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Più donne nel Parlamento Ue, un passo verso la parità

La parità di genere è uno dei principi fondamentali dell’Unione Europea. E il nuovo Parlamento di Strasburgo è il più inclusivo di sempre. Sarà compito suo e della futura Commissione continuare a promuovere la partecipazione delle donne in ogni campo.

Le donne nel Parlamento europeo

La nona legislatura (2019-2024) del Parlamento europeo ha la più alta presenza femminile di sempre: le donne rappresentano oggi il 40 per cento degli eurodeputati. La loro percentuale è cresciuta in ogni legislatura, partendo dal 1979 – quando solamente il 15,2 per cento degli eurodeputati erano donne – fino ad arrivare alla scorsa legislatura in cui erano il 36,4 per cento.

La parità di genere rappresenta uno dei principi cardini dell’Unione Europea espresso nell’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea (Tue). Nonostante le numerose azioni promosse dalle istituzioni europee per promuoverla, le leggi elettorali per il Parlamento europeo sono stabilite dai singoli stati, che possono decidere l’età minima per l’elettorato attivo, la soglia di sbarramento per l’ingresso nel Parlamento e la presenza o meno di azioni positive per promuovere la presenza femminile. È un elemento che rende spesso disomogenee le rappresentanze dei vari stati. Infatti, benché la presenza del 40 per cento di donne sia stata accolta come un successo dal nuovo presidente del Parlamento europeo, non tutti i paesi dell’Unione Europea sono stati ugualmente virtuosi.

Medaglie d’oro e cucchiai di legno per parità di genere

Dei 28 paesi membri, 13 sono al di sotto della media del 40 per cento. Uno è la Germania, stato membro con il più alto numero di seggi all’interno del Parlamento, che ha il 35 per cento di europarlamentari donne. Nella nona legislatura il paese con il risultato peggiore è Cipro, che non ha eletto nemmeno una donna. Va detto, però, che Cipro ha solo 6 seggi, quindi è più facile che ciò si verifichi.

Alcuni stati sono invece riusciti a ottenere la perfetta parità di genere: Austria, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Slovenia. Tra questi, solo Lussemburgo e Slovenia hanno utilizzato le quote di genere. Gli altri stati che hanno fatto ricorso a questo meccanismo sono Francia, Belgio, Spagna, Portogallo, Polonia, Romania, Croazia, Italia e Grecia, seppur con regole diverse. Ad esempio, in Grecia le quote di rappresentanza di genere dovevano assicurare la presenza in ogni lista del 33 per cento di donne, mentre in Belgio è richiesta la stessa percentuale di candidati uomini e donne.

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Grafico 1

Candidate ed elette italiane

L’Italia è perfettamente in linea con la media europea, con il 41 per cento di donne elette. A questo risultato si è arrivati con una legge elettorale che prevede la terza preferenza – purché per un candidato di genere diverso (due uomini e una donna o due donne e un uomo) – e liste con almeno il 50 per cento di donne. Tutti i partiti, a eccezione di Fratelli d’Italia, hanno presentato più candidati donne che uomini, ma tra gli eletti le differenze sono notevoli: il partito che ha portato la più alta percentuale di donne in parlamento è stato il Movimento 5 stelle, con il 57 per cento del totale. Anche la Lega ha più europarlamentari donne che uomini, il 53 per cento. Nel Partito democratico, invece, su 19 eletti 7 sono donne, il 36 per cento. Non c’è poi nessuna donna tra gli europarlamentari di Forza Italia e Fratelli d’Italia.

A livello di circoscrizioni, la presenza di genere nelle liste era sempre intorno al 50 per cento. Ma l’unica circoscrizione ad aver eletto lo stesso numero di uomini e di donne è stata quella di Nord-Est, mentre la circoscrizione Italia meridionale è quella che ha eletto meno donne, il 35 per cento.

I fattori che possono spiegare queste differenze sono vari. Possono riguardare le preferenze dei votanti e le specifiche scelte dei partiti sui candidati, ma anche le modalità di campagna elettorale adottate dai singoli candidati – quanto forte sia stata la loro presenza sui media e sui social.

Analizzando le caratteristiche dei candidati e delle candidate, in quasi tutti i partiti gli uomini hanno già avuto ruoli politici (sono ex eurodeputati, ex parlamentari o amministratori locali) più spesso delle candidate donne. La differenza tra i due gruppi si assottiglia se si confrontano invece gli eletti e le elette. Ciò suggerisce che le donne elette sono generalmente quelle ad aver già ricoperto cariche politiche precedenti, segnalando che l’esperienza influisce positivamente sulla probabilità di elezione.

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Quel che resta da fare

Sebbene l’equilibrio di genere non sia stato ancora raggiunto, il Parlamento europeo appena eletto è uno dei più rappresentativi della popolazione femminile. La media mondiale dei parlamenti nazionali si aggira intorno al 23 per cento, mentre quella dei parlamenti nazionali europei è al 28 per cento. Il Parlamento europeo ha lavorato molto per assicurare una maggiore parità tra uomo e donna sia al suo interno sia nel mondo del lavoro e in ogni aspetto della vita sociale. Nell’ultima legislatura, si è per esempio impegnato sul fronte del congedo parentale e di paternità. La legge europea, a cui tutti gli stati dovranno adeguarsi entro tre anni, stabilisce i requisiti minimi al fine di facilitare la conciliazione tra lavoro e vita familiare per le donne e rafforzare il ruolo del padre all’interno del nucleo familiare. La lotta contro la differenza salariale tra uomo e donna è stata invece espressa nel Piano d’azione 2017-2019. Su questo tema resta comunque ancora molto da fare. L’Unione europea si è anche impegnata per favorire una maggiore occupazione femminile attraverso programmi mirati, come ad esempio lo European Network for Women in Digital.

Il nuovo Parlamento europeo ha ancora molta strada da fare per aumentare la presenza delle donne e il loro benessere all’interno della società in cui vivono. Il più alto numero di donne elette di sempre potrebbe aiutare il cammino verso questo obiettivo, soprattutto se la presenza femminile sarà significativa anche all’interno della Commissione europea, come la sua neoeletta presidente Ursula von der Leyen ha auspicato nel primo discorso.

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  1. Henri Schmit

    Esprimo un parere controcorrente. Le statistiche sono interessanti, ma le misure costrittive anti-discriminatorie non servono più. Sono da sempre convinto che una “equa” presenza di donne nelle assemblee rappresentative sia un grande vantaggio per la qualità del processo deliberativo – oltre che un diritto delle donne, ma solo come possibilità di accesso, non come garanzia di rappresentanza. Sono contro le misure di “affirmative action” che sono un vincolo che può solo peggiorare la democraticità e quindi la legittimità della rappresentanza. Sono contro l’obbligo di preferenze alternate, un’umiliazione per le donne veramente in gamba, che non ne hanno bisogno. Anzi, se gli altri partiti escludono (troppo) le donne, io faccio un partito pieno di donne, dandomi un vantaggio competitivo sicuro, se il resto del mio programma quadra. Nella vita pubblica di oggi almeno in Italia e nei paesi core-Europe che conosco un po’, non ci sono più barriere o discriminazioni all’accesso delle donne alla rappresentanza. Le barriere alla rappresentanza politica ci sono, e come, ma non riguardano le donne; le ingiustizie nei confronti delle donne ci sono, ma non sono particolari alla carriera politica. i veri problemi della rappresentanza politica sono ben altri. A prescindere dei dati dell’interessante analisi, poco importa se l’assemblea si compone di più uomini o di più donne. PS: alle europee ho espresso una sola preferenza, per una donna.

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