Le competenze richieste nel mercato del lavoro evolvono rapidamente. Sempre di più i lavoratori avranno bisogno di formazione continua lungo tutto l’arco della vita lavorativa. I fondi interprofessionali possono essere d’aiuto. Ma sono utilizzati bene?
Perché è importante investire in formazione continua
Le competenze richieste nel mercato del lavoro in Italia evolvono rapidamente. Secondo un recente studio Ocse, con l’introduzione delle nuove tecnologie digitali, il 15,2 per cento dei posti di lavoro nel nostro paese potrebbe essere completamente automatizzato e un altro 35,5 per cento potrebbe essere profondamente trasformato rispetto alle mansioni che i lavoratori vi svolgeranno. Nel nostro paese il 38 per cento degli adulti ha competenze numeriche o linguistiche basse, e per molti di loro sarà particolarmente difficile far fronte ai cambiamenti. Per mantenere il posto di lavoro o trovarne di nuovi, gli adulti avranno bisogno di aggiornare le proprie competenze durante tutto l’arco della vita lavorativa.
Nonostante gli sviluppi positivi registrati negli ultimi anni, l’Italia resta indietro rispetto alla maggior parte dei paesi Ocse sul tema della formazione continua. Oggi, in un anno, solamente un adulto su cinque segue attività di formazione – la metà rispetto alla media Ocse, secondo i dati della Survey of Adult Skills (Piacc). Quanto alle imprese, solamente sei su dieci formano i propri dipendenti e la cifra esclude i dati di quelle con meno di 10 dipendenti. Tra i paesi Ocse, in Europa fanno peggio dell’Italia solamente le imprese in Polonia, Ungheria, e Grecia (si veda Priorities for Adult Learning).
Figura 1
Fonte: Survey of Adult Skills (Piaac) e Continuing Vocational Training Survey (Cvts).
Il ruolo dei fondi interprofessionali
Secondo un recente studio Ocse sulla formazione continua in Italia, i fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua possono consentire di migliorare l’accesso alla formazione e dare agli adulti le competenze necessarie per riuscire nel mercato del lavoro.
I fondi sono associazioni gestite dalle parti sociali che hanno l’obiettivo di incoraggiare le imprese a formare i propri dipendenti e di incentivarle a contribuire al costo della formazione. Le imprese possono destinare la quota dello 0,30 per cento dei contributi versati all’Inps a uno dei 19 fondi esistenti e avere accesso a finanziamenti per formare i propri dipendenti. Istituiti nel 2004, oggi i fondi coprono circa 1 milione di imprese e una platea potenziale di 10 milioni di lavoratori. Con la gestione di circa 600 milioni di euro ogni anno, i fondi rappresentano il più importante canale di finanziamento per la formazione continua in Italia.
Nonostante il loro elevato potenziale, i fondi sono ancora poco utilizzati, soprattutto tra le aziende di piccole dimensioni. Solamente il 6,2 per cento delle piccole imprese (tra i 10 e i 19 dipendenti) utilizza i fondi per finanziare la formazione, contro il 64,1 per cento delle grandi imprese (con più di mille dipendenti). Da una parte, i fondi sono ancora poco noti in Italia, soprattutto tra le piccole imprese, circostanza che denota un’insufficiente cultura della formazione e una bassa domanda di competenze. Ma a ciò si aggiungono i costi della formazione. In media, i fondi coprono il 65 per cento del costo, mentre il resto deve essere finanziato dall’impresa stessa. Esiste poi anche un costo indiretto della formazione, perché le imprese devono rallentare le attività produttive mentre il lavoratore si sta formando. Entrambi sono particolarmente gravosi per un’impresa di piccole dimensioni.
Le questioni aperte
La burocrazia pone altri ostacoli all’utilizzo dei fondi. A differenza delle grandi imprese, le piccole non riescono ad accantonare abbastanza risorse nel “conto individuale” (ovvero il salvadanaio di ogni impresa aderente) e non dispongono di un dipartimento di risorse umane che possa sbrigare le procedure amministrative necessarie per accedere al “conto collettivo” (ovvero le risorse gestite dal fondo e redistribuite alle imprese tramite bandi).
I fondi potrebbero anche essere utilizzati meglio. Il 30 per cento delle attività finanziate dai fondi sono in formazione obbligatoria (salute e sicurezza sul lavoro), mentre solo poco più del 3 per cento punta a sviluppare competenze informatiche.
C’è ancora molta strada da fare per migliorare la qualità della formazione. Il sistema di accreditamento degli organismi di formazione è sotto la responsabilità delle regioni, il che porta a notevoli differenze di qualità dell’offerta formativa sul territorio. Inoltre, benché alcuni fondi abbiano già cominciato a misurare la qualità della formazione, manca ancora un approccio sistematico alla valutazione di impatto.
Né vanno dimenticati i problemi relativi all’organizzazione e alla governance del sistema. Non esiste ancora un coordinamento formale tra i fondi, le istituzioni, e gli altri attori della formazione continua (regioni, centri per l’impiego). Questo può portare a una duplicazione di interventi e a una mancanza di sinergie tra le iniziative avviate dai vari attori.
In più, i fondi hanno bisogno di finanziamenti adeguati e sostenibili per funzionare bene. Negli ultimi anni, i governi hanno effettuato dei prelievi sulle risorse loro destinate, assorbendone più del 40 per cento nel 2017. Mentre inizialmente i prelievi sono stati utilizzati per finanziare misure di welfare nel contesto della crisi economica, dal 2015 in poi i prelievi sono diventati strutturali. Oltre che diminuire le risorse, il rischio è di compromettere la credibilità dei fondi e minare la fiducia nel sistema.
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Michele
La formazione è un fattore critico di successo nell’economia della conoscenza. Deve essere pagata dalle aziende che ne beneficiano, così come ogni altro fattore produttivo. Aboliamo questi fondi interprofessionali, chi vuole si paghi la formazione del suo personale, gli altri hanno la sorte segnata.
marco
Alcuni investimenti non sono soltanto nell’interesse di chi li compie, ma della collettività e del sistema economico nella sua interezza. La formazione è uno di questi. È questo il senso dell’intervento pubblico, che in questo caso passa anche per i Fondi Interprofessionali. La formazione, inoltre, è interesse sia dell’impresa sia del lavoratore: la prima la mette in atto per spingere la propria competitività, il secondo per la propria occupabilità… non è un caso se nell’ultimo rinnovo del CCNL metalmeccanici sia stato sancita l’esistenza di un diritto soggettivo (contrattuale) alla formazione. 24 ore in 3 anni: ancora poco, ma una svolta importante nella fissazione di questo principio.