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Bollette luce e gas: quel “cap” a doppio taglio*

La maggior tutela formale dei consumatori non sempre corrisponde a una tutela sostanziale. A dimostrarlo sono le bollette di luce e gas nel Regno Unito: proprio il tetto ai prezzi ha finito per determinare un aumento per la maggior parte degli utenti.

Un tetto per le offerte a prezzo variabile

Dal 1° aprile le bollette di luce e gas di 15 milioni di consumatori britannici sono cresciute del 10 per cento. A farne le spese sono i clienti sotto Standard Variable Tariff (Svt), l’offerta a prezzo variabile applicata a coloro che non hanno mai cambiato fornitore dal momento della liberalizzazione dei mercati dell’energia elettrica e del gas naturale del 1999 o che hanno sottoscritto offerte nel frattempo scadute.

La peculiarità delle offerte a prezzo variabile, come la Svt, consiste nell’ancorare il prezzo del chilowattora alle dinamiche dei mercati all’ingrosso dell’energia elettrica. Pertanto, al variare dei prezzi wholesale dell’energia elettrica – per esempio per effetto dell’aumento dei prezzi di combustibili che alimentano gli impianti di generazione – varieranno i prezzi applicati sui mercati retail ai clienti che le hanno sottoscritte.

Il rincaro è conseguenza di un adeguamento al rialzo del cap amministrato da Ofgem, il regolatore britannico dell’energia.  Tale tetto venne introdotto nell’ottobre 2017 per impedire l’esercizio di potere di mercato da parte dei venditori nei confronti dei consumatori con contatori prepagati. La misura nasceva da un discusso procedimento della Competition & Markets Authority, l’antitrust britannico, il quale aveva accertato che le cosiddette Big Six (E.ON, Scottish Power, EDF Energy, SSE, npower, Centrica) sfruttavano la scarsa propensione dei clienti al cambio di fornitore per praticare prezzi eccessivi. Successivamente, una legge del 2017 ha esteso il tetto a tutte le tariffe Svt. Il tetto alla spesa annua è aggiornato semestralmente e ha carattere transitorio: dovrà rimanere in vigore sino al 2020 con possibilità di essere esteso non oltre il 2023.

Il limite, fissato per il primo semestre di applicazione a 1.137 sterline/anno, da aprile 2019 è cresciuto a 1.142 sterline/anno principalmente per effetto dell’aumento dei prezzi all’ingrosso dell’energia elettrica (74 sterline/anno), dovuto a dinamiche rialziste sui prezzi del gas, degli oneri per la copertura dei costi di distribuzione (+12 sterline/anno) e per l’incentivazione delle fonti rinnovabili (+14 sterline/anno).

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Le Big Six servono il 77 per cento del mercato retail elettrico e il 73 per cento di quello gas, che oggi contano, rispettivamente, 28 e 23 milioni di utenze complessive. I clienti con Svt rappresentano, in media, il 70 per cento della base clienti dei sei operatori. Secondo l’indagine della Competion & Markets Authority, i prezzi più alti avrebbero portato a un aumento della spesa annua per consumi elettrici dei clienti con Svt tra le 95 e le 205 sterline. Il tetto alla spesa annua fatturabile con le Svt è il risultato della fissazione di un cap al costo massimo del kWh (unit rate) e al costo fisso/giorno per attività di manutenzione (standing charge) che un operatore di mercato efficiente sostiene per la fornitura a un consumatore tipo (3.100 kWh/anno di consumi luce e 12.000 kWh/anno per il gas). Il tetto, inoltre, è definito in modo tale da permettere ai fornitori di conseguire un utile (massimo) prima delle tasse e degli interessi dell’1,9 per cento (l’Ebit, Earning before interests and taxes) e un margine ulteriore, pari all’1,46 per cento, per la copertura di eventuali oscillazioni non prevedibili dei costi sottesi alla determinazione del cap.

Conseguenze indesiderate

Prima del cap, le Big Six potevano variare i prezzi unilateralmente e senza vincoli, seguendo gli andamenti dei mercati wholesale (ferma restando la facoltà dei clienti di cambiare offerta o fornitore).

Il rincaro delle Svt sembra dimostrare, però, che l’Antitrust britannico avrebbe dovuto proteggere i consumatori, più che dal mercato, dal cap stesso e dalle sue conseguenze indesiderate. La prima è quella di agire come un benchmark verso cui gli operatori convergono a detrimento della concorrenza. La tabella 1 lo conferma: non solo i sei principali operatori praticano pressoché gli stessi prezzi, ma questi sono totalmente schiacciati sul cap fissato da Ofgem. È difficile dire se i prezzi osservati siano “giusti”, in primo luogo, per la natura amministrata della misura che, in parte, lascia discrezionalità al regolatore nel fissare il tetto. Se gli aggiornamenti in funzione dei costi wholesale, delle politiche ambientali e dei servizi di rete seguono parametri oggettivi, perché misurabili, diversamente accade per i margini che il regolatore fissa per assicurare un certo livello di profitti (1,9 per cento) e dare eventuale copertura a eventuali oscillazioni nei costi del servizio (1,46 per cento). Ciò che è certo è che il cap ha influito sulle strategie commerciali degli operatori i quali finiscono col coordinare le proprie offerte, limitando in ultima istanza la libertà di scelta dei consumatori, come riconosciuto dalla stessa Ofgem.

Il secondo effetto indesiderato riguarda l’inerzia dei clienti con Svt e da cui il cap intenderebbe proteggerli. La stessa Ofgem nota che il tetto al prezzo potrebbe scoraggiare il cambio di fornitore, stimandone un calo di quasi un terzo. Gli ultimi dati disponibili, relativi al quarto trimestre del 2018, mostrano che gli switch si sono ridotti di circa il 30 per cento nel mercato elettrico e il 28 per cento nel mercato gas. Una contrazione decisamente più ampia rispetto allo stesso trimestre dei tre anni precedenti (quando il cap non c’era).

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Ofgem ritiene che nonostante gli aumenti delle Svt, che per la natura variabile dell’offerta sono inevitabili quando i sottostanti seguono dinamiche rialziste, i consumatori britannici conseguirebbero comunque maggiori benefici rispetto a quelli che avrebbero ottenuto senza il tetto. Eppure, i primi risultati sull’attuazione della misura sembrano insinuare il dubbio che la maggior tutela formale non corrisponda a una tutela sostanziale.

Tabella 1 – Offerte Svt delle Big Six con decorrenza aprile 2019.

(Stima per famiglia con 4 persone in appartamento con 2 stanze da letto, fatturazione con domiciliazione bancaria).

Fonte: calcolo degli autori su dati citizen advice.

*Le opinioni espresse sono da intendersi a titolo personale e non riflettono necessariamente quelle delle organizzazioni con cui gli autori possono collaborare.

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Giù gli investimenti pubblici, ma è colpa di quali regole?*

  1. Savino

    Non c’è migliore tutela del modello concorrenziale, ma le informazioni devono essere più chiare ed è il cliente che deve essere posto al centro del sistema, con maggiore opzione di portabilità e con un’idea di consumo effettivo. L’utenza è del cliente, che non può accollarsi oneri aziendali o “oneri di sistema”, per cui, chi paga la bolletta lo fa anche per chi è moroso.

  2. micheledisaveriosp

    Le aziende più energivore appartengono a settori ad alta intesntià di capitale e non di lavoro. Danneggiano territori e ambiente senza un corrispondente ritorno di occupazione, indotto ebenessere diffuso. Pertanto, è giusto che paghino di più in prorporzione dei loro guadagni.

    L’energia è un servizio essenziale che uno Stato democratico deve garantire a chiunque, con continuità, ad un giusto prezzo. L’authority, in quanto persegue l’interesse pubblico (e non dlele Bis six di turno), ha il dovere di asicurare l’effettività di questi diritti.

    Il settore energetico è uno de’ pochi setotri dell’economia – e forse l’unico- nel quale i ritorni sono proporzionali agli investimenti. Gli investitori possono benissimo sostenere la perdita dell’extraprofitto nel mercato retail derivante dal differenziale fra la tariffa protetta imposta dall’authority e quella del libero mercato, favorevole a chi spreca e inquina.

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