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Più che i pagamenti elettronici serve il profilo dell’evasore

Premiare i pagamenti elettronici serve a poco, perché l’utilizzo di questi dati per contrastare l’evasione è molto limitato. La possibilità di usare l’anagrafe dei rapporti per l’analisi del rischio evasione è stata bloccata dal Garante della privacy.

Pagamenti elettronici ed evasione fiscale

La proposta del Centro studi di Confindustria di premiare i pagamenti elettronici (e tassare quelli fatti utilizzando i contanti) può avere diverse motivazioni, ma sarebbe ben difficile da giustificare sulla base del suo effetto sull’evasione fiscale. La ragione è molto semplice: non è vero che i pagamenti elettronici siano singolarmente tracciati ai fini fiscali (solo il saldo iniziale, quello finale e la giacenza media sono trasmessi dalle banche all’anagrafe dei rapporti finanziari in base all’articolo 11 del decreto legge 201/2011, il cosiddetto “salva Italia”, e alla sua successiva attuazione) e, soprattutto, l’uso effettivo dei dati già oggi disponibili sui pagamenti elettronici ai fini del contrasto dell’evasione è molto limitato.

Cerchiamo di capire il perché, rielaborando le osservazioni critiche già esposte dalla Corte dei conti nel 2017.

Secondo quanto previsto dal decreto “salva Italia”, le informazioni dell’anagrafe dei rapporti dovrebbero servire sia per mappare il rischio fiscale e individuare i contribuenti che più probabilmente hanno evaso le imposte, sia per raccogliere maggiori informazioni su contribuenti che sono (per ragioni evidentemente diverse) già oggetto di indagine. Alla prima possibilità faceva riferimento il decreto 201/2011 quando prevedeva l’“elaborazione con procedure automatizzate (…) di liste selettive di contribuenti a maggiore rischio di evasione secondo criteri individuati con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate” (articolo 11, comma 4, dl 201/2011) ovvero la profilazione individuale del rischio fiscale. La seconda possibilità è nota come indagine finanziaria, ovvero la possibilità di richiedere, previa autorizzazione del direttore regionale o del direttore centrale degli accertamenti dell’Agenzia delle entrate ovvero del comandante generale della guardia di finanza, dati relativi a rapporti e operazioni effettuate da determinati soggetti sottoposti ad indagine.

Nessuna di queste possibilità è oggi sfruttata pienamente dall’amministrazione finanziaria.

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Gli effetti del provvedimento del Garante della privacy

Il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate di individuazione dei criteri di rischio non è stato neppure emanato perché è iniziata una lunga discussione tra l’Agenzia stessa e il Garante della privacy. Quest’ultimo, in un significativo provvedimento del 17 aprile 2012, ha sepolto in due mosse la possibilità di utilizzare l’anagrafe dei rapporti per l’analisi del rischio.

In primo luogo, ha sostanzialmente disconosciuto questo tipo di funzione (che pure è riconosciuta dalla legge) affermando che fosse giustificato mettere in discussione “l’acquisizione e la duplicazione (…) di una moltitudine di dati che, laddove necessari ai fini di accertamento, risultano già disponibili all’amministrazione finanziaria attraverso la procedura dell’indagine finanziaria”. L’affermazione contiene un’aporia logica: se l’analisi dei dati serve a capire quando fare l’indagine, non può evidentemente essere limitata dai casi in cui l’indagine è già in corso.

In secondo luogo, il Garante ha affermato che sussiste nell’ordinamento “il divieto di adottare atti o provvedimenti amministrativi fondati unicamente su un trattamento automatizzato di dati personali volto a definire il profilo o la personalità dell´interessato” opponendosi quindi alla profilazione massiccia del rischio fiscale. La vicenda è quindi terminata (per ora) con la cosiddetta sperimentazione, su poche centinaia di contribuenti, dell’analisi del rischio.

D’altronde, secondo il rapporto della Corte dei conti citato in precedenza, le indagini finanziarie sono andate progressivamente calando nel corso degli anni. Nel 2017, l’Agenzia delle entrate ne ha espletate 1.601 (contro le 2.846 dell’anno precedente e le 4.793 del 2015) e la Guardia di finanza ne ha fatte 82.605 (contro le 208.258 del 2016 e le 158.042 del 2015). Tuttavia, nella Relazione sul contrasto all’evasione fiscale si legge che, per la Guardia di finanza, nel 2017 le indagini finanziarie hanno dato origine a 2.324 interventi.

Le ragioni dello scarso uso delle indagini finanziarie non sono note, ma potrebbero avere a che fare proprio con la lunghezza e la complessità delle procedure, oltre che con i problemi di qualità dei dati segnalati dalla stessa Corte dei conti.

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Poiché già oggi i dati sui pagamenti elettronici sono ben poco utilizzati nel contrasto dell’evasione, non si capisce come, a quadro organizzativo e legislativo dato, un loro aumento dovrebbe far crescere le capacità dell’amministrazione finanziaria di ridurre l’evasione.

Cosa serve, quindi? In primo luogo, bisogna rimuovere il divieto oggi esistente alla profilazione su larga scala del rischio fiscale: per questo è necessario che il Garante cambi la sua interpretazione oppure che venga varata una legge apposita. In secondo luogo, l’amministrazione finanziaria deve essere in messa in grado di usare questi dati, e quindi deve essere dotata dell’organizzazione nonché delle risorse umane e materiali necessarie allo scopo. Infine, ma si tratta dello sviluppo più affascinante, le informazioni nell’anagrafe dei rapporti sarebbero utilizzabili con l’adozione di iniziative specifiche da impiegare prima che la dichiarazione o l’adempimento fiscale venga svolto, utilizzando le moderne tecniche di predizione dei comportamenti individuali. Se queste riforme e queste innovazioni venissero adottate, allora anche le proposte di incentivazione dell’uso della moneta elettronica potrebbero acquisire maggiore efficacia per il contrasto dell’evasione fiscale.

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18 commenti

  1. Savino

    Agli italiani non garba tutto ciò. Gli italiani premiano solo i politici che fanno le cose che a loro garbano: condoni, sanatorie di abusi ecc. e, poi, baby pensioni, assistenzialismi vari ecc. Italiani brava gente?

  2. Paola Vedana

    Vorrei proprio che i contanti non venissero più utilizzati. Che dice, potremmo allora riuscire a non avere più pagamenti in nero, riciclaggio, estorsioni, pizzo ecc…?

    • z f k

      Eliminato il contante, si trova una diversa “moneta” (che so, orologi d’oro per la corruzione? viaggi? cene “eleganti”?), è solo questione di convenzione.
      Se non si dovesse trovare un denominatore comune a prenderne il posto, si arriverà al baratto puro e semplice.

      CYA

    • Maurizio Bertini

      Senza contanti, le banche e i gestori di carte di credito sapranno tutto di come spendiamo i nostri soldi e quindi sapranno tutto di noi in una misura che Google, Facebook e i servizi segreti neanche si sognano.
      Per pizzo ed estorsioni senza contanti, se fossi un mafioso: o mi dai questo e quello della tua merce o ti faccio spaccare il negozio. Ci arrivavano perfino i bulletti alle medie quando ero un ragazzino e i pochi computer in giro erano grandi come armadi.

      • Max

        Sicuramente però nascondere, far sparire o rivendere 100 kg di Rolex, o per le imprese di costruzione tonnellate di calcestruzzo (?!?) – es. delle estorsioni – è più difficile di nascondere o trasferire illegalmente denaro. E magari nel tentativo di rivendere questi beni sul mercato qualcuno viene beccato. Non credo poi che il baratto sia molto efficiente nella gestione delle attività criminali (merende a scuola a parte).

        Certo tutti abbiamo a cuore la privacy, ma sicuramente i più interessati a non rinunciare ai contanti saranno coloro che lo utilizzano per attività illegali o illecite (pagamento di lavoratori in nero, vendita o acquisto di stupefacenti, evasori, ecc.), per le quali la moneta elettronica non è utilizzabile, e che vogliono nascondere le proprie transazioni. Magari si ri-orienterebbero verso le criptovalute…..

        • MASSIMO FATTORINI

          Osservazione molto corretta a mio avviso. E’ il denaro che determina il tenore di vita: le cosiddette “utilità” (viaggi, cene eleganti, orologi, ecc) lo si può “arrotondare” e rendere più scintillante.

  3. Cicci Capucci

    Credo anch’io che con l’ausilio di un algoritmo che attinga a varie fonti, fra cui Google, sia semplice indirizzare le indagini fiscali sugli evasori grandi e piccoli. I dati ci son tutti. Il controllo sul contante non serve quasi a niente.

  4. Gabriele

    Mi scusi, se ho capito bene, non è vero che premiare i pagamenti elettronici serva a poco, piuttosto il problema sta nel fatto che l’amministrazione finanziaria non è in grado di usare i dati provenienti dai pagamenti elettronici per i motivi che spiega nel testo. Dunque, qualora si risolvesse questo problema, un largo utilizzo di pagamenti elettronici fornirebbe un maggior numero di dati potenzialmente utili per le indagini finanziare, no?
    E poi un’altra domanda, molto più stupida: se un pagamento, su cui sia prevista l’IVA, avviene in contanti, l’IVA può essere facilmente evasa; se lo stesso pagamento avviene tramite carta elettronica ciò non è possibile, sbaglio? Qualora fosse così, questo non contribuirebbe all’emersione dell’IVA evasa? Grazie

    • Alessandro Santoro

      Salve. La risposta alla prima domanda è: temo che aumentare i dati non serva perché è l’accesso ai dati che è problematico.
      La risposta alla seconda (e terza) domanda è: no. L’evasione dell’IVA dipende dall’IVA che si decide di liquidare e dichiarare, non c’è nulla di automatico. Il contribuente sceglie come e quanto dichiarare a debito e a credito di Iva sia quando riceve pagamenti in contanti sia quando riceva pagamenti elettronici.

    • MASSIMO FATTORINI

      Appena si riparla di limitazione dell’uso del contante, guarda caso partono lancia in resta frotte di difensori (più o meno qualificati) dello statu quo proponendo analisi anche corrette, ma fuori fuoco. Il fatto che le autorità preposte non riescano ad utilizzare i copiosi dati esistenti è un falso problema. La contrazione ope legis del contante indurrebbe comportamenti necessariamente più trasparenti, stroncando sul nascere (o riducendo di molto) possibilità/tentazioni di evasione, riciclaggio ecc… Come se, (per pura ipotesi di scuola) per ridurre il rischio di incidenti stradali la proposta di produrre solo auto con velocità limitata a 140 orari venisse contrastata con la tesi che già esistono i tutor e gli autovelox, che però le autorità di polizia non riescono a presidiare efficacemente… Il tutto mi pare un attimo strumentale….

      • Alessandro Santoro

        E perchè mai dovrebbe essere stroncato sul nascere alcunché? Mi faccio pagare pure con il bancomat e poi non dichiaro, visto che l’amministrazione fiscale al mio conto corrente non accede

        • MASSIMO FATTORINI

          Il perché lo dice la pratica quotidiana, dove artigiani, professionisti, ditte individuali varie, appena nomini bonifici o p.o.s. vanno nel panico. E’ una questione per ora soprattutto psicologica: un domani – forse – sarà anche concreta quando ci saranno gli accessi ai dati.

    • Alessandro Santoro

      Serve a poco nel contesto normativo e organizzativo esistente. Quindi, la risposta alla prima domanda è che se gli ostacoli posti dalla privacy e quelli organizzativi venissero rimossi allora la tracciabilità potrebbe risultare utile.
      La risposta alla seconda e terza domanda è no: non esiste alcun automatismo, l’informazione sul pagamento elettronico va alla banca, non al fisco. Le liquidazioni e le dichiarazioni Iva rimangono atti autonomi del contribuente.

  5. Concetto Rossitto

    Credo che abbia ragione Paola Vedana. Inoltre sarebbe possibile realizzare un sistema di transazioni collegato stabilmente alle banche ed al MEF. Grazie al quale per ogni pagamento potrebbe essere automaticamente prelevata ed accreditata al fisco la quota di IVA. E potrebbe essere noto al fisco, automaticamente, il reddito reale di ciascuno, sul quale sarebbe da applicare il prelievo IRPEF progressivo. Non si combatterebbero così tutti gli imbrogli possibili e non si eviterebbero le transazioni estero su estero, ma si risolverebbero molti problemi di contrasto all’evasione ed al lavoro nero. E non si tiri in campo una questione di privacy. Essa vale solo nei confronti dei privati; non può essere invocata contro il fisco, ovvero contro lo stato. E si impedisca alle banche di lucrare sui pagamenti elettronici tramite card. Buona meditazione.

    • Alessandro Santoro

      Il principio di tutela della privacy va attuato nei confronti di tutti i soggetti, compreso lo Stato. Il problema è farlo senza impedire l’uso dei dati

  6. FRANCESCO FIORE

    Posta in questi termini la cosa è vista solo dal punto di vista di chi deve svolgere indagini fiscali. Mentre mettere il cliente (esempio paziente) nelle condizioni di preferire la carta al contante limita le possibilità di chi li riceve (ad esempio il medico) di fare il giochino “con fattura x senza y” poiché una fattura più alta bilanciata da una premialità per il cliente porterebbe il professionista ad un aumento della base imponibile con conseguente riduzione del suo interesse ad aumentare la fattura. E comunque ci sono infiniti altri motivi per premiare la moneta eletteonica, non ultimo la riduzione del costo che la gestione del contante implica.

    • Alessandro Santoro

      È dimostrabile matematicamente che il giochino sarebbe ancora teoricamente possibile fino a quando la detrazione non fosse pari alla somma dell’imposta dovuta da entrambe le parti (Iva e dirette). È vero che alcuni contribuenti potrebbero comunque preferire di pagare elettronicamente. Ma molti lo avrebbero fatto comunque (come per ogni incentivo).

  7. Maurizio Bertini

    Vorrei ricordare a chi vuole abolire i contanti che senza contanti i gestori di carte di credito saprebbero tutto, ma proprio tutto di come spendiamo i nostri soldi. Di conseguenza saprebbero tutto di noi in una misura che Google, Facebook e i servizi segreti neanche si sognano.
    Pizzo ed estorsioni senza contanti li sapevano fare perfino i bulletti alle medie quando ero un ragazzino: o fai quello che voglio o ti spacco la faccia, ti distruggo il negozio ecc.

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