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Come deve ripartire il Mezzogiorno*

Grazie a metodologie statistiche rigorose, oggi è possibile verificare in che misura i trasferimenti al Sud abbiamo contribuito a sollevarne le sorti. Il quadro delineato da un pamphlet è sconsolante. Ecco quello di cui c’è bisogno per invertire la rotta.

Quello che oggi sappiamo

Il negazionismo economico ha molte declinazioni. Una, particolarmente sconsolante per quel terzo di italiani che risiede nel Mezzogiorno, ha a che fare con la distanza tra le decisioni che riguardano le politiche per la coesione e le conoscenze scientifiche sulla loro efficacia.  Negli ultimi 25 anni il progresso dell’econometria applicata e la disponibilità di nuovi dati hanno permesso di passare dall’aspettativa alla prova, ovvero alla misurazione rigorosa degli effetti dei trasferimenti.

Tra le cose che sappiamo ora (e che anni fa potevamo non sapere, anche se qualcuno le aveva già lucidamente prefigurate) rientra senz’atro la difficoltà di rinvenire un qualche effetto di tipo positivo sullo sviluppo delle economie locali. I fondi strutturali non generano incrementi nell’occupazione o in altri aspetti dell’attività economica dei territori a cui sono destinati. Si fa fatica a ritrovare effetti favorevoli delle misure disegnate nel periodo della “nuova programmazione”, come i patti territoriali e i contratti d’area. Talvolta, i provvedimenti inducono solo fenomeni di sostituzione: la legge 488 ha causato un’anticipazione degli investimenti, che senza sussidi sarebbero stati comunque effettuati, ma nei periodi successivi; i contratti di programma hanno determinato una crescita dell’occupazione nei territori che ne hanno beneficiato, ma a scapito di quella delle aree circostanti. Sappiamo pure che i sussidi per il sostegno delle aree economicamente deboli possono condurre a rilevanti effetti indesiderati: possono essere fonte di corruzione e comportamenti predatori, attraendo la criminalità organizzata o cambiando i comportamenti dei cittadini.

Però discutiamo d’altro

La discussione sulla politica regionale finisce sistematicamente per collassare sull’ammontare di risorse da trasferire. Si dibatte se i trasferimenti verso le aree economicamente arretrate siano o meno sufficienti, sulla capacità delle nostre amministrazioni di spendere tutte le dotazioni dei fondi europei prima della loro scadenza. Ci si interroga poco (o per nulla) se i fondi pubblici abbiano ricadute positive sull’economia oppure siano utilizzati per attività produttive, anziché improduttive, e quali ulteriori aspetti del sistema economico rappresentino degli ostacoli affinché gli aiuti si trasformino in opportunità di sviluppo.

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Va detto che lo stato penoso del dibattito non necessariamente è colpa dei soli politici o dei commentatori. Gli economisti hanno la loro mancanze visto che le loro analisi, intrise di elementi tecnici, arrivano al grande pubblico e ai decisori solo con molta difficoltà. Per provare a liberarci almeno in parte di questa gravosa responsabilità, abbiamo scritto un pamphlet che vuole offrire a coloro che sono interessati al tema una carrellata veloce, e per lo più a-tecnica, di cosa si sa sull’efficacia degli aiuti per lo sviluppo locale in Italia.

Guardando avanti

Le conoscenze scientifiche sull’efficacia delle politiche per la coesione, pur con le loro limitazioni, offrono poche, ma crediamo chiare, indicazioni per il futuro:

  • innanzitutto, è opportuno che si rendano disponibili dati e informazioni dettagliate sui singoli interventi al fine di permettere – all’ampia comunità scientifica (in Italia e all’estero) che si occupa dei problemi economici italiani – ulteriori, e magari migliori rispetto a quelle passate in rassegna nel pamphlet, analisi empiriche rigorose sull’efficacia degli aiuti pubblici;
  • i programmi devono tenere conto dei risultati di questi studi. Le aree in ritardo di sviluppo hanno bisogno di legislatori competenti e informati per una migliore progettazione degli interventi. Anche per via delle nuove possibilità offerte dalle tecniche di machine learning, è possibile che, finalmente, si facciano progressi significativi nell’efficacia dei trasferimenti verso le aree arretrate del nostro paese. La condizione è che i decisori pubblici si facciano guidare dall’evidenza empirica rigorosa;
  • gli aiuti da soli possono fare poco se altre politiche remano contro. La regolamentazione, in particolare quella legata ai salari, ma anche quella relativa all’offerta di case oppure le modalità di welfare, può ostacolare l’impatto dei programmi di intervento. Da questo punto di vista, è allora possibile che la prosperità delle aree più deboli dipenda, più che dagli aiuti, proprio dalle caratteristiche delle politiche nazionali che sfavoriscono i processi di convergenza territoriale. Modificare queste ultime sarebbe allora un importante primo passo.
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*Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire esclusivamente agli autori e non investono la responsabilità dell’Istituto di appartenenza.

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Il Punto

  1. Guido Pellegrini

    Sono molto d’accordo sulle indicazioni per il futuro: solo da una conoscenza degli effetti delle politiche passate, basata su informazioni coerenti e tempestive e tecniche di analisi anche sofisticate è possibile fare politiche territoriali (e non solo quelle) efficaci. Sono meno d’accordo sulle affermazioni riguardanti l’efficacia di alcuni strumenti, sempre basandosi su quanto pubblicato recentemente. Ad esempio, in molti lavori sulla 488 tecnicamente avanzati si suggerisce che la stessa legge ha avuto effetti anche di lunga durata, basati sull’upgrading tecnologico consentito a molte imprese del Sud che le ha permesso di rimanere competitive sui mercati. Inoltre non demonizzerei la politica di incentivazione: ad esempio i comportamenti predatori sempre riguardo la 488 (parlo di questa legge in quanto la conosco meglio di altri strumenti di incentivazione) sono stati in quota inferiori alla percentuale di crediti in sofferenza nelle stesse aree.Benissimo quindi aprire una discussione su questi temi (e di sicuro ne abbiamo bisogno) ma consideriamo tutte le evidenze empiriche a nostra disposizione.

  2. Marco La Colla

    Per quanto riguarda l’incapacità dei piccolo comuni di sfruttare io fondi europei, un mio parente, architetto, me ne ha spiegato il motivo. Il professionista viene incaricato di fare la richiesta, che comporta un grosso lavoro di documentazione, con la clausola che verà pagato solo se si avrà un esito positivo. A tali condizioni, nessuno accetta e così i fondi disponibili vanno perduti. Se i comuni obbligassero i loro dipendenti con adeguate qualifiche, a seguire dei corsi di aggiornamento per presentare adeguatamente le domande necessarie, il problema sarebbe risolto facilmente, ma la pigrizia mentale di certi amministratori fa si che la cosarimanga solo nel libro dei sogni.

    • andrea

      Io ho un’esperienza totalmente diversa invece e credo che spesso queste misure siano una manna per professionisti ed enti pubblici. Misura 6.4.c del PSR Sicilia per la valorizzazione delle aree rurali e supporto per l’avvio di attività turistiche, dotazione di 20 milioni di euro e contributo massimo ammesso di € 200.000, quindi circa 100-200 possibili beneficiari in base all’entità dei progetti. Risultato? Migliaia e migliaia di pratiche presentate per progetti di recupero di case di campagna e trasformazione in b&b. Personalmente ho pagato € 3.500 l’architetto che ha curato il progetto e altre € 1.800 il commercialista per il business plan (ma con tutto lo studio preliminare e analisi di mercato sviluppata da me). Aggiungiamo 300-400 euro per diritti vari in favore del genio civile e ufficio tecnico comunale, l’obbligo di presentare la pratica come impresa e quindi aprire la partita iva (davvero assurdo per una piccola attività come il b&b) e capisce il giro di milioni di euro in favore di professionisti a fronte di possibilità di successo minime. Poi magari potremmo anche parlare dei computi metrici calcolati in base al prezzario regionale palesemente fuori mercato, ad esempio un impianto fotovoltaico da 6kw quotato il 60-70% in più dei normali prezzi.

  3. cyrano

    Machine Learning, nuove tecniche econometriche, sound&vision e alla fine il pbm sono” in particolare i salari”. Continuate così che andate bene.

    • Amegighi

      Interessante commento da parte di chi sta usando internet, probabilmente il telefonino, forse cerca in rete con Google, ed usa una buona dose di App. Lasciamo perdere poi se deve decidere come investire i suoi risparmi, pochi o tanti che siano, in questo momento difficile.

  4. umberto

    La prima volta che ho sentito il termine “il sud deve ripartire” era il 1964.
    Poi l’ho sentito altre 37524 volte.
    Vediamo se alla 37525ma volta riparte.

  5. MrsSpm

    Vero che le politiche pubbliche non sono discusse attraverso una valutazione dei loro risultati. A questo contribuisce però la guerra ideologica tra (i) gli economisti, riduzionisti nella concettualizzazione degli effetti e/o disinteressati/disattenti alle possibilità di migliorare l’implementazione; e (ii) il gruppo di soggetti che difendono l’intervento così com’è, che ha dalla sua il meccanismo finanziario (invita a coprire per non perdere risorse) e la tendenza a costruire benedizioni feudali (trovare il buono in tutto perché, si dice, si impara solo dai successi: ma è vero?). Questo dibattito tra ciechi e sordi è aiutato da una logica da pamphlet, che alimenta la contrapposizione tipo ‘all or nothing’, quindi favorisce l’impasse culturale e istituzionale. Voi stessi non chiedete che valutazioni misura per misura si discutano nella PA e nei Parlamenti, ma che se ne parli tra esperti, su questa rivista, e facilitando al popolo il compito con notizie in pillole (propaganda?). Per ottenere un buon dibattito, tesi alternativa, deve crescere il livello di istruzione generale e migliorare le istituzioni. Infine, agli economisti che pensano che la crescita del divario sia esito del mancato aggiustamento nei prezzi relativi ho una domanda da porre: perché non considerare la piena indipendenza? C’è il tabù dello stato nazionale? Stati indipendenti gestiscono le politiche europee direttamente; e prezzi e salari si aggiustano senza condizionamenti esterni. Non vi pare?

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