Il ministro delle Finanze tedesco ha lanciato un’articolata proposta di Unione bancaria. È un’importante occasione per riaprire la discussione. Ma il governo italiano deve arrivare alle trattative con una proposta ben preparata e argomentata.
La proposta tedesca
Il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, con un articolo pubblicato sul Financial Times, che si rifà a un più articolato “non-paper” dello stesso ministero, ha di recente rilanciato il progetto di Unione bancaria. L’iniziativa, ripresa da Angela Merkel nel suo viaggio a Roma, pur essendo stata giustamente criticata nel merito dal nostro ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ci pare meritevole d’attenzione perché rimette al centro del dibattito della nuova Commissione un tema cruciale per la stabilità finanziaria e la frammentazione del sistema bancario europeo. L’iniziativa dovrebbe anche spingere i governi di altri paesi, incluso quello italiano, a contribuire costruttivamente al dibattito, esplicitando più chiaramente le rispettive posizioni e ragioni.
La proposta tedesca è articolata. Quale premessa all’assicurazione europea sui depositi, prevede infatti una riduzione dei rischi, attraverso un vincolo di concentrazione/rating sui titoli di stato detenuti dalle banche e un limite ai crediti deteriorati nell’attivo degli istituti di credito, oltre a un’estensione alle banche minori del meccanismo di risoluzione delle crisi, un’armonizzazione delle procedure di liquidazione nazionali delle banche e un’armonizzazione della loro tassazione.
Partiamo dal sistema di assicurazione dei depositi europeo, cuore della proposta. In sostanza i tedeschi propongono, non senza qualche ambiguità e alla fine di un lungo processo di riduzione dei rischi, un sistema di “riassicurazione europeo”, in aggiunta ai sistemi nazionali di garanzia dei depositi (Ndgss) sopra i 100 mila euro oggi in vigore. In caso di necessità, i sistemi nazionali continueranno ad assorbire tutte le perdite con la possibilità, all’esaurimento dei loro fondi, di ricevere “assistenza alla liquidità” dal fondo europeo. Eventuali perdite superiori sia al fondo nazionale di garanzia che a quello europeo dovrebbero essere sostenute in ultima istanza dallo stato membro interessato utilizzando il Meccanismo europeo di stabilità (Esm).
Pensiamo che una posizione più equilibrata possa essere quella di prevedere una fase transitoria nella quale l’assicurazione europea contenga una franchigia e un massimale al risarcimento dei depositanti, nelle quali intervengono rispettivamente un’assicurazione nazionale e il Meccanismo europeo di stabilità. Tuttavia, la componente europea deve contenere un vero sistema mutualistico di condivisione del rischio, e non di prestito/assistenza alla liquidità, se vuole essere efficaci in termini di stabilità del sistema. Se vogliamo costruire una vera Unione monetaria, sarebbe poi auspicabile che nel lungo periodo i sistemi nazionali di assicurazione venissero assorbiti dal sistema europeo. Ovviamente, questa proposta può apparire distante da quella tedesca, ancora incentrata sulla componente nazionale, tuttavia è importante riaprire il confronto.
Come trattare i titoli di stato
Per quanto riguarda le misure di contenimento del rischio e, in particolare, il meccanismo di concentrazione/rating del portafoglio dei titoli pubblici detenuti dalle banche riteniamo che la posizione tedesca possa essere accettata, a patto che il coefficiente di concentrazione sotto il quale i titoli di stato sono considerati privi di rischio – e quindi non assorbono capitale di vigilanza – venga alzato dal 33 per cento del capitale di migliore qualità (Tier 1) al 50-100 per cento. Sopra quella soglia possiamo anche ritenere ragionevole che le banche che vogliano detenere titoli di stato di un paese particolarmente rischioso siano costrette ad accantonare una quota del loro capitale. Gli accantonamenti devono tuttavia essere graduali, come prevede la posizione tedesca, ma anche inferiori a quelli applicati ai debiti privati. Questo permetterebbe al sistema di assorbire numerosi shock, nell’attesa che venga creato un safe asset europeo e la Banca centrale europea possa diventare esplicitamente un prestatore di ultima istanza e non solo implicitamente, come avviene oggi con i programmi di acquisto di titoli pubblici.
La questione dei crediti deteriorati
Un discorso a parte meritano i prestiti deteriorati (non performing loans – Npl) presenti nei portafogli delle banche, che negli ultimi anni sono stati oggetto di numerosi interventi regolamentari in termini di calendar provisioning da parte della Bce e della Commissione europea oltre a numerosi interventi dell’organismo di vigilanza. Questo ha indotto (o costretto) molte banche a ridurre drasticamente il livello di credito deteriorato rendendo più vicino, anche per quelle italiane, l’obiettivo posto dai tedeschi in termini di rapporto fra Npl e totale attivo (Npl ratio): 5 per cento in termini lordi e 2,5 per cento al netto degli accantonamenti.
Appare poi certamente opportuno, anche nell’interesse italiano, arrivare a un’armonizzazione ben costruita delle procedure nazionali di liquidazione delle banche e a una armonizzazione fiscale, che crei un piano di gioco più livellato. Solo questo infatti permetterà una sana competizione fra i diversi sistemi bancari europei e renderà conveniente l’avvio di un processo di consolidamento paneuropeo, che possa favorire famiglie e imprese.
Più discutibile è invece la proposta di allargare alle banche minori, che hanno un forte legame con il territorio e non incorporano rischi sistemici, il meccanismo di risoluzione europeo delle crisi. In fondo, tutta la costruzione europea, ma più in generale di tutti gli stati federati, si basa su un principio di sussidiarietà che è bene rispettare.
In conclusione, ci pare opportuno che il governo italiano, invece di rigettare le ipotesi tedesche, tra altro avanzate da un socialdemocratico aperto come Olaf Scholz, arrivi alle trattative che nei prossimi mesi si apriranno in Europa sull’Unione bancaria con una proposta ben preparata e argomentata. Sarà fondamentale per convincere la maggioranza dei paesi a seguire le nostre idee, come il ministro Gualtieri sa bene, data la sua precedente esperienza a Bruxelles.
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Nicolagiovanni Di Vico
Dalla lettura veloce della proposta di Scholz appare evidente che chi si avvantaggerebbe della situazione è la sua nazione, i cui titoli sovrani hanno la Triple A.
Inibire o penalizzare le banche di paesi con rating inferiori che acquistino i propri titoli di stato introdurrebbe elementi fortemente distorsivi della competitività.
Per ciò che concerne la questione dei crediti deteriorati, i sistemi bancari che accusavano gap da colmare hanno fatto la loro parte, non credo che sia stato fatto invece molto sulle altre componenti degli attivi bancari come i Level 2, i Level 3 ed i derivati, tipici dei sistemi bancari del Nord Europa (Germania in primis).
La Vigilanza Unica della BCE ha sofferto di un certo strabismo, focalizzandosi prevalentemente sul rischio di credito, ritenendolo, a mio avviso a torto, come il principale fattore di destabilizzazione dei mercati europei.
Forse andrebbe ricordato che la crisi del 2007/2008 fu originata dal rischio di mercato e non dal rischio di credito. A tal proposito è opportuno ricordare quanto sostenuto da Fabio Panetta, attuale Direttore Generale della Banca d’Italia, durante un’audizione al Parlamento nel maggio 2018:
“Alla fine del 2016 le attività e le passività di Livello 2 e Livello 3 detenute dalle maggiori banche europee ammontavano complessivamente a 6.800 miliardi di euro, un valore circa 12 volte superiore a quello dei crediti deteriorati di tutte le banche dell’area dell’euro. Si tratta di rischi che non sarebbe lungimirante sottovalutare: non solo per assicurare la stabilità dei singoli intermediari e del sistema nel suo complesso, ma anche per evitare disparità di trattamento tra banche di tipo tradizionale e banche d’investimento”.