Il premio Nobel per l’economia è stato assegnato ad Abhijit Banerjee, Esther Duflo e Michael Kremer. Hanno cambiato l’economia dello sviluppo, passando dall’approccio degli aiuti a uno sperimentale, che dia risposte sui modi migliori per combattere la povertà.

Una rivoluzione nell’economia dello sviluppo

Il premio Nobel per l’economia è stato assegnato quest’anno ad Abhijit Banerjee, Esther Duflo e Michael Kremer, tre economisti dello sviluppo che studiano le economie a basso reddito e i meccanismi che possono contribuire ad alleviare la povertà.

Il premio, ha spiegato la Reale Accademia di Svezia, è un riconoscimento a studi e analisi che hanno introdotto l’approccio sperimentale per ottenere risposte affidabili sui modi migliori per combattere la povertà globale. In sostanza, ciò che hanno fatto i tre economisti (che insegnano nelle migliori università di Boston: Banerjee e Duflo al Mit, Kremer a Harvard) è abbandonare la visione della povertà nel mondo come un problema umanitario da affrontare con programmi di “aiuto”, per passare ad analizzare le cause della povertà “pezzo per pezzo” direttamente sul campo e a valutare le politiche per combatterla utilizzando esperimenti controllati e randomizzati, ovvero il metodo usato per sperimentare nuovi farmaci o altri interventi in medicina.

Che tale approccio fosse l’inizio di una “rivoluzione” per l’economia dello sviluppo, sia in ambito accademico che all’interno degli organismi internazionali, era chiaro fin dal titolo del libro che Banerjee e Duflo hanno scritto nel 2011: Poor Economics, sottotitolo A radical rethinking of the way to fight global poverty. Ha la fluidità di un diario e racconta le loro prime analisi sperimentali (alcune insieme a Kremer) sulla povertà in diversi paesi in Asia e Africa.

Il punto di discontinuità sta nel mettere in evidenza come sia infondato l’assunto che gli economisti abbiano poco da capire sulle scelte di consumo e di investimento dei poveri nei paesi in via di sviluppo, che quindi vanno assistiti. Invece, quello che emerge dai loro studi sono i meccanismi e le cause profonde che possono rendere inefficaci gli aiuti ai poveri. Sono gli stessi meccanismi che inducono i poveri ad aver bisogno di prendere a prestito per poter risparmiare, a non mandare i figli a scuola (o a mandarli solo quando allo stesso tempo riescono a lavorare), a rinunciare a vaccinazioni o nutrienti gratuiti e a pagare per medicine di cui non necessitano.

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Un esperimento pioniere condotto da Michel Kremer sulla partecipazione e il rendimento scolastico degli studenti in Kenya ha messo in luce come aumentare (donare) libri o insegnanti abbia un impatto limitato sull’istruzione rispetto a programmi di sverminazione dei bambini. I vermi intestinali sono molto diffusi in alcune zone povere e, a differenza di infezioni più serie come l’Hiv o la malaria, possono essere trattati a basso costo. Le cure contro i parassiti aumentano i livelli di istruzione dei bambini trattati in modo evidente, hanno effetto anche su bambini non trattati vicini e producono benefici sanitari ed economici di lungo periodo (in campo occupazionale).

Non sono mancati accessi dibattiti all’interno dell’economia dello sviluppo sulla opportunità e validità del metodo sperimentale nelle scienze sociali. Ma il metodo scientifico è plurale, come si evince dalla stessa continuità nell’assegnazione del premio Nobel: il riconoscimento a Banerjee, Duflo e Kremer arriva a soli due anni di distanza da quello a Angus Deaton, uno dei padri fondatori dell’economia dello sviluppo e illustre sostenitore dell’importanza dei fattori macro e microeconomici (oltre il contesto sperimentale) per disegnare politiche di riduzione della povertà.

Dedicato alle donne

Un contributo fondamentale dell’approccio dei tre premio Nobel, tuttavia, è stato mettere le politiche economiche e pubbliche al centro dell’analisi economica, con l’unico obiettivo di attuare quelle più efficaci per la lotta alla povertà sulla base dell’evidenza empirica. Nel suo famoso articolo “Economist as a Plumber”, Duflo ha esortato gli economisti a impegnarsi seriamente nella progettazione di nuove politiche e programmi, assumendosi la responsabilità di conseguenze ed eventuali aggiustamenti (proprio come fanno gli idraulici), nell’interesse della disciplina e della società. E non si può dire che non l’abbia fatto lei stessa in prima persona. La più giovane economista premio Nobel della storia, seconda donna (dopo Elinor Ostrom) a ricevere il prestigioso riconoscimento, ha contribuito non solo a mostrare come piccoli incentivi possano indurre grandi cambiamenti in termini di benessere, ma anche come il rafforzamento del ruolo delle donne (in ambito pubblico e privato) tramite politiche attive sia stato fondamentale nel processo di sviluppo economico in India. Una delle sue prime reazioni alla vincita del Nobel è stata quella di sperare che il premio ispiri “molte, molte altre donne a continuare a lavorare e molti uomini a riconoscere loro il rispetto che meritano, come lo merita ogni singolo essere umano”.

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