La Corte dei conti europea ha pubblicato un rapporto sull’uguaglianza di genere nel bilancio e nei programmi di spesa della Ue. I risultati sono insufficienti. Si tratta ora di dimostrare che la parità di genere conta nei fatti e non solo nei programmi.

L’impegno europeo

La Corte dei conti europea ha pubblicato il 26 maggio un rapporto su quanto (poco) la prospettiva di genere attraversi il bilancio comunitario e i programmi di spesa dell’Unione Europea. Un segnale di preoccupazione sul complesso delle risorse –in crescita- che passano dal budget UE.

Il gender mainstreaming è uno strumento per garantire che le politiche decise a qualunque livello di governo e le risorse a esse allocate rispettino l’uguaglianza di genere. È anche uno strumento che dovrebbe prevenire che dalle politiche adottate emerga un vantaggio – anche inconsapevole – di un genere rispetto all’altro. Il principio a cui si ispira è che l’uguaglianza tra uomini e donne debba essere promossa attivamente a tutti i livelli di policy-making e in tutte le aree di intervento, comprese quelle che non hanno direttamente ed esplicitamente a che fare con la parità di genere.

Le istituzioni europee, almeno a parole, sono molto impegnate nel raggiungimento della parità di genere e nell’utilizzo del gender mainstreaming. Il Trattato sul funzionamento dell’Ue (Tfeu) impone all’Unione l’impegno nella promozione dell’uguaglianza di genere in tutte le sue attività. L’implementazione del gender mainstreaming è menzionata nella dichiarazione di Pechino delle Nazioni Unite del 1995 e la parità di genere è anche uno degli Obiettivi di sviluppo sostenibile adottati nel 2015, su cui anche l’Unione europea si è impegnata.

Il Consiglio e il Parlamento europeo hanno più volte ribadito la necessità di realizzare più velocemente gli impegni presi in questo ambito e di recente è stata adottata la Strategia per la parità di genere 2020-2025 della Commissione per indicare quali ulteriori passi dovranno essere compiuti per ridurre le disuguaglianze. Disuguaglianze che, tra l’altro, sacrificano le potenzialità di crescita dell’Unione e, in particolare, dei paesi che hanno ritardi maggiori su questo fronte (figura 1).

La realtà dei fatti

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Nella pratica, però, gli sforzi e le azioni messe in atto non sono ancora sufficienti. Non è un’opinione, ma è la conclusione a cui giunge la Corte dei conti europea sulla base della revisione del budget europeo 2014-2020, finalizzata a valutare se il ricorso al gender mainstreaming sia stato adeguato, anche in vista della nuova Strategia per la parità di genere e dei fondi europei che verranno utilizzati per il Next Generation Eu. La Corte ha verificato se l’attuazione delle strategie per la parità di genere sia avvenuta secondo i quattro paletti individuati dall’Ocse: verifica dell’analisi di genere nelle valutazioni di impatto, identificazione degli obiettivi di genere nel budget, monitoraggio dei risultati tramite indicatori e assunzione di responsabilità (accountability) tramite la redazione di rapporti.

Dei 58 programmi di spesa nel budget 2014-2020, solo quattro includevano inizialmente riferimenti specifici alla promozione della parità di genere tra i propri obiettivi. Dei mille indicatori utilizzati dalla Commissione per la valutazione dei programmi di spesa, solo 29, da cinque programmi, coprivano misure legate, ad esempio, al gender pay gap o al tasso di disoccupazione femminile. Questi cinque programmi insieme costituivano il 21,7 per cento del budget europeo (235,9 miliardi di euro); il restante 78,3 per cento (851,1 miliardi) non conteneva alcun indicatore legato al genere (figura 2). La Commissione ha cercato di rimediarvi, includendo il gender mainstreaming in 34 delle 58 dichiarazioni di valutazione (ognuna riferita a un programma di spesa del budget) rilasciate nel 2020 (figura 3), ma secondo la Corte manca ancora un metodo comune e organico per le valutazioni e molte delle informazioni riportate rimangono incomplete. Per esempio, solo 10 delle 58 dichiarazioni di valutazione della Commissione fornivano stime finanziarie dell’effettivo contributo del budget all’obiettivo della parità di genere.

Nonostante la crescente consapevolezza sull’importanza di ridurre la disuguaglianza di genere, il percorso verso la parità è ancora incompiuto. L’indice di uguaglianza di genere elaborato dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere è pari a 67,9 per l’Unione europea a 28, mentre la piena uguaglianza richiederebbe un indice pari a 100. Le disuguaglianze sono nel mercato del lavoro, nei redditi durante la vecchiaia, nell’uso del tempo, nella politica, nella salute. Ci sono forti differenze tra paesi e l’Italia, soprattutto per i suoi ritardi sul mercato del lavoro, ha un valore dell’indice inferiore a quello medio (63,5) mentre il gap di genere nel tasso di occupazione è di circa 20 punti percentuali, uno dei più elevati tra gli stati europei.

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È un momento importante per l’Europa, in cui le risorse in gioco sono elevate. È anche chiaro, sulla base dei dati raccolti finora, che l’impatto della recessione è stato diverso tra uomini e donne e è andato ad incidere su una situazione strutturalmente già sbilanciata. Siamo al banco di prova per dimostrare quanto l’uguaglianza di genere conti nei fatti e non solo nei programmi. Il richiamo della Corte dei conti europea sarà una leva di miglioramento? Si passerà, come il titolo del rapporto suggerisce, dalle parole all’azione?

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