Il governo pensa a due interventi nelle politiche per le famiglie: assegno per i figli e detraibilità della spesa per pannolini e latte in polvere. Coperture dubbie a parte, sarebbe meglio studiare una legge delega per riordinare tutto il sistema.
Due proposte per le famiglie
Sul tavolo del governo sono arrivate due proposte di intervento nel settore delle politiche per le famiglie: il decreto famiglia, presentato come provvedimento urgente dal vicepresidente del Consiglio e ministro del Lavoro Luigi Di Maio e un “pacchetto famiglia” sotto forma di due emendamenti al decreto crescita presentati dal ministro senza portafoglio con delega alla famiglia, Lorenzo Fontana.
La prima proposta, “nelle more di un riordino delle politiche a favore della natalità e per il sostegno alle famiglie con figli finalizzato alla semplificazione e unificazione degli strumenti esistenti”, mira alla costituzione di un Fondo per le politiche della natalità, da alimentare con le risorse che avanzano, quest’anno e in quelli futuri, dal reddito di cittadinanza (articolo 1, comma 2 della bozza di decreto). Il Fondo serve per introdurre un assegno per i figli “nella misura delle risorse disponibili, delle condizioni di maggiore necessità delle famiglie e delle altre misure già disponibili a legislazione vigente” (articolo 1, comma 4 della bozza di decreto).
Gli emendamenti del ministro Fontana intendono a) aumentare il valore dell’Isee (Indicatore della situazione economica equivalente) fino a 35 mila euro – dai 25 mila attuali – per accedere al bonus bebé e incrementare l’importo di quest’ultimo per i redditi Isee sopra i 7 mila euro; il costo della misura è stimato in 51 milioni per quest’anno, 315 per l’anno prossimo e poi a seguire; b) introdurre la detraibilità a fini fiscali della spesa per pannolini e latte in polvere. Anche il ministro Fontana pensa di coprire il costo di queste due misure con “l’avanzo” del Rdc. Peraltro, la commissione bilancio della Camera ha già dichiarato inammissibile il primo emendamento. Rimane quindi in piedi solo il secondo.
Coperture dubbie
A parte la necessità che i due ministri si mettano d’accordo in modo da formulare una proposta unica, vedo due criticità importanti.
La prima riguarda la copertura finanziaria, affidata al miliardo che si ipotizza di risparmiare quest’anno sul reddito di cittadinanza e a quelli futuri. Pur trascurando le obiezioni tecniche della Ragioneria sul fatto che spostare fondi da un settore all’altro non è una operazione automatica, come si può parlare di “avanzo” a soli due mesi dall’avvio del provvedimento e a sei mesi dalla fine dell’anno? L’esperienza insegna che le domande aumentano man mano che la conoscenza di una misura si diffonde. Visto poi che stiamo parlando di sostegni alla famiglia e alla natalità, sarebbe soprattutto opportuno – anzi equo – rivedere subito la scala di equivalenza del reddito di cittadinanza, che è particolarmente punitiva proprio per le famiglie numerose con figli minorenni, quelle in cui più si concentra la povertà. Deriva da qui il “risparmio”, così come deriva dalla esclusione di una buona parte degli stranieri regolarmente residenti, che pure hanno alte concentrazioni di povertà assoluta, e da quella di italiani e stranieri senza dimora. Un’esclusione che potrebbe essere condannata dalla Corte europea perché contraria alle norme comunitarie.
Una legge delega per riformare il sistema
La finalità più interessante della proposta di Di Maio, la riforma dei diversi e frammentati trasferimenti legati alla presenza dei figli per arrivare a una misura unica, non è indebolita solo da una copertura finanziaria incerta, ma anche dall’intenzione (vedi il comma 4) di aggiungere, nel frattempo, un “assegno” unico, in realtà sovrapposto alle misure esistenti. Questa è la seconda criticità. Se davvero si vuole procedere alla riforma, il processo dovrebbe essere diverso: una legge delega che assegni al governo il compito di riformare gli istituti esistenti, valutando quali possono essere assorbiti e quali no, quante risorse sono già impegnate nel complesso e quanto eventualmente sarebbe necessario aggiungere per erogare un assegno unico per tutti i figli fino alla maggiore età, a seconda che si voglia darne uno identico a tutti o commisurarlo al reddito famigliare.
Esistono studi e anche proposte di legge che si sono esercitate nella materia (nella passata legislatura, una a firma del senatore Stefano Lepri e di altri). Da lì si potrebbe partire per una riforma con un respiro un po’ più lungo di un anno e che perciò permetta ai potenziali genitori di avere un orizzonte di progettazione di medio-lungo periodo.
Uno studio, effettuato da Ars/Capp/Irs qualche anno fa, aveva calcolato che un assegno unico, di importo graduato in base al reddito famigliare, sarebbe costato sui 15 miliardi, con una dote di partenza di 8.119 miliardi spesi per assegni al nucleo famigliare, assegno per il terzo figlio e bonus bebé, cui avrebbe dovuto essere aggiunta la quota relativa ai figli a carico dei 12,320 miliardi di detrazioni fiscali (cifre relative al 2014).
Quanto alla detrazione delle spese per pannolini e latte in polvere, costo stimato in 288,8 milioni euro per il 2020, poi a crescere, sempre a valere sull’“avanzo” del reddito di cittadinanza, non capisco come potrà avvenire. Occorrerà tenere centinaia di scontrini del supermercato, dove vengono normalmente acquistati? Si dovrà mostrare il tesserino sanitario alla cassa ogni volta che li si acquista? Forse è meglio tornare all’idea di ridurre l’Iva su questi prodotti.
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Massimo C.
Condivido tutto, specialmente il discorso sulle scale di equivalenza del Reddito. Non mi convince solo l’idea di un assegno unico legato al reddito. In un paese ad altissima evasione e sommerso come l”Italia significherebbe ancora una volta premiare i disonesti. Meglio un assegno piatto, che non tolga nulla a chi sostiene il welfare pagando le tasse, come avviene in tutta Europa, e misure specifiche per i più poveri.
Savino
La società italiana si sta ostinando a chiedere ai politici che facciano promesse su provvedimenti per adulti e pensionati. La verità è che le redini dell’economia debbono passare alle fasce più giovani della popolazione. Quindi, il problema è essenzialmente culturale, di una società egoista, malata di nonnismo, che sta facendo pagare carissimo questo assurdo atteggiamento a figli e nipoti.
MARIO
Sono un signore di ottanta anni e condivido totalmente le considerazioni del de. Savino