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Elezioni europee: la par condicio ai tempi dei social

I dati Agcom mostrano che i partiti al governo godono di maggiori tempi di parola nei Tg e trasmissioni delle principali reti televisive. La par condicio promuove parità tra le forze politiche, ma il suo compito è sempre più difficile in un mondo dove la politica si fa sui social network.

La par condicio

Sono trascorse due settimane dalle elezioni europee che hanno decretato l’affermazione della Lega come primo partito italiano ed è un buon momento per guardarsi indietro. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) ha infatti appena pubblicato gli ultimi dati utili per valutare la parità di accesso al mezzo televisivo durante la campagna elettorale. Come è noto, i media tradizionali sono sottoposti alla legge 28 del 2000 in tema di comunicazione e propaganda politica, la cosiddetta par condicio. In ogni tornata elettorale, la commissione di Vigilanza sulla Rai e l’Agcom realizzano un apposito regolamento che distingue comunicazione politica e informazione: al di fuori di queste due tipologie, è vietato ospitare candidati o esponenti politici e trattare temi politico-elettorali. Inoltre, nel periodo che intercorre tra la data di presentazione delle candidature e quella di chiusura delle campagne elettorali, ciascuna emittente televisiva è tenuta a ripartire lo spazio dedicato alla comunicazione politica con criterio paritario tra tutti i soggetti coinvolti. Vediamo dunque se la tornata elettorale appena conclusa si è svolta nel rispetto del pluralismo politico in televisione.

La presenza dei partiti

Le rilevazioni dell’Agcom catalogano le apparizioni di soggetti politici e istituzionali sia nelle edizioni dei telegiornali Rai, Mediaset, La7 e Sky, sia nei programmi “extra-Tg” delle varie testate, ossia le trasmissioni di approfondimento politico. Nello specifico, l’indicatore che qui consideriamo è il “tempo di parola” – che indica il tempo in cui il soggetto politico o istituzionale parla direttamente – nelle quattro settimane che hanno preceduto le elezioni europee.

La figura 1 mostra il tempo di parola dei partiti politici rispettivamente nei telegiornali Rai, Mediaset e La7.

Figura 1

Come si evince dal grafico, in casa Rai il Movimento 5 Stelle fa da padrone, con una media di tempo di parola tra le varie testate che sfiora quasi sempre il 30 per cento. Seguono Lega e Partito Democratico, con medie di poco al di sotto del 20 per cento. Da rilevare che nello spazio dedicato a Movimento 5 Stelle e Lega si contano anche le occasioni in cui gli esponenti dei due partiti intervengono in qualità di soggetti istituzionali e non politici, quindi come governo. La sovraesposizione del Movimento 5 Stelle rispetto alla Lega potrebbe essere la conseguenza del monito che Agcom ha diramato a inizio maggio, quando l’autorità evidenziava invece una esposizione eccessiva della Lega, unitamente a una presenza elevata del governo, nei notiziari diffusi da Rai 1, Rai 2, La7 e anche SkyTg24.

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Nei telegiornali Mediaset si racconta una storia diversa, con Forza Italia che viaggia dal 21 al 29 per cento e tendenze invece decrescenti per i partiti di governo, che comunque non toccano mai il 20 per cento. Addirittura, la Lega di Salvini chiude la campagna elettorale con una media sotto il 10 per cento nell’ultima settimana.

Sul Tg La7 leghisti e pentastellati toccano l’apice del tempo di parola, il 41 per cento una settimana prima della chiamata alle urne. Molto più modesta la presenza di Forza Italia e Partito Democratico.

In generale, la presenza del governo nei telegiornali è massiccia. A marzo il Sole 24 Ore osservava come nessuno dei governi, negli ultimi anni, abbia trovato tanto spazio nei Tg del servizio pubblico quanto l’attuale. Ogni volta che un soggetto politico o istituzionale è comparso a parlare direttamente in video nei notiziari Rai, durante i primi sei mesi dell’attuale esecutivo, circa una volta su tre si è trattato proprio di un membro dell’esecutivo. Contro valori del 20 per cento del governo Renzi, simili o leggermente inferiori per i governi Letta e Monti, più vicini ma comunque inferiori rispetto all’ultimo esecutivo Berlusconi nel 2008.

Nella figura 2 si osserva invece il tempo di parola dei partiti nei programmi di approfondimento afferenti alle testate giornalistiche, sempre nelle quattro settimane precedenti al 26 maggio.

Figura 2

Il quadro che emerge non è così dissimile dal precedente. Il Movimento 5 Stelle si mantiene su valori alti di esposizione in tutte le emittenti (non a caso il vicepremier Luigi Di Maio è stato ospite di trasmissioni televisive 19 volte nelle ultime due settimane di campagna elettorale). La Lega resta quasi sempre sotto, eccetto negli ultimissimi giorni prima del 26 maggio, quando supera il Movimento su tutti i canali.

Quanto spazio occupano i leader politici

Un telespettatore attento potrebbe però notare che sono sempre gli stessi volti ad avvicendarsi con sforzo encomiabile nei maggiori telegiornali e salotti televisivi. Una personalizzazione dello scenario politico che è risultata evidente anche in queste elezioni europee, dall’onnipresenza di Matteo Salvini, candidato come capolista in tutte le circoscrizioni italiane, al successo di preferenze personali di Silvio Berlusconi, nonostante la débâcle di Forza Italia. Dunque, quanto spazio è concesso ai soli leader dei maggiori partiti italiani?

Figura 3

Concentrandoci sui dati relativi ai Tg nazionali, per i quali troviamo stime per tutti i maggiori esponenti politici, sulle reti Rai il tempo di parola sembra seguire abbastanza diligentemente i risultati elettorali emersi nelle ultime politiche del 2018: Luigi Di Maio in testa, seguito da Salvini e dal segretario del Pd Nicola Zingaretti. Sulle reti Mediaset invece, come già evidenziato, Silvio Berlusconi gode di più spazio e, insieme a Zingaretti, raggiunge lo stesso tempo di parola del leader della Lega. Emerge invece per La7 una sovraesposizione marcata di Di Maio e Salvini che, insieme, nella prima metà di maggio arrivano a coprire il 70 per cento del tempo di parola durante il telegiornale della rete. Per quanto riguarda questo canale, è interessante anche allargare lo sguardo includendo i numerosi talk show che trattano di attualità e politica. Da qui emerge che verso la fine di maggio il tempo di parola dei due vicepremier arrivava a toccare il 22 per cento del totale.

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figura 4

Una legge anacronistica

L’osservazione di questi dati fa emergere chiaramente come, nonostante la legge sulla par condicio, le reti televisive nazionali servano da megafono alle voci dei partiti e dei politici al governo. L’applicazione rigorosa del criterio paritario sarebbe già importante per evitare che il maggior tempo di parola si traduca automaticamente in maggiori guadagni elettorali. Ma non è l’unica questione sul tavolo. Nel mondo iperconnesso, è sempre più urgente domandarsi se una legge promulgata quasi vent’anni fa, agli albori di internet, sia oggi ancora efficace. Emerge infatti una ormai troppo evidente e ingiustificata asimmetria regolamentare tra media tradizionali e online, i primi soggetti a regole rigide (se applicate) e i secondi che sfuggono a qualsivoglia normativa.

I social media hanno mutato completamente l’angolo visuale: si passa da una comunicazione in cui era il partito a interagire con il cittadino, a una in cui il cittadino può dialogare direttamente con il leader, in tempo reale. In questo modo la partecipazione non si esaurisce con l’appuntamento alle urne e i leader impegnano gli elettori in una sorta di campagna elettorale permanente, realizzata con dirette Facebook. La palla deve quindi tornare nelle mani del legislatore, chiamato a riflettere sulla necessità di imporre degli obblighi sull’utilizzo dei social network, soprattutto nel periodo elettorale. Non a scopo censorio, intendiamoci. Ma per evitare, quantomeno, che il silenzio elettorale sia violato (e ripetutamente) a colpi di tweet.

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Doppia preferenza, questa sconosciuta

  1. Savino

    Se tocchi Salvini muori, ne sa qualcosa l’insegnante sospesa. Il consenso è ampio perchè è represso ogni bisbillio di dissenso. E bisogna stare pure attenti a quel che si dice per strada o al bar, poichè comanda il Viminale e quello ti può schedare, così la vita di un padre di famiglia è segnata per sempre.

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