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Mano leggera dell’Antitrust sulle violazioni di Ferrovie

L’Autorità garante ha chiuso un procedimento contro Fsi con una multa da mille euro, pur sottolineando che le condotte delle società del gruppo rappresentavano una grave violazione delle leggi a tutela concorrenza. Si tratta di un precedente pericoloso.

La vicenda Fsi-Regione Veneto

L’abuso è grave, ma la sanzione non è seria. Si può sintetizzare così il provvedimento dell’Autorità antitrust contro le Ferrovie dello stato, chiuso con una multa simbolica da mille euro. Secondo il garante della concorrenza, il gruppo avrebbe adottato una “strategia complessiva volta a sfruttare indebitamente la posizione dominante detenuta da Rfi (Rete ferroviaria italiana) nel mercato della gestione e del potenziamento della rete […] per ottenere dalla Regione Veneto l’affidamento diretto dei servizi ferroviari a favore di Trenitalia”.

Tutto inizia nel 2013, quando la Regione Veneto, insoddisfatta per il servizio erogato da Trenitalia, disdetta il contratto e avvia una procedura per la selezione competitiva di un nuovo operatore. In parallelo, la Regione discute con Rfi (l’operatore di rete, anch’esso del gruppo Fsi) la realizzazione di investimenti sulla rete, con particolare riferimento all’elettrificazione di alcune tratte all’epoca servite da convogli diesel: la fase I riguarda tre tratte pedemontane, mentre la fase II il cosiddetto anello basso bellunese. La documentazione interna di Rfi, messa agli atti dall’Antitrust, mostra che la seconda tranche non era considerata prioritaria dall’operatore infrastrutturale. È qui che le cose cambiano. I funzionari dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato trovano numerose evidenze – sia tra le comunicazioni interne, sia nei materiali destinati a incontri esterni, in particolare con la Regione Veneto – di prassi in contrasto con gli obblighi di separazione e indipendenza della rete. In sintesi, grazie anche all’ampia discrezionalità di cui Rfi gode nell’indicare la priorità delle opere – rispetto ai ministeri dei Trasporti e dell’Economia –, all’interno del gruppo Fsi le decisioni di investimenti infrastrutturali non seguirebbero un criterio di merito, ma risponderebbero all’obiettivo di massimizzare l’utile di gruppo. Quindi, nel caso specifico, l’elettrificazione dell’anello basso bellunese sarebbe stata subordinata al rinnovo del contratto di servizio con Trenitalia, per la durata massima consentita dalla normativa europea (15 anni).

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Il gioco è talmente scoperto che, in un comunicato stampa del 1° ottobre 2016, la Regione Veneto dichiara che “l’elettrificazione del cosiddetto anello basso è fattibile senza problemi a fronte di un miglioramento del contratto di servizio con Trenitalia che ne giustifichi l’investimento (…). Se non si elettrifica non si fa il nuovo contratto dieci più cinque”. Il cambiamento di strategia della Regione è repentino: nel giro di pochi mesi si passa da “sono inferocito per il servizio offerto ai pendolari veneti” a “abbiamo deciso di riassegnare senza gara il contratto di servizio dal valore di 4,5 miliardi a Trenitalia per i prossimi 15 anni” (in entrambi i casi, sono parole del presidente della Regione Veneto, Luca Zaia). Si raggiunge addirittura il paradosso quando una società concorrente, Arriva, controllata dalla tedesca Deutsche Bahn, manifesta alla Regione Veneto la richiesta di essere presa in considerazione per un confronto competitivo. La reazione di Trenitalia è quella di offrire condizioni migliorative pur di garantirsi l’affidamento diretto, come puntualmente avverrà. È proprio dalla segnalazione di Arriva che nasce l’indagine dell’Antitrust.

Il colpo di scena

La conclusione del garante è secca: le condotte delle società del gruppo Fsi “costituiscono una violazione grave della disciplina a tutela della concorrenza” che si è protratta “almeno a partire dal mese di marzo 2016”, cioè da quando esiste prove documentali sulle strategie di Fsi. La legge antitrust italiana, nei casi conclamati di abuso, prevede la possibilità di elevare sanzioni fino al 10 per cento del fatturato. Ecco, però, il colpo di scena: “Nel caso in esame, deve essere considerato il contesto entro cui la complessa e unitaria strategia escludente è stata posta in essere e, in particolare, il fatto che l’Accordo quadro con la Regione porterà, comunque, a un miglioramento infrastrutturale della rete in termini di innovazione tecnologica. Tale circostanza giustifica l’irrogazione alle società Fs, Rfi e Trenitalia di una sanzione pecuniaria simbolica pari a 1000 euro”. In pratica, proprio la pistola fumante viene considerata alla stregua di un’attenuante: è vero, dice il garante, che le Ferrovie non avrebbero dovuto legare l’esecuzione di investimenti nella rete all’ottenimento del contratto di servizio. Ma, poiché in tal modo l’anello basso bellunese verrà elettrificato, il consumatore in fondo ci guadagna, quindi il monopolista pubblico può andarsene con un buffetto sulla guancia. C’è, in questa decisione, un triplice errore di prospettiva.

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In primo luogo, l’esecuzione degli investimenti non dipende dalle risorse del contratto di servizio, ma da altri finanziamenti (nazionali e regionali): di conseguenza, anche al di là dell’abuso, non vi è alcun nesso logico tra l’affidamento a Trenitalia e le opere di Rfi. Secondariamente, non è chiaro rispetto a cosa migliori il benessere del consumatore: forse rispetto allo status quo precedente, ma certamente non rispetto all’ipotesi nella quale Rfi esegue comunque l’investimento mentre l’operatore del trasporto regionale viene selezionato tramite gara. In terzo luogo, questa decisione – una delle prime dell’era di Roberto Rustichelli alla presidenza dell’Antitrust – si inserisce in un contesto del tutto peculiare. Infatti, è possibile che il garante debba a breve pronunciarsi sul merger tra Trenitalia e Alitalia, al cui perfezionamento l’attuale numero uno delle Ferrovie ha subordinato la realizzazione del collegamento in alta velocità all’aeroporto di Fiumicino.

L’incoerenza tra la gravità delle condotte e l’entità della sanzione, dunque, non solo mina l’autorevolezza dell’Antitrust, ma rischia di rappresentare un precedente e suscitare il sospetto di un atteggiamento di favore dell’Autorità verso le imprese pubbliche.

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Se anche il comune va a caccia di evasori

  1. Claudio Martinelli

    secondo me le infrastrutture dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni son un monopolio naturale. Se non sbaglio, lo sosteneva anche Einaudi. Questo mondo non lo capisco proprio. Quando la produzione di energia elettrica fu liberalizzata, molti volevano fare affari, e sostenevano che l’Italia rischiava ol black out. Non e’ successo. Come si fa a rendere sostenibili per l’ambiente questi servizi se il tutto si riduce ad un business per remunerare azionisti e manager?

  2. francesco di bella

    La natura stessa dalle Ferrovie dello Stato, finta società di diritto privato che investe al 100% capitale pubblico (quindi di tutti i cittadini) genera un ibrido mostruoso. Purtroppo finalizzare la logica del profitto al pubblico servizio non funziona: trasporti, sanità, servizi a rete, e chissà quant’altro, ne sono un esempio. da quando si privatizza in Italia, sfido chiunque a dire che generalmente i servizi sono migliorati.

  3. Paolo Galli

    Anche nel caso SIAE (27359 del 25.9.2018) l’antitrust ha irrogato una sanzione simbolica di 1000 euro, pur ravvisando condotte gravi perpetrate dall’1 gennaio 2012.

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