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Risultati Invalsi: far finta di niente è una condanna per il Sud

Un grande problema di cui nessuno si preoccupa

In Italia non siamo mai stati in grado di esprimere un governo centrale che abbia la lungimiranza necessaria per affrontare il problema delle competenze cognitive al Sud, con effetti pesanti sulle possibilità di competere come paese alla frontiera tecnologica.

Chi altro potrebbe muoversi per farlo? Le regioni più avanzate, a questo punto, vogliono (comprensibilmente) andare per la loro strada. Al Sud, dei governi locali non ne parliamo. Gli insegnanti non sembra proprio che se ne occupino: a ogni livello scolastico si passa la palla al successivo. E le famiglie sono il primo problema: perché al Sud la variabilità fra scuole e classi è tre volte più alta che al Nord?

Mi dispiace suonare così pessimista, ma vivo a Palermo da più di 60 anni.

Al Sud non funziona la scuola dell’obbligo, ma serve ripeterlo? Dell’Invalsi fra una settimana non si sentirà più parlare, come ogni anno. Il nostro obbligo scolastico è di dieci anni, ma gli ultimi due, che dovrebbero costituire il completamento di un programma, sono invece i primi due passi della strada che conduce al diploma. Non ha alcun senso, ma chi vuole parlare di riforme della struttura (produttiva del servizio)? Di un 5+5 alla fine del quale soltanto in base a risultati valutati centralmente (come quelli dell’Invalsi) si possa essere ammessi ai due o tre anni di un diploma (possibilmente più flessibile di quello attuale), che a sua volta, con la stessa procedura, conduca agli studi universitari? Non saprei.

Sembra che a tutti vada bene così. Ovviamente alla fine chi resta fregato sono i ragazzi, ma cosa potrebbero fare? Quando aprono gli occhi sono già così indietro che non gli resta che spingere per tener bassi i livelli dei corsi, che altrimenti non riuscirebbero a seguire. E più della metà arriva al diploma con competenze da scuola media. Bocciati? Nemmeno per sogno: “Non è colpa loro” (il che è vero).

Tutti promossi, e chi può va all’università – pagando un quinto di quello che costa. Ma dobbiamo avere più laureati, quindi va bene così. Nel mio corso di laurea, in economia aziendale, fra due mesi si presenteranno 400 studenti, un successone. Faranno matematica e poi passeranno a economia politica con me. Cosa sanno? Qualche anno fa, in un appello poco frequentato, ho inserito nel compito un “quesito con la Susi” (dalla Settimana enigmistica, un problema che si risolve con un’equazione di primo grado); tutto documentato su lavoce.info. Hanno risposto in due su trenta. Ventotto bocciati? Non scherziamo. Se vanno fuori corso, il governo non paga, quindi “per cortesia non creiamo problemi”. Ma a tutto c’è un limite.

Ricomincerò a fare esami veri promuovendo chi merita, perché questo è il mio dovere. La verità è che l’entità dei fondi pubblici destinati alle università al Sud (specialmente a dottorati e lauree specialistiche) non è giustificata dai risultati che producono in termini di occupazione e differenziali di reddito. Sarebbe bene trasferirli in gran parte alla scuola dell’obbligo (per italiano, inglese e matematica), dove servono molto più capitale umano e incentivi sostanziosi agli insegnanti e alle famiglie che sostengono i loro figli nello sforzo che un apprendimento serio comporta.

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  1. Caro Professore,
    ho letto con interesse la sua lettera con cui lucidamente esprime la sua opinione “dal di dentro” del sistema scolastico. Non conosco la realtà del Sud e mi rimetto alla sua testimonianza che non ho alcuna difficoltà a condividere vista la insipienza politica che governa da (troppo) tempo il nostro Paese. Ho vissuto per decenni la Direzione Generale di aziende del Nord ed ho potuto conoscere (assumere) moltissimi giovani diplomati e laureati che si sono formati negli Istituti Superiori e Università del Nord. Nell’arco dei 40 anni della mia esperienza ho visto ampliarsi il gap culturale dei giovani che vengono “sospinti” fuori dalle scuole con votazioni e “crediti” di assoluta modestia e scarsi contenuti. La docenza è sempre più inadeguata in termini di preparazione ed interesse professionale verso la crescita formativa degli alunni. Alcuni sfuggono attraverso un grande impegno personale e alla fortuna di trovare professori appassionati che l’anzianità di servizio rende sempre meno numerosi. D’altra parte se coloro che insegnano sono figli di un sistema che non educa c’è da chiedersi come possa essere diverso. Non vorrei essere un pessimista ma non vedo un futuro positivo per i nostri figli (nipoti) in chiave di opportunità professionali interessanti e per le aziende in cui lavoreranno.

  2. Fabrizio

    Per la politica la scuola sono i docenti, cioè quelli che votano. E il paese declina.

  3. Chiara Fabbri

    Caro professore, cosa cé’di comprensibile nell’idea che chi ha gia’oggi piu’risorse ne voglia ancora sottrarre a chi ne ha meno?
    Se l’INVALSI certifica le scarse competenze prodotte dalla scuola meridionale e a questo non e’mai seguito un investimento qualitativamente e quantitativamente adeguato, questo vuol dire solo che i giovani del sud sono due volte traditi, una volta dalla loro classe dirigente locale che non rappresenta in sede nazionale i loro interessi e non esige per loro adeguate risorse, come invece fanno le regioni del nord, e una volta dalla classe dirigente nazionale, se ne esiste ancora una, che ritiene perfettamente accettabile abbandonare un terzo del paese. Se l’INVALSI servisse a qualcosa, dovrebbe indirizzare i migliori professori, i migliori dirigenti scolastici e una quantita’adeguata di risorse a risollevare le sorti delle scuole che sono certificate inadeguate, ma non e’successo e non succedera’, anzi l’INVALSI viene odiosamente utilizzato come una clava mediatica per certificare l’inferiorita’ontologica dei ragazzi del Sud, quasi una moderna gogna collettiva. Sarebbe utile che testate come la voce non si limitassero a ripetere il mantra del sud ignorante, ma a provvedere analisi degli investimenti (o mancati investimenti) seguiti ai risultati INVALSI negativi ed al relativo ritorno in termini di andamento di tali risultati. Se lei vive a Palermo, sa quante scuole forniscono il servizio di nido o il tempo pieno? E quante a Milano?

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