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Quante vittime del riscaldamento globale

La prestigiosa rivista Lancet pubblica ogni anno un rapporto sulla relazione tra riscaldamento globale e salute. Ne esce un quadro drammatico. Ma la mole di dati lì contenuta può essere uno strumento utile per spingere cittadini e governi ad agire.

Il rapporto di Lancet

Le scene dell’Italia in ginocchio a causa di un’insolita ondata di perturbazioni hanno riportato alla ribalta il dibattito sul riscaldamento globale e sulla profonda trasformazione che il cambiamento del clima è in predicato di generare nella vita di tutti i giorni.

Sul tema, Lancet, importante rivista scientifica medica internazionale, pubblica ogni anno un report assai prezioso e del quale bisognerebbe parlare sempre di più: il Lancet Countdown on health and climate change. È una pubblicazione il cui obiettivo è quantificare e monitorare l’associazione statistica tra riscaldamento globale, appunto, e salute dall’altro.

Può sembrare una questione banale, ma il legame non lo è affatto e, forse, da un punto di vista di strategia comunicativa, far leva sui dati molto interessanti che emergono da uno studio sistematico e rigoroso come questo potrebbe rivelarsi assai importante nel futuro prossimo.

Già il titolo della ricerca è indicativo in tal senso: The Lancet Countdown, il conto alla rovescia.

Le immagini strazianti di Venezia hanno affollato i nostri social, pungolando un’attenzione altrimenti piuttosto lasca, se non fosse per gli sforzi di Greta Thunberg e del movimento globale del climate strike di ricordarci costantemente l’emergenza della questione climatica. Ma in questo autunno i danni non sono stati solo a Venezia: le perturbazioni hanno colpito la penisola da Nord a Sud, con allagamenti in Toscana, Sicilia e il crollo del viadotto sulla Torino-Savona.

La frequenza degli eventi estremi allerta la nostra sensibilità sui danni e sui costi del cambiamento climatico, anche se i dati riportati da Lancet hanno la capacità di mostrare un aspetto ancora più drammatico: il riscaldamento globale, infatti, determina conseguenze profondamente diseguali in regioni diverse del mondo, aumentando addirittura la vulnerabilità di chi è già indifeso e producendo conseguenze più gravi proprio per quella fetta della popolazione che ha meno strumenti per affrontare la crisi.

Il rapporto di Lancet evidenzia infatti un dato: se la grande parte dei danni provocati nei paesi ad alto reddito da eventi estremi (come a Venezia, per esempio) è coperta da assicurazioni private, il costo enorme del riscaldamento globale in regioni economicamente meno ricche, come il Sud America o il Sud-Est asiatico, è spesso privo di qualsiasi tutela, generando a cascata effetti negativi anche in termini di disuguaglianza socio-economica.

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Il costo dell’inquinamento

The Lancet Countdown non si limita ad affrontare il tema degli impatti degli eventi estremi sui costi di adattamento al global warming, ma è un’esaustiva rassegna di 41 indicatori che si riferiscono a cinque dimensioni:

  • impatti del cambiamento climatico, l’esposizione allo stesso e la vulnerabilità
  • adattamento, pianificazione e resilienza rispetto alla salute
  • strategie di mitigazione e ricadute positive in termini di benefici per la salute stessa
  • economia e finanza del cambiamento climatico
  • coinvolgimento del pubblico e della politica

Ci concentriamo qui su un tema soltanto, in qualche modo assai vicino: quello del particolato e delle polveri sottili.

L’inquinamento dell’aria è associato a costi piuttosto importanti in termini di salute: l’Organizzazione mondiale della salute si serve spesso degli Yll (years of lost life), una stima degli anni di vita che si perdono in virtù dei danni prodotti dall’inquinamento.

Il dato mondiale è un macigno invisibile: la stima parla infatti di 2,9 milioni di morti premature nel 2016, associate proprio al PM2,5.

Figura 1 – Morti premature causate da PM2,5 (dato per 100 mila abitanti)

Gli aspetti da sottolineare qui sono due: la differenza di impatto tra regioni del mondo e quella tra diversi momenti nel tempo, che introduce una dimensione di ingiustizia intergenerazionale.

Per quanto concerne il primo aspetto, i paesi più ricchi, forse in virtù dell’introduzione di misure di incentivo all’efficienza energetica e di una sensibilità crescente rispetto al problema, mostrano un leggero miglioramento complessivo in termini di riduzione delle morti premature dal 2015 al 2016. La stessa cosa non può dirsi, però, per Africa, Sud America e Sud Est asiatico, dove la situazione rimane assai critica e con numeri in costante aumento.

Da un punto di vista intergenerazionale, invece, il peso di queste morti premature concerne prevalentemente i più piccoli e le nuove generazioni, introducendo, su una dimensione mai troppo spesso citata, una questione di giustizia anagrafica e ponendoci di fronte a un dilemma morale cogente: che pianeta stiamo lasciando in eredità agli esseri umani che verranno dopo di noi?

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Forse sottolineare i legami tra riscaldamento globale e salute è la strada giusta per spingere persone e governi ad agire di fronte al problema climatico.

Se poi, insieme a ciò, si riesce a produrre anche una stima monetaria di quanto valga la tutela della salute in relazione al global warming, ancora meglio. Tra gli indicatori esplorati dal Lancet Countdown uno particolarmente interessante concerne proprio il valore monetario di una qualità dell’aria migliore.

I ricercatori del rapporto hanno fatto perciò una stima che parte da un’assunzione semplice: immaginiamo che la concentrazione di particolato rimanga la stessa del 2016 (migliorata rispetto all’anno precedente) nel corso dei prossimi cento anni, in modo che l’esposizione della popolazione al particolato rimanga la medesima, marginalmente più bassa che nel passato.

Facendo leva proprio sugli Yll (gli anni di vita persa) e considerando che il valore statistico di una vita umana imputata è di circa 50 mila dollari, la riduzione annuale del costo in termini di vite umane perse, e associato a un miglioramento marginale della qualità dell’aria, è di circa 5 miliardi di euro all’anno.

Più o meno è la quantità di denaro necessaria per finanziare la costruzione del Mose a Venezia.

Purtroppo, il quadro che emerge dal rapporto di Lancet è a tinte ancora molto fosche: troppo poco viene fatto per agevolare la transizione verso un’economia decarbonizzata. Tuttavia, raccogliere sistematicamente dati sull’impatto del cambiamento climatico in termini di salute è sicuramente uno strumento politico, oltre che comunicativo, di grande utilità in vista anche di una sensibilizzazione maggiore della popolazione e, in ultima analisi, di elettori che devono dare il loro appoggio a un’agenda politica centrata sul tema del riscaldamento globale.

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  1. PURICELLI BRUNO

    Provocazione:
    Che tipo di ripercussioni ci sarebbero per l’attuale popolazione accelerare un sostegno a tutti i bimbi malati ed a tutti i “poveri” nel mondo, visto che in natura non ci sarà spazio a sufficienza data la crescente “necessità” di bisogni standard? Indira ci stava pensando ma la seppellirono di improperi soprattutto dal nostro mondo! Meglio non pensarci? Ripeto che si tratta di una provocazione.

  2. Silvio Traverso

    Mi sembra che, a partire dal titolo, l’articolo faccia una grossa confusione tra cambiamento climatico e inquinamento. Sono due problemi diversi (ad es., la CO2 non è dannosa per la salute) ma spesso confusi nel dibattito pubblico. Questo articolo mi pare contribuisca a questa confusione.

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