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L’asilo più bello? È nel bosco

Come risolvere il problema della carenza di scuole dell’infanzia, che penalizza soprattutto il Sud? Pensando a un modello di asilo senza muri, sull’esempio dei paesi nordici. Si consumerebbe meno suolo e anche il portafoglio dei genitori ne beneficerebbe.

Scuole d’infanzia “alternative”

Tra le misure per accrescere la partecipazione al lavoro e ridurre la povertà, il nuovo governo ha indicato l’azzeramento delle rette di frequenza dell’asilo nido per le famiglie svantaggiate. Ma, come ha scritto Daniela Del Boca, se il provvedimento non è accompagnato da un aumento dei posti nido (specie al Sud dove mancano e dove la povertà è maggiore), difficilmente si potrà ridurre la povertà economica ed educativa riscontrata tra i minori negli ultimi anni.

Di soldi ce ne sono pochi nell’Italia indebitata, dunque è necessario seguire una via nuova. Nei paesi del Nord Europa e in Germania, ma anche nel Trentino Alto Adige (e non solo), si sono diffuse forme di educazione all’infanzia che hanno costi minori per l’amministrazione pubblica. Ne sono un esempio gli asili nel bosco, per i quali molte volte non è necessario alcun edificio oppure, se proprio è necessario, ne basta uno piccolo con servizi dove i bambini e le bambine pranzano. Il resto del tempo, infatti, lo passano giocando all’aperto, con il bello e il brutto tempo (tranne casi di pioggia intensa), esplorando, ascoltando storie, disegnando, fabbricando oggetti con gli elementi che lì trovano. Queste strutture comportano una spesa di investimento (e gestione) per la struttura molto minore. Lo stesso si può dire per le “Tagesmütter” (madri di giorno): maestre che accolgono nella propria casa (ri-organizzata e con precisi requisiti) quattro o cinque bambini.

Nate negli anni Cinquanta in Danimarca, le strutture di questo tipo si sono diffuse in tutta Europa e di recente anche in Italia. Sono esperienze cresciute soprattutto sotto la spinta dei genitori, ma le valutazioni che ne sono state fatte (Norbert Huppertz e l’ampia bibliografia nella tesi di laurea di Lena Gruener) dimostrano la loro ottima qualità educativa. A Bologna sperimentazioni di alcune settimane all’anno di asilo nel bosco sono state organizzate dall’università, da Villa Ghigi, dal Centro documentazione pedagogico di Casalecchio e dal Centro San Teodoro del Parco dell’Abbazia di Monteveglio, con ottimi risultati per i bambini.

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Tutti gli studi confermano che per i bambini è educativo stare in modo protetto a contatto con la natura. In Italia gli asili nel bosco sono per ora un centinaio, contro i 700 in Danimarca (il 20 per cento del totale) e i 1.500 in Germania. E pensare che nel nostro paese già negli anni Venti alcune scuole elementari erano state impostate con classi all’aperto, per ridurre le malattie infettive. Avevano avuto effetti molto positivi sull’educazione, tanto da provocare una curiosa gara tra esperti fascisti ed esperti socialisti per attribuirsene il merito.

Gli innegabili vantaggi

Negli asili nel bosco non c’è un unico modello educativo, ma non c’è dubbio che un piccolo edificio capace di accogliere i bambini a pranzo o quando piove a dirotto sia molto più eco-sostenibile (consuma meno suolo) e meno costoso per i genitori in termini di tariffe.

Gli stessi vecchi asili tradizionali che devono ristrutturarsi dovrebbero preoccuparsi di aumentare l’area verde (là dove possibile anche riducendo le aule), in modo che i bambini passino più tempo a contatto con la natura.

Qualcuno potrebbe obiettare che i bambini non devono prendere la pioggia e il freddo (o giocare nelle pozzanghere). Ma se queste esperienze fioriscono nel Nord Europa, in paesi più freddi e piovosi dell’Italia, non si vede perché non si debba seguire anche questa via, soprattutto al Sud dove le scuole d’infanzia mancano. Esperienze simili potrebbero essere eventualmente annesse ad aziende agricole biologiche dotate di aree alberate e animali, siglando una convenzione col contadino. I risparmi nella costruzione sarebbero enormi, le strutture sarebbero più eco-sostenibili, si avrebbe meno consumo di suolo e il servizio costerebbe meno alle famiglie, pur essendo più educativo. Una volta tanto “meno è meglio”.

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Posto al nido, un diritto di tutti i bambini

  1. Stefano Baldi

    Tutto molto interessante, grazie. Solo un piccolissimo appunto sulla proposta finale: perché annettere gli asili nel bosco ad aziende agricole biologiche e non a tutte le aziende agricole?

  2. mauro zannarini

    La soluzione è così bella ed elegante che non riuscirà ad imporsi.

  3. Nicola Tessari

    Peccato che causa il ritardo nel metterli a norma stiano diventando un presidio no vax….

  4. debora cerra

    Bellissima idea. Peccato che in Italia esiste una legislazione sulla responsabilità dei docenti, nonché un grado esasperato di litigiosità dei genitori che denunciano il docente anche solo per il fatto che il figlio si è sbucciato le ginocchia, che la rende inapplicabile. Ci vuole un cambio culturale, prima. E normativo, poi.

  5. Segnalo un articolo, ora anche sul Journal of Political Economy, di Fort, Ichino e Zanella (2019): l’articolo mette in luce gli effetti non positivi (costi cognitivi e non cognitivi) di una lunga frequenza del nido, crescenti al crescere del reddito familiare. Questa variabile, peraltro, non è proprio ottimale (salvo spiegarne i legami con altri comportamenti), soprattutto dove la diseguaglianza economica non è il prodotto di differenze nel tasso di istruzione o altre variabili “cognitive”, come l’Italia. Senza andare ai dettagli di altri aspetti della metodologia (che mi sembra meritino di essere compresi e approfonditi), l’articolo che cito appare fondamentale perché introduce, finalmente, un atteggiamento valutativo rispetto alla policy degli “asili nido”. E’ un atteggiamento raro, se non assente, nel dibattito pubblico in Italia sull’infanzia e lo sviluppo intellettivo e sociale delle future generazioni. Anche il sommario articolo di Del Boca mi sembra accenni a qualcosa di diverso da quanto qui riportato. L’impressione è che il “nido” sia usato negli argomenti di economisti come strumento di lotta alla diseguaglianza economica, attribuendogli giocoforza e senza ricerca tutta una serie di benefici, che invece non sono scontati. Sorprende anche l’assenza nel dibattito pubblico di riflessioni sull’importanza di periodi di leaving per madri (e padri) dopo la nascita dei figli, nel primo anno di vita. Di più non si può dire in questo spazio. Su boschi o edifici…no comment.

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