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Il gioco dell’oca di Theresa May

Il parlamento britannico ha di nuovo bocciato ogni possibile alternativa a Brexit. L’iniziativa torna ora a Theresa May, che però difficilmente potrà superare le divisioni all’interno del suo governo. E allora prende campo l’ipotesi di nuove elezioni.

Tutti i “no” del parlamento

Dopo il voto del 29 marzo 2017, in cui venne approvata la richiesta del Regno Unito di ritiro dall’UE secondo la procedura dell’articolo 50, la camera dei Comuni si è comportata come un cocciutissimo signor no: ha negato ogni proposta, per tre volte quella del governo e poi, ripetutamente, quelle degli stessi deputati, di ogni partito e di ogni atteggiamento verso la Brexit. No al trattato stipulato da Theresa May, no alla revoca unilaterale del ritiro, no al mercato comune, no al “no deal”, no a un nuovo referendum. Solo la settimana scorsa il parlamento ha detto “no” a otto proposte. Tutte ripresentate per il dibattito di lunedì 1° aprile (data adatta alla serietà della situazione), seppur ridotte a quattro dall’incorruttibile, inamovibile, tremendamente indipendente presidente della Camera, John Bercow. Rompendo, ancora, tutti i precedenti, i deputati hanno votato usando una scheda cartacea, invece che sfilare per uno dei due corridoi, quello del sì (aye) o quello del no (no).

Niente da fare. La camera, di nuovo, ha rifiutato tutte le alternative. Quella più vicina al successo – l’appartenenza all’unione doganale, presentata da Ken Clarke, ministro dell’Economia per Margaret Thatcher – è stata sconfitta, per soli tre voti, da una coalizione di brexitisti duri e pro-europei altrettanto inflessibili, per i quali la revoca dell’articolo 50 è l’unica opzione accettabile. Come in un colossale e umiliante gioco dell’oca, si ritorna ogni volta al punto di partenza. Il voto di lunedì era comunque puramente indicativo, una richiesta del parlamento al governo di cambiare posizione nelle trattative con la UE.

Cosa farà May?

L’iniziativa quindi torna, per ora, a Theresa May, che ha convocato un consiglio dei ministri cosiddetto politico, cioè senza i direttori dei ministeri, per decidere cosa fare. Se ottenesse l’appoggio di tutti i suoi colleghi, potrebbe tornare in parlamento per la quarta volta, ammesso che Bercow glielo permetta. In realtà, però, il consiglio dei ministri è diviso in tre gruppi, che si detestano cordialmente: i fedeli di May, i brexitisti duri e i pro-europei. È dunque altamente probabile che la proposta di trattato venga respinta o non messa ai voti. In questo caso, rimangono tre possibilità.

  • No deal: il governo non fa nulla, e il 12 aprile o il 22 maggio il Regno Unito cessa la sua quarantennale partecipazione alla comunità europea.
  • Il trattato è approvato, con sufficienti ammorbidimenti da diventare accettabile a un numero sufficiente di laburisti da compensare le defezioni dei brexitisti duri. il 22 maggio il Regno Unito esce dalla Ue.
  • Un rinvio lungo, che quindi impegna il Regno Unito a eleggere suoi deputati europei il 23 maggio prossimo. E si riparte da capo.
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Da due anni, Theresa May giura che ciascuna delle tre opzioni sarebbe un disastro per il paese: un primo ministro con un briciolo di dignità, costretta a scegliere tra queste alternative, si dimetterebbe. Da quando è entrata a Downing Street, però, May ha ampiamente dimostrato una completa assenza di dignità, quindi non è su questo che si devono basare le previsioni sulla sua permanenza al numero 10. È difficile fare scommesse sugli eventi politici, però una ipotesi si potrebbe azzardare. Visto il continuo e apparentemente solido vantaggio dei tory sui laburisti nei sondaggi elettorali, non sarei sorpreso se May chiedesse un lungo rinvio alla UE, motivandolo con la necessità di sciogliere il parlamento. Se poi vincesse in modo netto le nuove elezioni, si ritroverebbe in una posizione di enorme forza politica e potrebbe imporre il suo trattato al nuovo parlamento. Fantapolitica? Senza dubbio, ma è fantapolitica anche ciascuno degli altri immaginabili scenari.

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Populisti alla prova delle elezioni europee

  1. Savino

    Il gioco ipocrita del nascondino del popolo bue che prima vuole sovvertire l’èlite e, poi, fa lo struzzo.

    • LUCIANO PONTIROLI

      Il popolo, male informato, se non addirittura ingannato, aveva detto la sua. Adesso, viste le difficoltà emerse, sarebbe giusto ritornare alle urne, preferibilmente proponendo un nuovo referendum. Ma c’è da temere che i politici riuscirebbero a renderlo incomprensibile …

  2. Giorgio Quartesan

    May convincerà quella quarantina di laburisti? Sebbene il Labour sia apparso sempre più compatto, ne abbiamo viste tante, e potremmo vedere anche questa. Comunque andrà a finire, la questione dei sondaggi rende per me ancor più misterioso l’atteggiamento di Corbyn, che, dimmi se sbaglio, ha continuato fino ad oggi ad anteporre le elezioni anticipate ad ogni altro obiettivo e a mostrare, almeno così sembra, scarso o nullo interesse per Brexit in quanto tale, ovvero, non so se esagero, per le sorti del suo paese.

    • Gianni De Fraja

      Non lo dice quasi nessuno, ma gli eventi recenti continuano a farmi pensare che lo scoglimento della Camera dei Comuni sia la cosa più probabile. Jeremy Corbyn, Giorgio, deve continuare a dirsi convinto che Labour vincerà le elezioni, e potrà “liberare il paese dal flagello del governo May-DUP”. Nessun leader può dichiararsi disfattista. Per Madam May la scelta è dimettersi e passare alla storia come il peggior premier di tutti i tempi, umiliata e ridicolizzata sulla scena internazionale e vilipesa a destra e a sinistra, dall’uomo della strada e dalle élite nel paese, o un rischioso lascia o raddoppia: perdere un’elezione non la metterebbe in una posizione peggiore di quella in cui si trova adesso, e vincerla la renderebbe intoccabile dal suo partito e le permetterebbe di far accettare al paese la sua versione di Brexit.

  3. Henri Schmit

    Passate appena 24 ore l’articolo del bravo Gianni di Fraja sarebbe già da riscrivere! Non per colpa dell’autore, preciso e intererssante come sempre, ma per incapacità del governo (= PM, gabinetto e parlamento) di Sua Majestà. Che cosa succede ora, dopo il voto INCREDIBILE di ieri: per un voto i Comuni rifiutano il BREXIT senza accordo (il primo scenario dell’articolo)! Basta ora far approvare la stessa risoluzione nei Lords per renderla Legge. Questo significa (se non si mettono d’accordo entro una settimana su un BREXIT con Unione doganale o qualcosa di ancora impegnativo, cioè il secondo scenario dell’articolo) che (terzo scenario) gli Inglesi eleggeranno – forse insieme a una nuova Camera – i loro euro-deputati, che il processo di uscita rimarrà aperto per anni, e che probabilmente si dovrà far votare sul futuro accordo attraverso un referendum consultivo confermatorio che sceglierà fra quel accordo e il Remain! Evviva!

    • LUCIANO PONTIROLI

      In fondo, visto che il referendum consultivo indetto da David Cameron portò ad una affermazione di misura e che il mood sembra essere diverso, condivido l’esclamazione finale di H.S. Ma poi gli amici britannici dovranno ripensare il loro sistema istituzionale.

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