L’industria siderurgica attraversa una fase di riconversione per ridurre l’eccesso di capacità produttiva e l’impatto ambientale. Servono però salvaguardie più efficaci per permettere ai produttori europei di competere ad armi pari con quelli stranieri.
Il settore
Le polemiche sul caso ex-Ilva hanno riacceso i riflettori sull’industria dell’acciaio; un settore strategico, alla base della produzione di treni, elettrodomestici, auto e costruzioni. Rappresenta il 2 per cento dell’occupazione manifatturiera italiana, sebbene abbia perso addetti negli ultimi anni.
Figura 1 – Occupati nella siderurgia primaria
La congiuntura
Il 2018 è stato un anno positivo per il settore siderurgico italiano, con la produzione di acciaio grezzo in crescita dell’1,9 per cento, ma ancora lontana dai valori pre-crisi (figura 2). L’Italia è il secondo produttore europeo e il decimo al mondo.
Figura 2
Per il quarto anno consecutivo il saldo commerciale netto è stato negativo, con importazioni maggiori delle esportazioni, e il disavanzo è in aumento. Tuttavia, è aumentato l’avanzo nei confronti dei paesi Ue (figura 3), con i principali mercati di destinazione costituti da Germania e Francia.
Figura 3 – Import e export di prodotti siderurgici nell’Ue (Mt)
Invece il disavanzo commerciale con i paesi extra Ue è in continuo aumento (figura 3); spicca il +65 per cento di import dalla Turchia e il +19 per cento dalla Cina. Unica eccezione gli Stati Uniti, dove le importazioni di acciaio italiano sono aumentate del 72 per cento a causa dei dazi che hanno spiazzato la produzione cinese.
Figura 4 – Import e export di prodotti siderurgici extra Ue (Mt)
Nel complesso, il fatturato del settore siderurgico ha registrato il secondo anno di crescita dopo la crisi del 2012-2016 (figura 5), sebbene con tassi inferiori al 2017 a causa del peggioramento del quadro macroeconomico. Ha influito la crisi del settore auto, uno dei principali utilizzatori di acciaio.
Figura 5 – Variazione del fatturato della siderurgia primaria
Una crisi europea
La fotografia dei primi dieci mesi del 2019 è completamente diversa. La produzione di acciaio in Italia si è ridotta del 3,8 per cento, sebbene nei primi otto mesi sia migliorata la bilancia commerciale, con l’export aumentato del 2 per cento e l’import calato dello 0,2 per cento.
Ma è tutta l’industria europea dell’acciaio a vivere un momento di difficoltà, con la produzione in calo del 2,8 per cento. La britannica British Steel, sull’orlo della bancarotta, sarà rilevata dalla cinese Jingye, mentre Tata Steel, Thyssenkrupp e ArcelorMittal hanno tagliato la produzione in diversi impianti. ArcelorMittal lamenta il differenziale di prezzo tra l’acciaio cinese e quello europeo sceso a valori minimi, di conseguenza sono proprio i suoi impianti nel Vecchio Continente che hanno visto il più forte calo dell’Ebitda nel 2019.
Figura 6 – Differenziale di prezzo dei laminati a caldo Sud Europa – Cina ($/tonnellata)
Il problema principale è costituito infatti dall’eccesso di capacità produttiva al cospetto della crescente produzione cinese. La Cina rappresenta ormai più della metà della produzione mondiale di acciaio (figura 7). Una quota di mercato in continua crescita, per fattori economici ma anche ambientali.
Figura 7
L’acciaio è un settore fortemente intensivo in energia, che costituisce tra il 20 e il 40 per cento dei costi totali di produzione, e produce circa il 7 per cento delle emissioni globali di gas serra. In Europa rientra nel mercato dei permessi di emissione. Finora gran parte dei permessi gli erano assegnati gratuitamente, per evitare delocalizzazioni, in base a un metro di riferimento di settore. Gli impianti più inquinanti, con emissioni superiori al benchmark, si trovano quindi a dover acquistare permessi sul mercato, con il prezzo che è triplicato negli ultimi due anni. Altrove, come in Cina o in Turchia, non vi è per ora alcun prezzo della CO2 e molte acciaierie europee soffrono questa concorrenza “sleale”.
Nel 2018 la Ue ha introdotto misure di salvaguardia, con quote all’import per prodotto calcolate sulla media delle importazioni avvenute nel periodo 2015-2017, esaurite le quali si applica una tariffa del 25 per cento.
Le misure sono però ritenute insufficienti, tanto che la Commissione di Ursula von der Leyen ha proposto di applicare una tassa di frontiera sulla CO2 che parificherebbe le condizioni dell’acciaio importato con quello europeo. Sebbene abbia già incassato l’opposizione cinese, la norma dovrebbe risultare conforme al Wto (World Trade Organization), in quanto non pone condizioni diverse tra i produttori domestici ed extra-Ue, ma dovrà essere ponderata in tutte le sue sfaccettature, date le tensioni commerciali esistenti, e difficilmente vedrà presto la luce.
La sfida tecnologica
La sostenibilità è cruciale per l’industria siderurgica. Esistono prevalentemente due modi per produrre acciaio: il ciclo integrato con altoforno e il ciclo con forno elettrico ad arco. Oggi il 75 per cento dell’acciaio nel mondo viene prodotto con il ciclo integrato, mentre il 25 per cento con forno elettrico. Il secondo è però molto meno inquinante (figura 8) perché richiede meno minerale di ferro e carbone e permette di riciclare una maggior percentuale di rottame di acciaio (potenzialmente il 100 per cento).
Figura 8 – Metodi di produzione di acciaio per intensità di CO2 (CO2/tonnellata)
Fonte: Material Economics
E l’Italia è all’avanguardia su questa tecnologia (figura 9), con la produzione da forno elettrico che rappresenta più dell’80 per cento del totale nazionale; ciò spiega in parte il buon posizionamento dell’Italia nel mercato europeo dell’acciaio e il successo di alcune realtà come il forno elettrico digitale Q-One.
Figura 9 – Produzione di acciaio da forno elettrico
Allo stesso tempo, Eurofer, l’associazione europea dell’acciaio, ha chiesto come condizioni necessarie alla transizione verso un acciaio low-carbon procedure più snelle sugli aiuti di stato, disponibilità dell’energia a prezzi costanti e finanziamenti alla ricerca e sviluppo. La Commissione ha così inserito l’acciaio tra le sei catene strategiche del valore, con l’obiettivo di sviluppare tecnologie a basse emissioni. Esistono già impianti che usano meno carbone o alimentati a gas naturale, con la riduzione diretta del ferro, e progetti pilota di forni a idrogeno o con elettrolisi che permettono di ridurre enormemente le emissioni di gas serra e di altri inquinanti. Inoltre, l’acciaio è pienamente riciclabile e in Europa già il 50 per cento del materiale deriva dai rottami riciclati, riducendo la dipendenza dall’importazione di minerale ferroso.
In conclusione, casi come l’ex-Ilva di Taranto mostrano che serve una riconversione dei siti produttivi più vecchi e inquinanti che tenga conto delle tecnologie più all’avanguardia e del reale fabbisogno di capacità produttiva. Ma allo stesso tempo la Ue deve garantire ai suoi produttori la possibilità di giocare ad armi pari con i concorrenti stranieri.
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Alessandro Sciamarelli
Articolo molto preciso e ben documentato. Concordo nelle considerazioni generali. Un ulteriore elemento di analisi sulla questione del crescente import connesso alle safeguard measures a livello Ue (quote alle importazioni), che finora si sono rivelate assolutamente insufficienti a limitare l’import di acciaio a piu’basso costo dai paesi terzi (semmai ne hanno accresciuto la volatilita’): le s.m. , difatti, prevedono che le quote non utilizzate dai paesi terzi per un dato trimestre possono essere riutilizzate nel trimestre successivo, e dunque essere cumulate, il che potrebbe risultare in un balzo gigantesco dell’import da questi paesi a scapito dei produttori europei una volta che il ciclo internazionale della domanda dovesse riprendersi. Senza contare il fatto che le quote stesse, in valore assoluto, sono calcolate sui valori storici 2015-2017, ovvero quando il ciclo dell’acciaio era in forte espansione, dunque non piu’rappresentative alla luce del brusco peggioramento della congiuntura mondiale del settore. Inoltre, i dazi sull’acciaio cinese introdotti dall’amministrazione Trump hanno contribuito ad aumentare le importazioni dalla Cina dato che queste ultime hanno considerevolmente faticato a trovare sbocco sul mercato americano.
Henri Schmit
Interessante, utile e preciso, anche se per forza incompleto, per esempio per valutare la presunta dipendenza dell’industria manifatturiera domestica dalla produzione dell’ex ILVA. Vorrei però far notare un altro punto collegandomi alla ‘fase di riconversione’ ora in corso, secondo il cappello dell’articolo. Già 40 anni fa si parlava (altrove in Europa) di costo dell’energia (che incide per un terzo circa sul costo del prodotto siderurgico), di investimento tecnologico (per evitare i danni ambientali più gravi), e si utilizzava guarda caso proprio la parola ‘riconversione’. Dov’è stata l’Italia in tutti questi anni, prima che i cattivi Riva creassero di sana pianta il disastro ambientale che ora tutti lamentano? La colpa è la scarsa capacità dell’esecutivo nazionale adesso, due anni fa (appalto), dieci anni fa (vicenda ambientale penale), vent’anni fa (cessione ai Rica), e 35 anni fa, prima di tangentopoli. C’è una costante spaventosa del non saper guardare la realtà in faccia, parlarne razionalmente, cercare soluzioni lungimiranti, convincere l’opinione pubblica e realizzare quanto prospettato con il dovuto coraggio.
carmelo
Giusta l’attenzione alla sostenibilità del ciclo di produzione dell’acciaio. Bisogna però ricordare che le proprietà meccaniche dell’acciaio prodotto con altoforno non sono preservate nell’acciaio prodotto con forno elettrico.