Luci e ombre nelle nomine ai vertici della Ue. È un passo indietro il fatto che a decidere il nome del presidente della Commissione siano stati i paesi membri, esautorando il Parlamento europeo. Bene invece l’arrivo di Lagarde alla presidenza Bce.
Equilibrio di genere e tra forze politiche
Che dire delle decisioni del Consiglio europeo sulle nomine nelle posizioni di vertice dell’Unione? Luci e ombre, ma poteva andar peggio.
Tra le ombre, sicuramente il fatto che in Europa i paesi membri continuano a farla da padrone. La breve stagione degli Spitzenkandidaten (i candidati principali indicati dai partiti del Parlamento europeo) è già finita; i paesi si sono messi d’accordo e hanno imposto alla presidenza della Commissione l’attuale ministro della Difesa tedesco (della Cdu, cioè un politico appartenente al gruppo dei popolari negli schieramenti europei), Ursula von der Leyen, che nulla aveva a che fare con il Parlamento europeo e di cui, francamente, fuori dalla Germania nessuno aveva mai sentito parlare prima. L’irritazione dei parlamentari europei è palese e siccome la nomina del presidente della Commissione richiede il voto favorevole del Parlamento europeo, il ministro tedesco corre ancora qualche rischio. Anche se il complesso “gioco delle sedie musicali” delle nomine europee ha già sistemato i leader degli altri due partiti che formeranno la maggioranza nel Parlamento europeo – liberali e socialisti, dunque Margrethe Vestager (Liberaldemocratici) e Frans Timmermans (Pse) – alla vicepresidenza operativa della Commissione; e anche se il Parlamento europeo ha già votato l’italiano Davide Sassoli, cioè un socialista, come suo presidente. L’equilibrio per genere e per forze politiche è quindi raggiunto ed è perciò probabile che alla fine Ursula von der Leyen passerà indenne il voto parlamentare.
La seconda ombra è che si conferma il ruolo dominante del sistema carolingio in Europa, cioè di Germania e Francia, con la Spagna che ha preso sostanzialmente il ruolo dell’Italia, marginalizzata dal governo sovranista, nel sostegno alle decisioni rilevanti. Rispettando in pieno i pronostici, le due cariche più importanti, la presidenza della Commissione e quella della Banca centrale europea, andranno a Germania e Francia. L’ex primo ministro Belga, il liberale Charles Michel, diventa presidente del Consiglio europeo al posto di Donald Tusk, confermando che si tratta essenzialmente di un ruolo di mediazione, assegnato dunque a un paese non determinante nei rapporti di forza europei. Le voci che prevedevano un rafforzamento di questo ruolo, con l’attribuzione della carica a un politico di rilievo dei paesi centrali (si era parlato della stessa Angela Merkel), escono dunque ridimensionate.
Lagarde alla Bce
La principale novità – e anche l’elemento più positivo – è la nomina di Christine Lagarde alla presidenza della Bce, salutata immediatamente da un’impennata della borsa e la caduta degli spread. Lagarde è un avvocato, non un’economista, ma ha una lunga esperienza in campo economico, come direttore generale del Fondo monetario internazionale e in precedenza come ministro dell’Economia francese. Più che altro è un personaggio di assoluto rilevo, del tutto capace di difendere l’autonomia della Banca centrale dalle pressioni dei paesi e le si riconoscono grandi abilità di gestione politica e doti di comunicazione, entrambi essenziali per un lavoro complesso come la presidenza della Bce. Sul piano degli orientamenti, ci si aspetta che Lagarde si collochi pienamente nel solco di Mario Draghi, dunque disponibile a proseguirne la politica monetaria ultra-accomodante e a ricorrere anche a strumenti non convenzionali, come il Quantitative easing (l’acquisto di attività finanziarie, compresi i titoli di stato dei paesi membri) se lo ritenesse necessario. Le posizioni assunte come direttore del Fmi, che l’hanno portata a rivederne le posizioni più conservatrici (il cosiddetto “Washington consensus”), ne sono una testimonianza.
Un problema è che con l’assunzione della presidenza Bce da parte di Lagarde, dovrà dimettersi il membro francese dell’attuale comitato esecutivo, Benoit Couré. È un problema perché Couré, un economista, viene generalmente considerato il miglior tecnico del comitato, un ruolo ancora più prezioso con una presidente non economista. Sarà probabilmente sostituito da un italiano (Couré aveva a sua volta sostituito Lorenzo Bini Smaghi quando Mario Draghi aveva assunto la presidenza), forse Fabio Panetta, attuale direttore generale della Banca d’Italia.
Dal punto di vista dell’Italia
Come ne esce l’Italia da questo gioco incrociato di nomine? Certo, se davvero ci fosse stata la possibilità, per l’Italia sarebbe stato meglio avere Frans Timmermans come presidente della Commissione al posto di una conservatrice tedesca, per quanto fervente europeista. È difficile immaginare che la politica accomodante di Jean-Claude Juncker nei confronti dei conti pubblici italiani verrà perseguita con lo stesso vigore da von der Leyen, mentre Timmermans sarebbe stato sicuramente più disponibile. Se come riportato dalla stampa, Timmermans è saltato per il veto del presidente del Consiglio italiano, che si è fatto portavoce delle obiezioni dei sovranisti (Timmermans è stato il parlamentare europeo più critico sulle violazioni dello stato di diritto in Polonia e Ungheria) è stato commesso un errore.
Se, tuttavia, il prezzo della nomina di Timmermans alla presidenza della Commissione fosse stato Jens Weidmann al vertice della Bce, il gioco non sarebbe certo valso la candela. La storia, anche quella dell’economia, non si fa con i “se” e con i “ma”, però c’è da chiedersi dove si sarebbe collocato in questi giorni lo spread dei titoli pubblici italiani se alla presidenza della Bce fosse stato nominato Weidmann o a qualche altro falco nordico.
Certo, il presidente della Commissione non governa da solo e l’Italia può legittimamente aspirare a un commissario di peso, nonostante la marginalità politica del governo italiano rispetto alla maggioranza parlamentare europea. Ma dipenderà molto dalla qualità della candidatura proposta, più che dall’appartenenza politica. Il Parlamento europeo, che deve approvare ogni singolo commissario proposto dal nuovo presidente, non farà sicuramente sconti all’Italia. È bene che il nostro governo si ricordi del caso di Rocco Buttiglione, bocciato dal Parlamento europeo nel 2004, e agisca di conseguenza.
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Henri Schmit
Condivisibile il giudizio su Lagarde personalità forte e competente benché non esperta di teoria monetaria, un handicap quando bisogna inventare soluzioni a problemi senza precedenti. L’Italia ha evitato Weidmann, convertito un po’ tardi alla politica attiva e di coesione di Draghi. Troppo severo il giudizio su UVDL, che ha mostrato di comprendere e di sapere prendere decsioni, nelle materie sociali e della difesa della Germania e delll’Europa; si parlava di lei per la successione di Merkel; ultimamente doveva diventare segretaria generale della NATO. Il suo pedigree conservatore tradizionale, la mente indipendente e coraggiosa per far valere politiche a volte contro-correnti, poi francofona in sintonia con i vertici francesi, ne fanno un personaggio potenzialmente molto forte, in un senso più forte dello stesso Barnier, uomo di carattere e di convinzioni, ma Francese e basta. Non condivido il rammarico per gli Spitzenkandidaten un’abberrazione molto italica benché inventata nel covo partitocratico di Strasburgo. I liberali europei (da non confondere con i liberisti italiani) si sono opposti a questa pratica tutt’altro che democratica, tutto sommato populista. Il neopresidente Sassoli deve ancora convincere, il suo discorso inaugurale (tornare ai valori dei padri fondatori, a Ventotene) è stato patetico, cioè vuoto, un’occasione mancata. Criticare il motore carolingio è l’errore più grave: non ci sarebbe e non ci sarà UE senza questa matrice. L’Italia (ri)divenga carolingia!
Savino
Salvini non delegittina le istituzioni europee e gli italiani sbagliano, ancora una volta, a votare, affidando ai partiti della rozzezza e dell’incompetenza il 34% + il 17% dei voti. I “sovranisti” nel complesso formano un gruppo di 73 parlamentari (un decimo circa dell’Aula); all’interno di quel gruppo, i leghisti sono 28 ed, in occasione della candidatura alla vice-presidenza del Parlamento della leghista Bizzotto, i voti a suo favore sono solo 17. I grillini sono 11, appartengono ai non iscritti ad alcun gruppo, confermano Castaldo vice-presidente, il quale si spinge a dire che potrebbe dare fiducia alla Commissione di Ursula Von Der Leyen. L’unico italiano nelle istituzioni UE è David Sassoli, una brava persona che gode di credibilità individuale oltre l’appartenenza politica. Come cita l’articolo (e come teme Conte), un Giorgetti o un Centinaio potrebbero anche non passare l’esame del Parlamento per divenire Commissario (alla concorrenza soprattutto). Questa lunga rassegna di fatti, per evidenziare la stupidità della recente campagna elettorale per le europee, dove non erano certo in palio followers e consensi nei sondaggi da raccogliere e dove non erano rilevanti i contenuti di video messaggi su facebook, bensì dove in gioco erano futuro e riforme delle istituzioni continentali. A ciò si aggiunga che la partita della procedura d’infrazione non è finita, che deficit e debito restano e solo tagli ai servizi essenziali hanno garantito tempo fino a ottobre.
U G-M Tamburini
Da molto tempo non frequento la Comunita’ (impropriamente detta unione) ma penso che le cose non siano cambiate dal ricordo che ne ho: i carolingi arrivavano con il loro protocollo confezionato, mentre gli altri raccontavano delle loro giornate e dei loisirs. Inoltre le delegazioni non brillavano per facondia e facilita’ di comprensione della Causesprache degli altri paesi. A questo punto fu/e’ inevitabile chei testi preparati in anticipo abbiano un Handicap difficilamente erodibile. BTW, non sono tanto vanesio da raccontare episodi cui ho assistito, ma solamente il crimcram dei portaborse basta a spiegare gli inevitati esiti.
E poi, si stracciano perche’ Salvini diserta le sedute, ma non si domandano sesappia seguire le confidenze fra gli altri suoi omologhi.