Lavoce.info

Chi fa ancora soccorso in mare?

Le missioni di ricerca e soccorso in mare si sono drasticamente ridotte. Una conseguenza del calo degli sbarchi, ma anche delle scelte politiche del ministro dell’Interno. Ora il rischio di morire durante la traversata nel Mediterraneo centrale è aumentato.

Un nuovo rinvio

Salta di nuovo il banco a Helsinki, tutto rinviato a settembre. Il vertice sull’immigrazione dei ministri dell’Interno Ue, che ha visto l’insolita partecipazione nella capitale finlandese di Matteo Salvini, si è concluso con un nulla di fatto. Per trovare un’intesa ci sarà bisogno di altre riunioni, ma se non altro le recenti vicende sembrano aver convinto gli stati Ue che non è possibile continuare con soluzioni raffazzonate ogni volta che arriva una nave carica di migranti. Il nuovo cantiere che si apre nasce anche dalla richiesta congiunta, di pochi giorni fa, dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e dell’Unhcr (Alto commissariato Onu per i rifugiati), che sollecita la ripresa delle missioni di soccorso in mare della flotta europea. Missioni che, come evidenziano i numeri, sono ormai affette da una grave atrofia.

Le missioni di soccorso dal 2013 al 2018

La storia recente del soccorso nel Mar Mediterraneo si snoda attraverso le principali missioni italiane o comunitarie via via succedutesi e coordinate dalla Guardia costiera italiana.

All’indomani del naufragio avvenuto al largo di Lampedusa nell’ottobre 2013, il governo italiano ha predisposto la missione Mare Nostrum, che ha recuperato oltre 160 mila persone e arrestato 366 scafisti nei suoi dodici mesi di attività fino al 31 ottobre 2014, quando si è deciso (inopportunamente) di sospenderla.

Al suo posto, l’agenzia europea Frontex ha inaugurato Triton, una missione – questa volta a guida europea – votata più che altro al controllo delle frontiere. La sua capacità e area di intervento erano significativamente ridotte rispetto a Mare Nostrum, tanto che l’operazione è stata ritenuta non soddisfacente. Il 1° febbraio 2018 a Triton è subentrata Themis, una missione con un mandato più ampio e più coerente con le nuove rotte migratorie.

Parallelamente, nell’aprile del 2015 il Consiglio europeo ha promosso la missione militare Eunavfor Med, più comunemente nota come Operazione Sophia. Prima del ritiro delle unità navali nell’estate 2018, conseguenza di un mancato accordo sulla ripartizione tra i paesi membri dei migranti salvati, Sophia ha soccorso circa 45 mila persone, una quota comunque più bassa rispetto ai soccorsi avvenuti tra il 2015 e il 2018 (figura 1).

Leggi anche:  Torna di moda lo ius scholae

Figura 1

Dai dati sulle persone soccorse tra il 2013 e il 2018 (figura 2), emerge immediatamente il declino del numero totale di salvataggi nell’ultimo anno, che ha interessato tutte le categorie di unità di soccorso. Una riduzione senz’altro compatibile con il ben noto e sbandierato calo degli sbarchi avvenuto tra il 2017 e il 2018, da oltre 119 mila a 23.370. Ma che trova eco anche nella stasi delle missioni europee e in una certa paralisi decisionale della Guardia costiera italiana, che continua sì a soccorrere, ma in gran parte dei casi non si fa più carico del coordinamento delle operazioni Sar.

Figura 2

Nell’arco degli stessi cinque anni, si può osservare chi ha giocato un ruolo chiave nel coprire i soccorsi avvenuti in mare, in totale 668.450 secondo i dati della Guardia costiera.

Figura 3

In prima linea, svettano la Guardia costiera e la Marina militare italiane, che si intestano oltre 160 mila operazioni Sar ciascuna (quasi un quarto); i numeri della Marina si riferiscono fino al 31 ottobre 2014 proprio alla missione italiana Mare Nostrum. È altrettanto evidente che il contributo delle missioni dispiegate da Frontex (così come quello dell’operazione Sophia) è più circoscritto: non più del 7 per cento dei soccorsi in mare.

I salvataggi compiuti da navi delle organizzazioni non governative (la cui prima azione risale ad agosto 2014) rappresentano invece una quota apprezzabile delle operazioni Sar: gli interventi sono in media il 18 per cento sull’intero quinquennio, ma nel 2016 e nel 2017 – gli anni dell’emergenza migratoria – le Ong hanno svolto rispettivamente il 25 e il 40 per cento dei salvataggi in mare, con un incremento del 133 per cento sul 2015. La stretta normativa, iniziata con l’emanazione del codice di condotta targato Marco Minniti e proseguita con l’azione muscolare del ministro dell’Interno Matteo Salvini, ha prodotto una netta riduzione dell’attività delle flotte umanitarie in mare (figura 4).

Figura 4

Un fatto balza subito agli occhi considerando le operazioni Sar mese per mese: i salvataggi delle Ong a partire da luglio 2018 sembrano ridotti a zero. A torto, potremmo supporre che abbiano interrotto le missioni poco dopo l’insediamento del governo Conte, ma la questione è più bizzarra: le operazioni svolte dagli assetti delle Ong (e anche molti salvataggi a opera della Marina militare e delle navi commerciali) non sono state più coordinate dalla Guardia costiera italiana.

Senza missioni di soccorso aumenta il rischio in mare

Leggi anche:  In agricoltura lo sfruttamento non è un destino

Ultimamente la Guardia costiera sembra meno prodiga anche nella divulgazione di dati: mancano infatti all’appello tanto il rapporto annuale 2018 sulle operazioni Sar quanto i report mensili del 2019. Ci viene parzialmente in aiuto il Viminale, che ha diffuso un singolo documento piuttosto smilzo sulle operazioni Sar dal 1° gennaio all’8 luglio 2019. I dati mostrano chiaramente che dei 3.073 migranti sbarcati in Italia nel 2019, soltanto 587 (il 19 per cento) sono giunti sulle nostre coste nel quadro di operazioni Sar. Di questi, in base alle elaborazioni del ricercatore dell’Ispi Matteo Villa, 248 sono arrivati a bordo di navi delle Ong. Il restante 81 per cento (2.486) è sbarcato invece in maniera autonoma: si tratta soprattutto di piccole barche sopraggiunte fino ai confini delle acque territoriali e poi trainate in porto dalle navi delle autorità italiane. I rischi sono inimmaginabili.

La sostanziale inattività delle missioni europee, come il decadimento della missione Sophia, e la politica vessatoria di Salvini nei confronti delle Ong hanno di fatto posto le basi per quella che è stata definita una vera e propria ecatombe nel Mar Mediterraneo. È vero che gli arrivi non sono mai stati così pochi (in gran parte per l’attività della Guardia costiera libica, che intercetta le persone in partenza e le riconsegna alle condizioni di violenza e precarietà dei centri di detenzione); ma il tasso di mortalità di chi tenta la traversata è in forte aumento. Secondo i dati dell’Oim, la rotta del Mediterraneo centrale è quella che miete più vittime: malgrado in termini assoluti i morti in mare siano diminuiti rispetto al 2018, la percentuale di morti rispetto alle partenze è passata dal 3,2 per cento nel 2018 al 5,2 per cento nel 2019. Il problema è innegabile: con l’annichilimento delle missioni di ricerca e soccorso, il rischio di morire a bordo di imbarcazioni fatiscenti è salito. A dispetto dello slogan “meno sbarchi, meno morti”.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Tutte le contraddizioni del governo sulle politiche migratorie

Precedente

Così il presidente dell’Ice censura l’analisi economica

Successivo

Un fantasma s’aggira per l’Italia: la web tax

  1. Alberto Scandroglio

    in effetti però il numero dei morti nei primi sei mesi dell’anno in valore assoluto è diminuito (da 954 a 361)

  2. Giacomo

    La conclusione dell’articolo lascia perplessi e rende meno credibile tutta la bella e dettagliata analisi che la precede. Meglio meno morti in assoluto ma di più in percentuale, o più morti in assoluto ma meno in percentuale? Perché non viene riportato il calo % del totale delle vittime?

  3. tuly

    bell’articolo, rovinato dalla mancanza del numero preciso di morti.
    Pur se vero che in percentuale queste siano aumentate, la mancanza del dato preciso sembra un modo per far passare più facilmente le proprie opinioni.

  4. jorge

    Una percentuale di morti rispetto alle partenze passata dal 3% al 5% a fronte di un numero di partenze drasticamente crollato significano una cosa sola: molti meno morti sulla rotta del mediterraneo centrale. Il resto sono considerazioni frutto di proprie valutazioni politiche e ideologiche, peraltro rispettabilissime.

  5. Giampiero

    Mi si consenta di richiamare la poesia di Trilussa sulla statistica ormai nella memoria storica della nostra cultura. A meno che che lo si consideri invece che un poeta popolare un acerrimo populista, il suo avvertimento alla gente comune di quanto ingannevoli sono certi discorsi sulle percentuali è sempre attuale.

  6. Mohamed Mahmoud

    Morti stimati e morti certi. Morti stimati da OIM comunque in calo assoluto rispetto ai morti stimati dell’analogo periodo precedente dalla medesima “Organizzazione Internazionale PER le Migrazioni” (o FOR migration, il nome è tutto un programma). Per fortuna delle vite sono state risparmiate, speriamo si proceda di questo passo bloccando presto ogni partenza irregolare (quindi insicura) via mare. Che si aprano corridoi umanitari oppure no è responsabilità degli Stati, non potere di organizzazioni non governative. Mi stupisco di come non si riescano a stringere accordi con Serraj affinché ogni nave che faccia ingresso in acque libiche senza autorizzazione sia posta sotto sequestro delle autorità libiche, ed i relativi equipaggi ivi arrestati e detenuti. E poi i capitani di mezzo mondo facciano ricorso al giudice per le indagini preliminari di Tripoli, con tutte le loro motivazioni tratte dal diritto internazionale l’indomani di un ricorso alla CEDU da questo organismo respinto.

  7. Arduino Coltai

    Non si riesce bene a capire cosa questo articolo si proponga di dimostrare. A me pare che l’unica cosa che risulta inequivocabile dai numeri è il fatto che meno persone partono, meno persone muoiono in mare. Certo per dimostrare questa inequivocabile verità non serve scrivere articoli, basta una conoscenza spicciola della statistica. L’utilizzo delle percentuali nella parte finale dell’articolo è fuorviante. Nel 2018 sono arrivate circa 23370 persone (dato riportato dagli autori). Il 3,2% di 23370 è 748 e questo è il numero delle persone morte in mare nel 2018. Nel 2019, tra arrivi sui barchini ed altro, sono arrivate fino ad ora 3073 migranti. Il 5,2% di 3073 è 160 persone morte in mare. Per quanto la contabilità dei morti sia qualcosa di ributtante, qualcuno potrebbe forse affermare che sono morte più persone nel 2019 rispetto al 2018? Ed allora, per quanto gli autori si arrampichino sugli specchi, i dati che presentano non dimostrano forse che meno persone partono, meno persone muoiono in mare? Non capisco perché su questo sito si continuino a presentare (in modo fuorviante) dati numerici che dimostrerebbero che dal punto di vista dell’efficacia nel controllo dell’immigrazione clandestina quanto fatto dal ministro Salvini sia meno efficace di quanto fatto in precedenza. Ripeto quanto avevo già scritto: la politica del contenimento degli arrivi è per definizione più efficace di quella dell’accoglienza indiscriminata e lo è sia dal punto di vista del controllo dell’immigrazione clandestina che da quello della riduzione dei morti in mare.

  8. Henri Schmit

    Grazie di quest’ottima analisi ed informazione. A prescindere dalle percentuali la diminuzione del numero dei morti in mare è ovviamente un progresso. Considerati i rischi per la vita e l’inaccettabile traffico umano, anche il calo dei flussi è obiettivamente un successo, a prescindere da come si giudichi la politica dei vari governi. Quello che l’articolo non considera è il flusso di migranti non intercettati in mare, quelli sbarcati autonomamente, in particolare in Grecia dove la distanza con la Turchia è di poche miglia, quelli che viaggiano per terra (se ce ne sono ancora) e quelli bloccati in Libia o altrove, spesso in condizioni disumane. Anche di quelli ci dobbiamo occupare, perché il massimo che si possa sperare è proprio che le pratiche di immigrazione (identità, richieste, procedure, accoglienza o rimpatrio) si possano svolgere prima che gli interessati intraprendano un viaggio pericoloso e clandestino. Anche quello è di nostro interesse e di nostra responsabilità, visto che siamo dipendenti della sicurezza dei territori da dove provengono le nostre materie prime e fonti energetiche. La Francia ha capito ed agisce di conseguenza.

  9. Enrico Motta

    L’articolo si conclude criticando lo slogan “meno sbarchi, meno morti”. Ma guardate che voi riportate dati che si riferiscono, e dimostrano un’altra cosa, cioè: meno imbarchi (non meno sbarchi), meno morti. Non vorrei che la passione politica vi spingesse a disinteressarvi della riduzione del numero dei morti. Per consolarvi politicamente, guardate che già da luglio 2017, governo Gentiloni/Minniti, diminuirono gli imbarchi e con essi i morti nel Mediterraneo.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén