La Brexit sarà presto realtà. La parte di classe dirigente favorevole all’uscita dalla Ue è riuscita a incanalare sotto un’unica bandiera i vari gruppi con una forte identità nazionale, avversi all’immigrazione e contrari a regole troppo intrusive.
Incertezza finita
La netta vittoria di Boris Johnson mette fine alle recriminazioni (se una manciata di deputati laburisti non avesse nominato Jeremy Corbyn senza nessuna intenzione di votarlo, per “aprire il dibattito” con l’ala sinistra del partito, ora David Cameron andrebbe ai consigli delle Ue con gli altri leader europei; se Corbyn e Jo Swinson fossero stati meno cocciuti, ora avremmo Corbyn o Ken Clarke a Downing Street a gestire i preliminari del secondo referendum; e così via) e chiude l’incertezza sulla Brexit che si aprì, inaspettata, con le elezioni di due anni fa. Il 31 gennaio 2020 il Regno Unito uscirà dalla Ue. Peraltro, la chiara vittoria permetterà a Johnson di ignorare le ali più estremiste del suo partito e la stampa eurofoba, sia perché non gli servono più i voti dei brexitisti duri, sia perché questi, a loro volta, non vorranno opporsi a un leader chiaramente popolare con l’elettorato.
Mentre le fortissime passioni si spengono nell’anticlimax del dopo elezioni, e può iniziare il processo di rappacificazione, può essere utile pensare a cosa vorrà dire la Brexit. Non tanto dal punto di vista dei 17 milioni di persone che hanno votato prima contro l’Ue e poi a favore di chi prometteva di “fare la Brexit”, motivati da un’astratta opposizione a ogni cosa e persona che viene dall’altra sponda della Manica. Quanto dalla prospettiva e dai motivi di quella parte di classe dirigente e intellettuale a favore della Brexit, senza dubbio una minoranza nel mondo culturale e accademico e nel settore produttivo, che però ha una presenza di spessore in Parlamento e nella stampa di prestigio di destra (dal Telegraph allo Spectator).
L’opposizione ragionata alla Ue
Possiamo identificare tre ordini di motivi che giustificano l’opposizione “non emotiva” all’appartenenza all’Ue. Il principale è la contrarietà di principio alla continua convergenza politica dell’Ue, con l’obiettivo finale, spesso esplicitamente dichiarato, della creazione di un’Europa federale. A motivarla è il rifiuto della centralizzazione statalista: le decisioni vanno prese il più vicino possibile a chi ne subirà le conseguenze. Se gli italiani non vogliono riconoscere il matrimonio gay e i tedeschi preferiscono che i negozi chiudano la domenica pomeriggio, non vi sono conseguenze di alcun tipo per i residenti inglesi, svedesi, polacchi e, quindi, questi non devono poter influenzare quelle che sono decisioni nazionali. L’élite intellettuale del Regno Unito ha fatto leva con successo sul forte senso di identità nazionale degli inglesi per costruire il consenso e far accettare la Brexit anche a chi è cosciente degli indubbi costi economici che la scelta imporrà alla nazione, così come i tedeschi dell’Ovest accettarono i costi dell’unificazione, come prezzo necessario per l’affermazione dell’identità nazionale.
Un secondo aspetto della Brexit è il maggior controllo dell’immigrazione. E su questo c’è una contraddizione di principio tra la posizione intellettuale liberista e quella dell’opposizione popolare alla Brexit. I primi sono nel complesso a favore di un aumento dell’immigrazione, ma preferiscono differenziare i potenziali immigranti sulla base della qualificazione e del potenziale economico, invece che sulla nazione di origine, come richiesto dall’Ue: il principio è quello di trattare allo stesso modo gli scienziati americani e quelli tedeschi così come i braccianti agricoli cinesi e quelli rumeni. Molti di quelli che hanno votato tory per la promessa di get Brexit done vorrebbero invece per chiudere le frontiere a tutti. I deputati tory si trovano quindi tra l’incudine dei loro elettori che vogliono fermare l’immigrazione e il martello dei settori produttivi che hanno bisogno di un mercato del lavoro competitivo e internazionale. Questi ultimi vinsero chiaramente quando il Regno Unito, l’Irlanda e la Svezia furono i soli paesi ad aprire subito le frontiere per i cittadini dei paesi dell’Est europeo nel 2002. Oggi non è chiaro come Johnson riuscirà a quadrare il cerchio, ma va ricordato che, ad esempio, si è a lungo opposto all’insistenza di Theresa May di considerare gli studenti stranieri come immigranti.
Una terza categoria di argomenti, fondata anch’essa su principi ispirati all’economia liberale, si oppone alla regolamentazione emanata dalle istituzioni europee, giudicata eccessiva, e alla tendenza all’armonizzazione fiscale. Anche qui l’élite liberista ha facilmente sfruttato l’opposizione emotiva sovranista all’imposizione di regole che sembrano assurde all’uomo della strada: dall’obbligo (inesistente) di un preciso grado di curvatura delle banane, a quello di usare il sistema decimale per pesi e misure nei banchi dei mercati locali (vero, e sfruttato magistralmente per attizzare il fuoco anti-europeo con la propaganda dei “martiri metrici”), al limite per la potenza delle aspirapolveri (vero). L’obiettivo degli ultra-liberisti è quello di creare una specie di super-Singapore nell’Atlantico del Nord: una vasta area di attività produttiva con poche regole e basse tasse. Il gruppo iper-liberista si trova però relativamente isolato, non è affatto ovvio che la maggioranza del paese sia contraria al principio di imporre regole, soprattutto quelle che difendono consumatori e lavoratori: uno dei pochi spettri che venne utilizzato con successo dagli anti-Brexit è quello degli standard alimentari degli Usa. Anche per molti servizi finanziari le regole imposte dal Regno Unito sono più stringenti di quelle che vorrebbero altri paesi comunitari.
Visti i precedenti, non dovrei fare previsioni sul futuro: i negoziati cominceranno in febbraio e penso che verranno completati un pezzo alla volta, con molti trattati rinviati oltre il limite “invalicabile” del 31 dicembre. Ma l’obiettivo di medio periodo di questi intellettuali sarà senza dubbio allontanare progressivamente le regole e le istituzioni britanniche da quelle europee, anche per rendere proibitivamente difficile un futuro rientro del Regno Unito in Europa. La volontà del generale de Gaulle si realizzerà dopo 50 anni.
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roberto bianchi
su queste pagine sono mesi che si continuano a leggere poena su quanto siano stolti gli elettori ad andare contro l’EU (EU attenzione, non Europa).
Quante votazioni, dirette ed indirette, devono ancora avvenire perchè Lei e il Severgnini di turno la piantiate con commenti che tutto sono fuorché di “analisti”.
Non solo il referendum ma a memoria ricordo 2-3 votazioni generali in Inghilterra (tra europee e nazionali) in cui gli inglesi si sono espressi CHIARAMENTE. Alla faccia dei democratici della domenica che da subito dopo il referendum chiedevano … altro referendum perché ci sono esiti giusti e sbagliati.
Se analizza il flusso di voto scoprirà che gli immigrati che ama tanto la sinistra hanno votato conservatore e pro-brexit e così la working class. Elites e City il contrario.
Lo capite il messaggio finalmente?
Emanuele
Io vedo molto prosciutto, più che messaggi da capire. Non c’è nulla di nuovo da capire nella Brexit. È stato uno scherzetto riuscito, ma già visto altre volte nella Storia.
Gli inglesi sono facili vittime della cultura ancestrale nascosta nel profondo di chi nasce e vive sulle isole, più che di quella iperliberista: oltre il mare, ci sono i mostri e il mare ci circonda. Unita al nazionalismo, al sovranismo e al ricordo dell’impero che fu sfocia in xenofobia omicida (Jo Cox).
Per fortuna, i brexiter fanatici lo sembrano soltanto, perché questa volta hanno tenuto opportunamente sotto controllo l’aspetto violento di questi esperimenti politici di accecamento delle masse. Non come accadde tragicamente per una decina di anni dal 1933 in Germania.
Anche in Bulgaria durante l’influenza sovietica le elezioni erano perfettamente democratiche. Infatti i rappresentanti del partito comunista bulgaro ricevevano regolarmente il 98.9% di suffragi.
Carlo
Roberto, davvero c’è bisogno che ti si ricordi che la maggioranza può sbagliare? Inoltre, non dimenticare che le elezioni sono state una scelta tra Boris, con la sua Brexit, e Corbyn, ambiguo sulla Brexit, e con un programa da socialista anni ’70 che ha spaventato molti. Per carità, Boris ha avuto un mandato chiaro, deve eseguirlo, e ormai la Brexit va portata a termine. Ma paragonare queste elezioni ad un referendum pro o conto Brexit è sbagliatissimo. Ci sono non pochi elettori anti Brexit che hanno però ritenuto Boris un male minore di Corbyn.
Henri Schmit
Si aveva visto bene De Gaulle; conosceva la perfida Albione anche per averci vissuto durante la guerra. Le ragioni sono l’immigrazione e l’ambiguità istituzionale dell’UE (una questione davvero di sovranità (Dieter Grimm in tedesco e in inglese). I rischi maggiori della Brexit non riguardano né l’UE né la Francia e la Germania, ma i paesi deboli, poco competitivi, titubanti, non convinti a torto o a ragione della loro convenienza di rimanere membri dell’UE e soprattutto dell’eurozona. I paesi core perdono una quota (15% circa ) del mercato comune, saranno meno forti sulla scacchiera internazionale e avranno un nuovo concorrente particolarmente agguerrito che non esiterà a fare dumping regolamentare e fiscale. L’UK perde il passaporto europeo dei servizi finanziari, ma basta aprire un clone in Lussemburgo (60 finora fra società di gestione e assicurazioni), in Irlanda. Maggiori rischi per l’industria. Quello che rimane dell’UE deve difendersi diventando sempre più competitivi, tutto insieme o se qualcuno rema contro ognuno per se stesso. Tutto questo sono pessime notizie per l’Italia, poco competitiva e senza struttura di governance per migliorare le sue capacità nel futuro prevedibile. Più difficile è capire le conseguenze per altri paesi non core, divergenti e poco entusiasti a cambiare il loro atteggiamento critico nei confronti dell’UE: tanto che rimangono efficienti (grazie alla propria arretratezza con bassi costi o grazie a riforme strutturali con rapida convergenza).
Ezio
I possibili benefici psicologici ed economici della Brexit. I possibili benefici sono basati su due elementi di fondo, il debito che si aggira sul 86% del PIL e la moneta, ovvero la sterlina che è una delle cinque monete base del FMI. Dati questi due appoggi forti il popolo inglese può ambiziosamente mirare in proprio a sviluppare e migliorare lo stato sociale del paese. La Brexit è una azione della politica per indurre e orientare un alto salto per stimolare ed invogliare i cittadini e tutte le organizzazioni a progredire per il comune interesse. Il rischio è che per un paese da solo, a causa delle contenute risorse, incontri più difficoltà e non raggiunga l’obiettivo ambito. Ciò è tanto più probabile in quanto oggi ogni nuova tecnologia può essere realizzata nell’ambito di pochi mesi o al massimo di qualche anno anche dagli altri paesi. Vedremo a breve, nel tempo di pochi anni, se il bilancio tra le ambizioni ed i rischi sarà stato a favore delle prime.
tommaso
questo messaggio è destinato alla redazione de LaVoce
quello che da anni scrive De Fraia è legittimo, ma degno di un blog in cui ognuno esprime le sue visioni, angosce, delusioni ecc.
Non è invece per niente adatto a un sito come lavoce dove chi scrive presenta ragionamenti, certamente suoi, ma basati su dati analisi ecc.
Peraltro questa cosa nel tempo è stata rimarcata in molti commenti dei lettori, che spesso contengono risposte argomentate alle tante recriminazioni sulla Brexit buttate là nel tempo da De Fraia
Capisco che essere impegnato in un’università inglese che adesso vedrà ridursi i fondi (finora quasi il 50% dei fondi UE destinati a università finivano, per motivi non sempre solidi, a università inglesi, e adesso andranno a università europee, finalmente!), può essere un motivo di scoramento, ma ripeto questa è una cosa da post su facebook o su un blog, non per un articolo su lavoce.info
Speriamo che con questo post si chiuda questo tipo di messaggi incongrui rispetto al livello normale degli articoli de lavoce…
bob
“un’unica bandiera i vari gruppi con una forte identità nazionale, avversi all’immigrazione e contrari a regole troppo intrusive”
Un Paese che ha nella Storia e ha fondato la propria fortuna sulla “gestione” proprio dell’immigrazione prima con l’ Impero in casa degli immigrati poi facendo diventare Londra capitale mondiale multietnica è il caso di dire che ” si ricomincia da capo” : altri soggetti, altri obiettivi!!
A mio avviso la GB ha solo evidenziato in maniera chiara e inequivocabile che realizzare gli Stati Uniti d’ Europa è cosa impossibile. Unire Stati stracarichi di secoli di Storia è cosa ben diversa di unire quattro praterie desolate
Angelo Massetani
Lei porta 3 argomenti per spiegare come la Brexit sia stata istigata dall’elite intellettuale liberista in UK, ma poi come lei stesso dice il controllo della migrazione è un principio contro il quale si schiera l’elite intellettuale UK, quindi non capisco come faccia a metterlo tra i suoi 3 punti, visto che va contro la sua tesi…