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Cambia il processo penale con l’ennesima riforma

Fonti del ministero della Giustizia hanno fatto circolare la prima bozza di un disegno di legge delega per la riforma del processo penale. L’idea di fondo è limitare ancora di più i casi in cui si svolge il dibattimento. Ma i rischi non mancano.

Modifiche e slogan

Dalla nascita del nuovo codice di procedura penale nel 1989 si sono susseguite un centinaio di modifiche legislative e altrettante proposte di riforma accompagnate da vari slogan: nel 2000, a seguito della riforma dell’articolo 111 della Costituzione, si parlò di “processo giusto”; poi fu la volta del “processo breve”, del “processo europeo”, passando per il “processo lungo”. L’ultima risale ad appena un anno fa e, come tutte quelle che l’hanno preceduta, è stata affiancata dalla promessa di una “svolta” nei tempi e nella qualità della risposta della giustizia penale.

Benché sia prematuro stabilire oggi se quella promessa sia stata mantenuta, ecco che già si annuncia una nuova riforma del processo penale, da definire addirittura entro l’anno. Ma ancora una volta le modifiche annunciate, al di là di ogni considerazione nel merito, rischiano di essere disattese dall’incapacità cronica del nostro sistema di renderle efficaci. Complice, come sempre, il dato certificato dal rapporto Eurostat del 2018, che vede l’Italia ben al di sotto della media europea per gli investimenti nel campo della giustizia.

Limitare ulteriormente i casi in cui si svolge il dibattimento

Fonti del ministero della Giustizia hanno fatto circolare la prima bozza di un disegno di legge delega per la riforma del processo penale. 32 punti programmatici che delineano nella sostanza un’idea di fondo: per garantire una maggiore efficienza e speditezza del sistema processuale, è necessario limitare ulteriormente lo svolgimento del dibattimento a un numero sempre più ridotto di casi.

Due, in particolare, sono gli strumenti più incisivi pensati per lo scopo, sui quali c’è la convergenza delle principali associazioni nazionali di magistratura e avvocatura: il rafforzamento della funzione di “filtro” dell’udienza preliminare e l’ampliamento dell’ambito di operatività del patteggiamento.

Come già segnalato da alcuni giuristi (Marcello Daniele e Paolo Ferrua), le modifiche rischiano di ottenere risultati, se non opposti, comunque non in linea con i condivisibili obiettivi che si propongono.

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Nel tentativo di rafforzare la funzione di “filtro” dell’udienza preliminare, il punto 15 della bozza governativa propone di «modificare la regola di giudizio di cui all’articolo 425, comma 3, del codice di procedura penale, al fine di limitare il rinvio a giudizio ai casi in cui gli elementi acquisiti consentano una prognosi di accoglimento della prospettazione accusatoria». In altre parole, l’attuale canone interpretativo, secondo cui al giudice dell’udienza preliminare è «inibito il proscioglimento in tutti i casi in cui le fonti di prova si prestino a soluzioni alternative e aperte o, comunque, ad essere diversamente rivalutate», dovrebbe essere sostituito dall’opposto criterio in dubio pro reo (nel dubbio, in favore dell’imputato), tipico della fase dibattimentale. Ne discenderebbe che, qualora, in base a una valutazione dei risultati delle indagini, emergessero elementi insufficienti o contraddittori, si dovrebbe pronunciare il non luogo a procedere, a prescindere dalle possibili evoluzioni dibattimentali del materiale investigativo.

Un intervento di questo tipo, se isolato e non inquadrato all’interno di una complessiva riforma dell’udienza preliminare, rischia di rappresentare una soluzione illusoria non in grado di sortire alcun effetto pratico. Chi abbia un minimo di familiarità con le aule di giustizia sa bene che il giudice dell’udienza preliminare continuerebbe comunque ad applicare il criterio attualmente vigente giungendo nella maggior parte dei casi, esattamente come avviene oggi, a emettere il decreto che dispone il giudizio. Di fronte alla possibilità che un giudice (quello del dibattimento) dotato di poteri probatori ben più potenti si occupi della questione, perché, in una situazione di incertezza, prendersi la responsabilità di prosciogliere? E di fronte all’assenza di obbligo di motivare il rinvio a giudizio perché, nel dubbio, affrontare il difficile compito di motivare una sentenza di non luogo a procedere?

Non che l’eventuale introduzione dell’obbligo di motivazione del decreto da parte del giudice dell’udienza preliminare possa aiutare. Al contrario, unito alla modifica proposta della regola di giudizio dell’articolo 425 comma 3, la previsione rischierebbe di trasformare l’udienza preliminare in un vero e proprio primo grado di giudizio con gravi ripercussioni sull’esito della fase dibattimentale. Infatti, se la legge imponesse il proscioglimento in ogni caso di incertezza, l’emissione da parte del giudice dell’udienza preliminare di un decreto motivato di rinvio a giudizio non farebbe altro che certificare quell’assenza di dubbio in merito alla colpevolezza dell’imputato in grado di condizionare in maniera decisiva il dibattimento e la decisione finale del giudice.

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L’accertamento della colpevolezza nel patteggiamento

La seconda proposta ministeriale consentirebbe un’estensione dell’applicazione del patteggiamento a pene sino a dieci anni di reclusione, con un rafforzamento del controllo del giudice sulla fondatezza dell’ipotesi accusatoria. Proprio quest’ultimo aspetto, auspicato anche dall’Unione delle camere penali, rischia tuttavia di stravolgere la natura stessa del procedimento speciale.

A differenza di quanto avviene nel giudizio abbreviato, dove l’imputato chiede di essere giudicato, rinunciando al contraddittorio nella formazione della prova, nel patteggiamento l’imputato non chiede di essere giudicato; con l’accordo del pubblico ministero chiede direttamente la pena, esonerando lo Stato dall’onere di giudicarlo. Il solo accertamento che può esserci è quello negativo sull’assenza, allo stato degli atti, di una causa di non punibilità; e così, infatti, prevede nella vigente disciplina, l’articolo 444 comma 2 codice di procedura penale.

La proposta di introdurre notevoli benefici premiali – una riduzione di pena fino alla metà – nel caso in cui il patteggiamento intervenga precedentemente alla conclusione delle indagini non può e non deve essere accompagnata da un accertamento giurisdizionale in merito alla responsabilità penale dell’imputato, pena lo sconvolgimento della ratio alla base del patteggiamento.

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  1. salvatore calandra

    Il problema irrisolto e fondamentale, a mio parere, risiede nello scollamento tra chi legifera e chi deve utilizzare gli strumenti normativi nella pratica. “ Chi abbia un minimo di familiarità con le aule di giustizia…”. Non voglio abbandonarmi a facili polemiche chiamando in causa l’attuale ministro della giustizia ma, troppo spesso, le riforme normative non tengono conto dei risvolti pratici. Sull’ulteriore “allargamento” del patteggiamento ritengo possa avere un’efficacia deflativa importante, non capisco quale possa essere la ratio di un accertamento sulla responsabilità. Articolo interessante. Avv. Salvatore Calandra

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