Frequentare il nido favorisce lo sviluppo cognitivo e non cognitivo dei bambini. Ma se ne avvantaggiano soprattutto i maschi, perché le femmine, a due anni, sono più mature. Ecco perché bisogna aumentare non solo l’offerta, ma anche la sua qualità.
Le differenze di genere iniziano presto
Quando si parla di differenze di genere, si tende giustamente a considerare le molteplici situazioni di svantaggio in cui si trovano le donne in economia e politica, con una minor partecipazione al mercato del lavoro, salari più bassi e una minore rappresentanza in Parlamento, al governo e nei ruoli di potere. Guardando alle determinanti delle differenze nel mercato del lavoro, si considerano poi le cause all’origine delle diverse scelte in ambito scolastico.
Tuttavia, se si riavvolge il nastro, si vedono differenze marcate tra maschi e femmine in termini di riuscita scolastica, con bambine e ragazze che hanno prestazioni migliori dei loro coetanei maschi sotto diversi aspetti: non solo la percentuale di laureate all’università, o la probabilità di abbandonare gli studi alla scuola superiore, ma anche nei voti ottenuti, già dalle elementari. Differenze che destano sempre più preoccupazioni in ambito internazionale.
È importante esplorare le determinanti di questi fenomeni a partire dai primissimi anni di vita. Infatti, secondo la letteratura sul capitale umano sviluppata a partire dal fondamentale lavoro di James J. Heckman e coautori, gli “investimenti” nei primi anni di vita sono uno dei fattori più rilevanti per la crescita individuale, dal momento che, in questa fase, lo sviluppo cognitivo è più malleabile. “Investimenti” diversi in termini di tipologia, durata e qualità implicano diversi risultati scolastici e nel mercato del lavoro, ma anche diversi esiti in termini di salute, comportamenti rischiosi e socialità. Dal momento che una quota crescente di mamme lavora fuori casa, l’analisi delle cure alternative dei figli piccoli diventa un campo di ricerca importante.
Perché il nido fa bene soprattutto ai maschi
È diventato cruciale dunque analizzare l’effetto delle diverse modalità di accudimento e di formazione nei primi anni dell’infanzia sullo sviluppo cognitivo e non cognitivo dei bambini e sulla formazione delle differenze tra maschi e femmine. La maggior parte degli studi internazionali ha mostrato che la frequenza del nido ha un impatto particolarmente benefico per lo sviluppo cognitivo e socio-emozionale (non cognitivo) dei bambini provenienti dalle classi sociali più svantaggiate, in quanto vi ricevono stimoli di maggior qualità rispetto a quanti ne riceverebbero in famiglia.
Meno studi si occupano invece delle differenze sugli effetti delle modalità di accudimento tra maschi e femmine. Quelli esistenti, inoltre, tendono ad avere risultati diversi fra loro e, soprattutto, meno netti di quanto non avvenga quando si considerano le diverse classi sociali. In particolare, la letteratura suggerisce che in media gli effetti siano più positivi (e più spesso statisticamente significativi) per i maschi; e che i bambini beneficino della frequenza del nido “in generale”, mentre le bambine se ne avvantaggino se l’offerta è di alta qualità (ad esempio, maggior numero di insegnanti per bambino, curricula specifici e così via).
Perché dovremmo aspettarci un impatto diverso tra maschi e femmine? La letteratura psicologica mette in evidenza che alla stessa età, sul piano cognitivo, le bambine hanno competenze linguistiche migliori dei maschi e, sul piano non cognitivo, hanno uno sviluppo socio-emotivo più maturo (maggiore autocontrollo e socialità). Ciò ci permette di interpretare i risultati degli studi citati in precedenza: a due anni le bambine, che sono più mature dei maschi, beneficiano maggiormente di rapporti personali uno a uno, come quelli che possono avere in casa con i genitori o con caregivers individuali, se questi offrono cure di qualità.
E cosa sappiamo dell’Italia?
Un’analisi sui nidi di Bologna condotta da Margherita Fort, Andrea Ichino e Giulio Zanella coautori mostra che la frequenza all’asilo nido ha un impatto negativo sul quoziente intellettivo negli anni seguenti per i bambini provenienti da classi sociali medio-alte. L’effetto negativo è maggiore per le bambine, coerentemente con il quadro teorico e le conclusioni appena riportate.
In alcune nostre recenti analisi, abbiamo studiato l’effetto della frequenza dell’asilo nido a Reggio Emilia, Padova e Parma – tre città molto simili fra loro, in termini di caratteristiche demografiche, economiche o culturali – sull’atteggiamento verso la scuola e sullo sviluppo socio-emotivo nei bambini di sette anni. In entrambi i casi, la frequenza dell’asilo nido ha un impatto positivo e statisticamente significativo solo per i maschi. Ciò implica un effetto di compensazione per le diseguaglianze di genere a favore delle bambine registrate negli anni della scuola primaria. Il confronto tra nido e altre forme di accudimento mostra come le differenze di genere nell’atteggiamento verso la scuola e nello sviluppo socio-emotivo riscontrate fra i bambini che ne ricevono uno di tipo informale (per esempio baby-sitter o nonni) tendano a scomparire tra i bambini che frequentano il nido pubblico.
Nota: le due figure mostrano la differenza tra maschi e femmine (percentuale femmine – percentuale maschi) nell’atteggiamento verso la scuola e nello sviluppo socio-emotivo (a sette anni), a seconda della modalità di accudimento tra zero e due anni. Una differenza positiva indica un gap a favore delle femmine. Si riportano solo gli esiti in cui la differenza F-M è significativa in almeno una delle due due modalità di accudimento.
** Differenza statisticamente significativa sia tra chi viene accudito in modo informale sia tra chi va all’asilo nido.
* Differenza significativa solo tra chi viene accudito in modo informale.
Attenzione alla qualità
Questi risultati hanno importanti implicazioni politiche. Con un tasso di copertura del 22 per cento, in Italia il numero di nidi rispetto ai bambini nella relativa fascia di età è decisamente più basso che nel resto d’Europa, dove la copertura media è del 33 per cento. Eppure, dati i benefici della frequenza del nido, un aumento del loro numero aiuterebbe lo sviluppo cognitivo e non cognitivo dei bambini. In secondo luogo, considerata l’eterogeneità dei benefici rispetto al background familiare, permetterebbe anche di ridurre le diseguaglianze nelle condizioni di partenza, con impatto significativo su quelle economiche nel medio-lungo periodo. Infine, l’effetto differenziale su bambini e bambine suggerisce che l’aumento del numero dei nidi potrebbe ridurre le differenze di genere nella scuola primaria. Tuttavia, le politiche che vogliano aumentare l’offerta di nidi devono tenere in grande considerazione la qualità, per non andare invece a detrimento delle bambine.
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Pasquale Recchia
Citandovi: “bambine e ragazze che hanno prestazioni migliori dei loro coetanei maschi sotto diversi aspetti: non solo la percentuale di laureate all’università, o la probabilità di abbandonare gli studi alla scuola superiore, ma anche nei voti ottenuti, già dalle elementari”. Però omettete di dire che, secondo il rapporto INVALSI 2019, cito ad esempo: “in seconda primaria, la differenza tra maschi e femmine nei risultati delle prove INVALSI è di 3 punti in Italiano, a favore delle seconde, e di 3 punti in Matematica, a favore dei primi…”. Esiste anche evidenza internazionale a riguardo. Non ne conosco il motivo, ma vista la premessa di questo articolo mi sembra sia un risultato, seppure importante, volutamente nascosto…
Daniela Del Boca
Il nostro team studia da anni lo sviluppo cognitivo e non cognitivo ddei bambini. Se lei guarda anche solo su questo sito, vedrà che abbiamo scritto moltissimo su questo tema e anche sui dati Invalsi (vedi Brilli et al 2016). In particolare una delle autrici (https://www.lavoce.info/archives/57946/matematica-cartina-di-tornasole-delle-differenze-di-genere/) ha messo in luce come, nonostante le differenze in matematica, le bambine ottengano in media risultati scolastici migliori dei maschi da piccoli e da grandi. Il dato a cui lei si riferisce è da noi ben conosciuto ma non ci è sembrato rilevante da riportare lo in questo pezzo che si occupa prevalentemente di esiti socioemotivi.
Pierino
E’ risaputo che il genere femminile, fin dall’infanzia è più avanti di quello maschile, questo perchè la natura, nel suo disegno di salvaguardia della specie, le farvorisce per lo scopo: sanno applicarsi a più attività contemporaneamente, sono più dedite allo studio, e lo dimostrano i risultati scolastici, perchè hanno un senso dell’autostima, maggiore dei coetanei. Il non saper rispondere, andar male in una interrogazione o non aver fatto i compiti, è uno smacco che le contraria non poco. I maschi cominciano a maturare questa dote intellettuale, superati i 20 anni, quando si rendono conto che, il tempo passa e il tempo perduto, non lo si recupererà mai!
In una società dove la suddivisione dei compiti era ben chiara: “l’uomo mantiene la moglie e i figli, mentre la donna manda avanti la casa”, era ragionevole un salario tale sufficiente allo scopo. Con il mutare delle esigenze, scaturite nella nuova società, dove il consumismo, ha fatto crescere il bisogno di beni, una volta considerati superflui, ora serve un introito compensativo. Questo aiuto, le donne lo hanno individuato nel mondo della scuola, perchè consentiva loro, anche una maggior flessibilità del tempo a disposizione, da dedicare alla famiglia. Lo dimostra il fatto che, la maggioranza dei docenti, sia femminile. Inizialmente la disparità salariale non era una discriminante, perchè era concepita come un “sostegno”, ma ora non è più così.