Alla riapertura dei mercati finanziari cinesi, i risvolti economici dell’epidemia cominciano a farsi più tangibili. E mentre le incognite e incertezze rimangono tante, il governo cinese si trova di fronte una nuova sfida, l’ennesima degli ultimi mesi.

Molto peggio della Sars

Lunedì 3 febbraio i mercati finanziari cinesi hanno riaperto, dopo essere rimasti chiusi dal 24 gennaio per le vacanze del capodanno lunare. Com’era prevedibile, il terrore per la diffusione del coronavirus ha avuto la meglio sugli investitori: lo Shanghai composite index è calato del 7,72 per cento in poche ore ed è diminuito quasi del 10 per cento da inizio anno, mentre lo Shenzhen composite index ha registrato picchi negativi simili. La perdita nei due mercati cinesi ammonta a più di 400 miliardi di euro e, con lo yuan che continua a perdere valore contro il dollaro, dimostra come i risvolti economici della crisi siano potenzialmente devastanti.

Finora il governo cinese ha annunciato che abbasserà i tassi sui prestiti e ha garantito che farà il possibile affinché la liquidità resti ragionevolmente ampia nella speranza che l’economia cinese non venga colpita oltremisura dalla crisi scatenata dall’epidemia.

La velocità con cui il coronavirus riesce a propagarsi tra gli esseri umani sembra essere in qualche modo simile alle potenziali conseguenze che un blocco dell’attività economica cinese potrebbe avere nell’intero sistema produttivo globale. Molti osservatori equiparano la nuova epidemia alla Sars, che nel 2003 uccise circa 800 persone infettandone dieci volte tante. E se dal primo al secondo trimestre del 2003 la crescita del Pil reale della Cina è precipitata di 2 punti percentuali, nel primo trimestre del 2020 potrebbe scendere molto di più rispetto al quarto trimestre del 2019.

Le due situazioni, però, non potrebbero essere più diverse. Dal punto di vista medico, il tasso di mortalità del coronavirus è circa del 2,2 per cento, contro il quasi 10 della Sars. Quindi molto inferiore. E dal punto di vista economico, il peso specifico della Cina di oggi nell’economia globale è molto più grande di quello di allora. Basti pensare che, secondo la World Bank, il Pil cinese nel 2003 ammontava a poco più di 1.660 miliardi di dollari, mentre oggi è oltre 13.600, più di otto volte tanto. Un dato ancora più importante del Pil è rappresentato dal peso cinese nella catena di produzione globale, la cui presenza è ormai endemica in tutti i paesi del mondo.

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Figura 1 – Importazione di prodotti intermedi dalla Cina, in percentuale

Fonte: Ocse, Bloomberg

A questo si aggiungono i fattori congiunturali, che aumentano il grado di rischio economico innescato dal virus. L’economia cinese sta rallentando ormai da tempo e Xi Jinping si è trovato a dover gestire sfide complicate negli ultimi mesi: dalla guerra dei dazi con gli Stati Uniti alle proteste di Hong Kong, passando per il costante aumento dei prezzi della carne di maiale e il cambiamento delle abitudini economiche dei cinesi, più propensi al risparmio e quindi meno pronti a fornire quello slancio continuo all’economia che Pechino ha sfruttato per decenni. Ed è per questo che il coronavirus pone sfide fondamentalmente diverse da quelle poste dalla Sars: nel 2003 l’economia cinese veniva da anni di crescita economica, una crescita che sembrava non avere fine e che aveva aiutato a far risalire ai livelli normali in meno di dodici mesi sia l’indice Msci China sia l’indice Msci Asia ex-Japan, due indici di riferimento quando si osservano i mercati finanziari cinesi. Oggi invece la situazione è radicalmente diversa e questo potrebbe complicare notevolmente un’eventuale ripresa di Pechino, non appena l’epidemia verrà fermata.

Figura 2

Quali sono i settori più colpiti?

L’economia reale vede alcuni settori molto più colpiti di altri. Com’era facilmente prevedibile, le compagnie aree risentono pesantemente degli effetti di epidemie come questa. Il titolo in borsa di Air France e Klm ha perso circa il 6 per cento da inizio gennaio e risultati simili li hanno avuti British Airways e Lufthansa. Anche Ryanair e Easyjet, pur non avendo nessun tipo di collegamento da e per la Cina, hanno visto il loro titolo perdere di valore. Altre compagnie aree che operano nel Sud-Est asiatico e in Australia e Nuova Zelanda hanno riscontrato effetti simili.

Figura 3 – Andamento degli indici per le compagnie aree di diverse aree

Fonte: Financial Times

La paura (o l’impossibilità) di volare causerà verosimilmente un calo dei turisti cinesi e, di conseguenza, un calo nelle vendite di prodotti di lusso. I turisti cinesi, infatti, hanno contribuito per il 90 per cento alla crescita annuale del mercato del lusso globale, secondo un recente report della compagnia di consulenza Bain&Co. Grandi gruppi come Lvmh, Kering e Richemont saranno tra i più colpiti dal calo della domanda cinese.

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In aggiunta, il ruolo che il settore produttivo cinese riveste nel mercato tecnologico vede compagnie come Apple tra quelle che più subiranno le conseguenze del coronavirus. Foxconn e Pegatron, per esempio, hanno sede nelle province in cui il focolaio del virus è iniziato e sono i due più grandi centri di assemblaggio per gli iPhone. Samsung, LG, Murata e Japan Display stanno vivendo una situazione simile, e come già annunciato da Apple, potrebbero dover gestire una grave interruzione della propria catena di produzione. Tutte queste compagnie, così come Toyota e Hyundai, hanno temporaneamente chiuso i propri impianti in Cina, mentre altre come Honda, Nissan, Psa e Renault hanno cominciato a rimpatriare i dipendenti.

Oltre all’aspetto economico, il coronavirus potrebbe rappresentare l’ennesima sfida diretta a Xi Jinping. Il malcontento, seppure sempre contenuto, sembra crescente e si aggiunge al clima di tensione dopo gli scontri di Hong Kong. La pessima gestione dell’epidemia da parte della centralizzatissima struttura amministrativa cinese ha scatenato un numero sempre più alto di critiche nei confronti di Xi, che non può biasimare “interferenze esterne”, come invece aveva potuto fare in occasione delle proteste di Hong Kong o nella recente vittoria di un candidato sostenitore dell’indipendenza alle presidenziali di Taiwan. Per il momento, nessuno può affermare con certezza che il regime stia traballando, ma restano ancora molte incognite a circondare quelle che potrebbero essere le conseguenze di questa epidemia. Nell’attesa, l’economia resta “influenzata”.

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