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70 anni di Cina Popolare tra comunismo e capitalismo

Nel suo settantesimo compleanno, la Repubblica Popolare Cinese celebra con grande orgoglio successi e traguardi raggiunti. Ma arriva stanca all’appuntamento. La via facile della crescita è chiusa, però è ancora lontana dall’essere un’economia matura.

I successi ottenuti

Nel suo settantesimo compleanno, la Repubblica Popolare Cinese celebra con grande orgoglio i successi materiali e i numerosi traguardi raggiunti. Il principale è senza dubbio la sfida aperta a uno dei principi cardine della filosofia liberale: l’importanza della libertà economica e politica per la crescita economica. Nonostante l’attuale passaggio a un ritmo di crescita più moderato, il Partito comunista cinese (Pcc) ha abilmente architettato una trasformazione senza precedenti del paese: da seconda economia chiusa e pianificata più grande del mondo è diventato la seconda maggiore economia aperta e decentralizzata, sotto un governo a partito unico.

A differenza di tutte le altre economie che in precedenza erano pianificate, la transizione “dal piano al mercato” è stata perseguita introducendo il meccanismo di mercato in un sistema economico altrimenti controllato dal partito. Quello che i leader cinesi hanno definito “socialismo con caratteristiche cinesi” è una combinazione eccezionale di abile concezione della politica economica e del meccanismo di mercato, unico caso di successo di capitalismo di stato.

Negli ultimi 40 anni la Cina ha attivamente cercato il suo ruolo nell’economia mondiale: prima fabbrica del mondo di prodotti di massa a basso costo è poi passata a essere il più grande esportatore e ora è anche ambizioso innovatore nei settori più avanzati come l’intelligenza artificiale. Sin dal 13° piano quinquennale, uno degli obiettivi principali della politica industriale è stato l’investimento in tecnologie a duplice uso (civile e militare). Ciò ha portato a un crescente potere economico che viene sfruttato per ottenere più ampia influenza politica all’estero. L’influenza politica non ha lo scopo di incidere negli affari politici interni di altri paesi, ma di rivendicare il diritto alla non interferenza nei propri affari interni: le caratteristiche del suo sistema politico, nonché il ritmo e il tipo di riforme politiche da attuare.

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A 70 anni, la Cina è interdipendente con quasi tutti gli altri paesi, sia ricchi che poveri, attraverso il commercio, gli investimenti e la finanza. È oggi il più grande mercato di destinazione delle esportazioni per oltre 35 nazioni e la più grande fonte di importazioni per oltre 65. L’importo totale cumulato degli investimenti esteri in Cina è di circa 200 miliardi di dollari e i suoi investimenti esteri valgono circa 100 miliardi di dollari. Il renminbi è sempre più utilizzato come valuta nel commercio internazionale ed è stato incluso nel paniere dei diritti speciali di prelievo del Fmi (un gruppo di valute “ufficiali”).

L’inevitabile influenza della Cina sull’economia mondiale oggi deriva dal suo essere strettamente intrecciata con il resto del mondo, mantenendosi relativamente chiusa all’influenza straniera. La principale abilità dei leader cinesi è stata – ed è ancora – quella di diventare una potenza economica globale navigando tra le regole stabilite dalle istituzioni multilaterali e mantenendo il controllo dell’economia domestica attraverso la solida presa sulle strutture dell’economia, cioè terra, lavoro e capitale – la più grande peculiarità della “transizione” cinese.

Il controllo della terra (di proprietà statale), del lavoro (attraverso una segmentazione quasi perfetta del mercato del lavoro) e del capitale (attraverso un sistema di credito quasi totalmente di proprietà statale) consente al Pcc di garantire stabilità economica ottenendo il massimo beneficio dal mercato per favorire l’attività economica e far salire il tenore di vita delle persone.

Le ambizioni di Xi

Paradossalmente, il meccanismo di mercato che la Cina è stata così capace di perseguire e sfruttare con il resto del mondo non le impedisce di affermare di essere ancora un’economia in via di sviluppo (e quindi di resistere alle pressioni per accelerare le riforme economiche interne), con l’argomentazione che il suo reddito pro capite è tuttora al di sotto della 60a posizione.

Questo è il motivo per cui la domanda più interessante oggi non è se la Cina continuerà a crescere rapidamente e supererà gli Stati Uniti (cosa che potrebbe accadere senza conseguenze reali e in effetti è già avvenuta in termini di Pil a parità di potere d’acquisto), ma piuttosto se la Cina sarà in grado di sopravvivere alla sua stessa crescita.

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La Cina a 70 anni è diventata (quasi) vecchia senza diventare (davvero) ricca. Le precedenti fonti di crescita (accumulo di capitale attraverso credito statale a buon mercato, aumento della forza lavoro, aumento della produttività) sono state totalmente sfruttate e ora si sono trasformate in potenziali strozzature per un ulteriore sviluppo: basta citare il debito nazionale elevato, il calo della popolazione in età lavorativa, la necessità di innovazioni radicali. Oggi la via facile per la crescita è esaurita e le esigenze di un’economia matura includono un sistema di welfare, un sistema più selettivo di allocazione del credito, la capacità di produrre innovazione radicale.

Il presidente Xi ha l’ambizione di dimostrare che il Pcc è in grado di portare il paese ai massimi livelli di benessere nel mondo, come e forse meglio dei sistemi a suffragio universale. Per questo chiede compromessi inaccettabili: internamente, li chiede ai cittadini cinesi sul tema della libertà personale, costringendoli alla quasi completa impossibilità di comunicare con l’estero, soprattutto in questo periodo, per non rischiare di turbare l’armonia delle celebrazioni. Al resto del mondo chiede compromessi inaccettabili in tema di regole del multilateralismo, come sconti e concessioni sulle condizioni alle quali la Cina è ammessa a partecipare alle istituzioni multilaterali.

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Far pace con l’Europa vale, ma non basta

  1. Mario Morino

    La Cina ha certamente cambiato il Mondo negli ultimi 20 anni con una crescita impetuosa della sua economia. Ma gran parte della forza della Cina è conseguenza del peso della sua popolazione: 1,4 miliardi di persone relativamente giovani e, peraltro, con un peso del welfare (attuale) irrilevante rispetto ai parametri europei.
    Ci fossero 14 “Cine” nel Mondo, da 100 milioni di abitanti ciascuna, qualcuna povera, qualcuna un pò più ricca, la faccenda cambierebbe radicalmente.
    E noi europei cosa aspettiamo a fare dell’Europa un unico Paese?

  2. Giovanni Medioli

    In Cina gli incentivi alle aziende che investono n R&S è dell’80% di sgravio fiscale sull’investito che diventa il 140% di superammortamento se c’è brevettazione. In Italia, con la 190, è del 25%, in qualche (raro) caso del 50%. Ma la Agenzia delle Entrate di solito piomba sul malcapitato che osa beneficiare dell’incentivo, entrando nel merito: non c’è R&S, scatta una penale di 5 volte l’incentivo, la sanzione penale. Chissà perché in Cina le aziende investono di più in R&S…

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