noi ne abbiamo fatti per 2,5”. Con le mele i polli e i fiaschi di vino cosa pensavi di fare. Per me non abbiamo neanche fatto 2,5 ma è un mio pensiero. Non è andato il “ministro” Salvini ma dalle sue parti sono andati pure i presidenti della Bocciofila

  8. Henri Schmit

    L’Italia ha difetti strutturali; semplifico: 1. PMI familiari vs. multinazionali; 2. Imprenditori capaci, governi incapaci (eccetto Geraci e azioni simili). Poi c’è una debolezza immateriale: la diffidenza causata gratuitamente da numerosi governi, da Berlusconi agli attuali capi-popolo. Il potere pubblico è troppo improvvisato, personale, aleatorio, imprevedibile, diverso dalle strutture stabili e solide di F e D. Nonostante il veleno sparso dalla stampa (estera) ostile, dai tempi di Giscard-Schmidt (fine anni 70 = da + di 40 anni), c’è un rapporto di fiducia, di cooperazione e di convergenza fra F e D, fra le loro politiche internazionali, fra ogni presidente e ogni cancelliere indipendentemente dalle loro appartenenze politiche. Numerosi altri governi in UE si allineano a questa benefica intesa. In Italia mancano le strutture che dietro i governi garantiscono continuità nella politica europea ed estera; manca una tradizione di rapporti di fiducia con i partner europei. L’Italia sembra inaffidabile: p.es. TAV bloccata e Alitalia ceduta a cordata nazionale poi agli emiri e ora a non si sa chi – pur di non farla gestire da AirFrance KLM che intendevano “portare passeggeri in F invece di turisti in Italia” (Sommella in tv un paio di settimane fa); in attesa di qualche brutta sorpresa di Finmeccanica in STX (che vende sommergibili nucleari all’Australia, ma è guidata da chi è nominato da Di Maio-Salvini)! Una strategia vincente deve prima superare questo gap = divergenze.

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