La crisi economica prodotta dal coronavirus ha caratteristiche peculiari e avviene in un momento delicato della congiuntura internazionale. Richiede perciò un forte coordinamento non solo delle politiche sanitarie, ma anche di quelle economiche.
I rischi della crisi da coronavirus
La gravità della crisi economica mondiale prodotta dal coronavirus dipenderà fortemente dall’evolversi dell’epidemia. La crisi presenta però peculiarità diverse dai precedenti episodi e rischia di avere effetti ben più severi per una serie di ragioni che è bene tenere a mente. I mercati finanziari sembrano aver intuito tutto questo, anche se non hanno ancora pienamente metabolizzato appieno i rischi.
In primo luogo, le precedenti crisi trovavano la loro genesi in un paese o in un’area geografica ben determinata e poi si espandevano attraverso i mercati finanziari e quelli reali al resto del mondo. Si pensi alla crisi del sub-prime delle banche americane del 2007-2008 o alla crisi asiatica del 1997-1998 o alla stessa crisi del 1929 che partì dagli Usa.
La crisi originata dal Covid-19 trova, invece, il suo focolare in un numero di paesi straordinariamente ampio, diversificato e con caratteristiche economiche, politiche e sociali molto diverse: la Cina, la Corea, l’Italia, il Giappone, l’Iran e presto anche la Francia, gli Stati Uniti e decine di altri paesi. In un contesto simile, gli shock deflattivi invece di compensarsi tendono a sovrapporsi, con un effetto contagio (economico) molto più forte.
In secondo luogo, le crisi precedenti tendevano a configurarsi come di offerta (si pensi alle crisi petrolifere del 1973 e 1979) o di domanda (come quella del 1929). Nel caso dell’epidemia del coronavirus gli aspetti riguardanti i vincoli all’offerta (impossibilità di produrre e rottura della filiera) si sommano a quelli della domanda (crollo dei viaggi e del turismo e più in generale paura dei consumatori). La natura mista della crisi ha prodotto così un eterogeneo movimento dei prezzi: mentre quelli delle materie prime e dei noli marittimi sono drasticamente scesi, i prezzi al consumo in Cina sono saliti al 5,4 per cento in gennaio, così come il trasporto aereo di merci fra l’Asia e l’Europa.
In terzo luogo, le precedenti crisi, in taluni casi, hanno provocato una riduzione della globalizzazione del sistema, ma questo è avvenuto anni dopo a causa di decisioni sbagliate di politica economica (si pensi alle restrizioni al commercio imposte negli anni Trenta dello scorso secolo). Questa volta uomini e merci hanno immediatamente smesso di viaggiare poiché ritenuti, più o meno giustamente, elemento di contagio e rischio. Il processo di globalizzazione, già pesantemente compromesso dalle politiche commerciali dell’amministrazione Trump, ha subito un’ulteriore accelerazione, con danni enormi dal punto di vista della produttività ed efficienza del sistema. Non a caso, l’economia mondiale stava già rallentando prima dell’epidemia.
Servono coordinamento e solidarietà
Rimangono poi altre due situazioni di contorno che giocano in direzione opposta. Da un lato questa non si presenta come una crisi bancaria o finanziaria, che generalmente produce effetti più violenti e duraturi. Anzi, oggi i sistemi bancari appaiono generalmente solidi e ben capitalizzati. Ciò permetterà di assorbire più facilmente una crisi non troppo lunga e profonda.
Dall’altro lato, però, le politiche economiche sembrano avere armi spuntate. Sul fronte della politica monetaria, i tassi sono già molto bassi o addirittura negativi, mentre i bilanci delle banche centrali sono gonfi di titoli pubblici e privati acquistati negli ultimi anni. Ulteriori riduzioni dei tassi d’interesse appaiono difficili da realizzare e dai risultati incerti. Sul lato della politica fiscale, i livelli di debito pubblico accumulati negli anni dell’ultima crisi non sono stati smaltiti e in molti paesi risultano molto elevati. Anche con tassi d’interesse negativi questo mette un limite a manovre espansive non coordinate. Più in generale il livello del debito del sistema pubblico e privato appare su livelli mai toccati prima e foriero di potenziale instabilità in un clima recessivo.
A tutto ciò si aggiunge il fatto che l’economia mondiale era già in netto rallentamento prima del sorgere dell’infezione: il reddito mondiale nel 2019 era cresciuto solo del 2,9 per cento, il tasso più basso dal 2008-2009 e solo 0,4 punti percentuali sopra la soglia che tipicamente identifica una recessione a livello mondiale, mentre paesi come la Germania, la Francia, l’Italia e il Giappone negli ultimi mesi mostravano, tutti, segni di vistosi rallentamenti.
In questo contesto le risposte di politica economica – ma non solo, si pensi a quelle sanitarie – non possono che essere globali. Questo vuole dire sospendere qualsiasi guerra commerciale o valutaria, gestire in maniera coordinata la libertà di movimento di uomini e beni alle frontiere, mettere in atto un sistema di aiuti internazionali e soprattutto un impegno dei paesi con situazione dei conti pubblici più solidi a colmare con politiche fiscali espansive l’enorme spinta deflazionistica che si sta creando. Mai come in questo momento il coordinamento e la solidarietà internazionale sono indispensabili e creano un effettivo beneficio.
In un clima politico già avvelenato, in cui si ritiene che il male venga da fuori e ogni nazione pensa al suo interesse (me first), è bene far comprendere a tutti che solo un lavoro di coordinamento può limitare la durata e la portata della crisi che ci attende.
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Giorgio Moise
Very interesting! Se il ciclo coronavirus si esaurisse in 1 o 2 mesi, assisteremo a crescita accelerata che compensa il calo momentaneo dell’economia?
stefano de marchis
certamente!
Ma gli scenari più accreditati, prefigurano una durata della crisi sino al 30 giugno 2020 o al 31 dicembre 2020. Questo soprattutto per l’asincronocità della diffusione e relative limitazioni tra paesi
Nel secondo caso le ripercussioni sarebbero molto gravi con danni economici rilevanti in tutti i settori.