Il riconoscimento di una maggiore autonomia a Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto sulle questioni ambientali sarebbe un premio alla loro capacità di trovare soluzioni. E il governo dovrebbe estendere le loro buone pratiche al resto del paese.

Le regioni e il ciclo dei rifiuti

I problemi della gestione dei rifiuti sono un buon esempio di cosa accade quando le regioni non fanno bene il loro lavoro: per legge, spetta loro il compito di assicurare l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani, individuando i fabbisogni e pianificando gli impianti. Quando per l’incapacità di trovare soluzioni o per biechi motivi di consenso elettorale vengono meno ai loro doveri, il conto è salato.

Ma l’Italia non è tutta uguale. Ci sono regioni che hanno una tradizione di buone scelte in materia di ambiente e altre, invece, dove le crisi periodicamente si susseguono.

Una geometria variabile che forse meriterebbe una riflessione anche sul ruolo che il governo, tramite i suoi dicasteri, può (e deve) esercitare attraverso poteri sostitutivi quando le emergenze ricorrenti rivelano l’imperizia degli amministratori locali nel trovare risposte o costruire il necessario consenso per renderle fruibili.

Il dibattitto sul federalismo differenziato, con le istanze autonomiste di Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, in materia di ambiente offre alcuni spunti di riflessione.

Per quanto riguarda i rifiuti, la discussione verte principalmente su cinque competenze.

Lombardia e Veneto hanno chiesto al governo la devoluzione della scelta dei criteri di assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani. In altre parole, vorrebbero poter decidere quali rifiuti prodotti dalle imprese possono essere ricompresi tra quelli urbani e, quindi, gestiti negli stessi impianti.

Tutte e tre le regioni chiedono di poter disciplinare i criteri per distinguere quali scarti dell’attività produttiva sono sottoprodotti che possono essere gestiti come beni, anziché come rifiuti, con indubbi benefici in termini di minori oneri amministrativi. Così come vorrebbero poter delineare i criteri di end of waste (EoW), per rilanciare l’economia circolare.

La disciplina EoW concerne il processo che consente a un rifiuto di trasformarsi in un prodotto, passando dall’essere un costo all’avere valore e uscendo così dalla più rigida disciplina amministrativa e dei controlli dei rifiuti. Le tre regioni dovrebbero anche disciplinare l’utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura: sono costituiti da materiali e fluidi di scarto dei processi di depurazione delle acque reflue urbane e da sempre sono impiegati in agricoltura poiché migliorano la fertilità dei terreni.

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L’Emilia-Romagna, poi, vorrebbe decidere quando autorizzare lo smaltimento in regione dei rifiuti che derivano dal trattamento di quelli urbani indifferenziati provenienti da altre regioni e la possibilità di stabilire la misura della compensazione economica che le deve essere riconosciuta in quanto regione che li accoglie.

Acque e ambiente       

Meno interessato dalle richieste di autonomia appare l’ambito della tutela delle acque e dell’ambiente.

La Regione Emilia-Romagna chiede che sia confermata la competenza regionale nell’individuazione degli ambiti di gestione del servizio idrico integrato (ambiti territoriali ottimali), ossia del disegno dei territori per l’organizzazione del servizio, con confini pensati per raggiungere economie di scala. Vorrebbe anche poter decidere sulle norme e le azioni per la corretta gestione delle acque.

L’Emilia-Romagna vorrebbe poter incidere sulla pianificazione delle autorità di bacino distrettuale, cioè sulle scelte degli enti che organizzano la gestione dei bacini idrografici, sulle misure necessarie alla tutela qualitativa e quantitativa dei sistemi idrici e sui criteri per il riutilizzo delle acque reflue, una volta depurate.

Cosa cambia?

La portata della riforma non è tanto in termini di risorse da trasferire dal centro alla periferia, che ammontano, per l’intera materia ambientale a circa 73 milioni di euro per la Lombardia, 42 milioni per il Veneto e 36 per l’Emilia-Romagna, con un’incidenza complessiva sul totale pari all’1,4 per cento.

La questione vera è se concedere o meno a queste amministrazioni regionali un rafforzamento delle competenze. E la decisione dovrebbe essere presa sulla base di come hanno operato in precedenza.

In materia ambientale, le tre regioni vantano numerose buone pratiche, attestandosi certamente come le più virtuose del paese. Lombardia ed Emilia-Romagna sono, per esempio, le uniche due regioni autosufficienti nello smaltimento dei rifiuti urbani (autosufficienti nella gestione del rifiuto urbano). La Regione Veneto è, invece, la prima per incidenza della raccolta differenziata: nel 2017 ha sfiorando il 74 per cento.

Il più ampio margine di manovra che potrebbe essere loro consentito – in un’area che dal 2001 è segnata da un forte conflitto istituzionale – sancirebbe il riconoscimento delle buone esperienze di governo sulla materia ambientale, che spesso hanno colmato i ritardi e gli stalli nelle risposte delle amministrazioni centrali.

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Non si tratta di allargare gli squilibri territoriali del paese, che da tempo viaggia a velocità diverse, ma di riconoscere che anche dal buon governo dei territori possono nascere stimoli per tutti.

Al governo spetta il compito di estendere le buone pratiche di queste regioni anche a quelle rimaste indietro e, se possibile, di ridurre i tanti ritardi del resto d’Italia.

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