La pandemia è un vero stress test anche per il sistema scolastico e la sua capacità di essere davvero inclusivo. Un test che sta mostrando le debolezze di una società che non è capace di investire nei più piccoli e nelle nuove generazioni. E di una scuola impreparata.
Si fa presto a dire “didattica on line”
Proprio mentre la chiusura delle scuole e dei servizi educativi per l’infanzia sta stravolgendo la vita e le opportunità dei bambini e ragazzi, questi sembrano spariti dal radar della, già tradizionalmente scarsa, attenzione politica. Dal ministero dell’Istruzione arrivano solo apparentemente rassicuranti indicazioni che “non verrà bocciato nessuno”, e che la didattica on line sarà obbligatoria sia per i docenti che gli studenti, senza che ci si ponga il problema non solo della qualità minima che deve avere questa didattica, ma anche dei diversi e disuguali strumenti e competenze che i docenti e gli studenti hanno per accedervi. Non viene neppure nominata la questione di chi, spesso già in condizione di svantaggio nel contesto “normale”, non ha avuto accesso, o comunque non ha potuto fruire pienamente della didattica on line. Secondo i dati dello stesso ministero, il 6 per cento di tutti gli studenti non accede a nessun tipo di didattica on line, perché non offerta dagli insegnanti o perché non arriva la linea. Anche tra chi vive in zone servite da internet molti non possono davvero fruirne, perché in casa l’unico modo di accedere a internet è uno smartphone, che spesso deve essere usato da più persone. Secondo i dati Istat, il 12,3 per cento dei ragazzi tra 6 e 17 anni (850 mila in termini assoluti) non ha un computer o un tablet a casa. La metà di chi non ne ha uno si trova nel Mezzogiorno, dove il problema riguarda quasi il 20 per cento dei ragazzi. Il 57 per cento di chi ne possiede uno, inoltre, lo deve condividere con altri.
A questi dati ne vanno aggiunti altri due. Le famiglie prive di mezzi informatici adeguati (e con una insufficiente disponibilità di giga per soddisfare tutte le necessarie attività on line di tutti i componenti) sono anche quelle in cui spesso sono inferiori tra gli adulti le competenze necessarie per accompagnare i figli, specie i più piccoli, in questa modalità di apprendimento. Sono anche quelle in cui è più frequente il sovraffollamento e il disagio abitativo. Secondo i dati Istat, 42 per cento dei minori vive in condizione di sovraffollamento e 7 per cento è in grave disagio abitativo. Più dei loro coetanei in situazioni abitative migliori, soffrono la reclusione in casa come una privazione grave.
L’emergenza aggrava le disuguaglianze
L’impatto dell’emergenza sanitaria, quindi, non è uguale per tutti. Vale anche per gli adulti, naturalmente. Ma il disuguale impatto dell’emergenza sanitaria è, se possibile, più grave per i bambini e ragazzi, perché incide sulle opportunità di sviluppo delle loro capacità, con effetti di lungo periodo, nonostante le iniziative e gli sforzi di molti bravi insegnanti che vedono disperdersi il lavoro di costruzione di rapporti di fiducia e di impegno fatto in precedenza e le iniziative di associazioni della società civile e di terzo settore che stanno facendo un grande lavoro di supplenza. Come denuncia il rapporto di Save the children, non solo la povertà minorile, già triplicata in seguito alla crisi finanziaria del 2008, è in forte aumento quantitativamente e per intensità. Con il prolungarsi della chiusura delle scuole (incluse quelle dell’infanzia e i nidi), il digital divide territoriale e sociale aumenta il rischio di povertà educativa e mette a rischio il diritto all’istruzione.
Come usciranno bambini e ragazzi dal lockdown?
Il prolungarsi della chiusura delle scuole e l’imminenza delle vacanze estive, che il ministero dell’Istruzione sembra ritenere intoccabili, evidenziano anche un’altra debolezza del sistema italiano: il suo affidamento alla famiglia come unico responsabile del benessere dei bambini e ragazzi e dell’organizzazione del loro tempo fuori da quello scolastico. È curioso e preoccupante che nell’affrontare la questione della progressiva fuoruscita dal lockdown nulla venga detto su che cosa avverrà per i bambini e ragazzi, come si provvederà alle loro esigenze di socializzazione, movimento, cura (se piccoli).
Alla luce di questa situazione, l’Alleanza per l’Infanzia, condividendo le analisi e le proposte anche di altri soggetti, come ad esempio quelle del Forum Disuguaglianze e diversità, indica alcune politiche da attuare subito ed alcune in prospettiva. Tra le prime, accanto ad un assegno temporaneo per i figli minorenni in attesa di una riforma dell’intero sistema dei trasferimenti monetari per i figli, vi è un intervento sistematico per favorire l’accesso ad internet a basso o nessun costo, l’utilizzo della televisione pubblica per programmi didattici (anche per i più piccoli), la collaborazione e sostegno non solo agli insegnanti, ma a tutte quelle realtà di società civile e terzo settore che in queste settimane stanno operando perché i bambini e ragazzi più svantaggiati non siano lasciati soli. Questa collaborazione dovrebbe diventare un modo di lavorare sistematico a livello locale anche in prospettiva, superando l’occasionalità e frammentazione favorite dalla logica dei bandi. Quanto alla questione della conciliazione lavoro-famiglia, non può essere affidata solo al lavoro a distanza, per chi può farlo, o al ricorso alle babysitter. Mentre in prospettiva occorrerà rafforzare il sistema dei nidi, scuole dell’infanzia, scuole dell’obbligo a tempo pieno, nell’immediato, man mano che si ricomincerà a uscire, occorre predisporre, con le forme di sicurezza necessarie, spazi di socialità ed educazione extra-familiari sia, appunto, per favorire la conciliazione famiglia-lavoro dei genitori, sia per consentire ai bambini e ragazzi quelle attività che sono state loro a lungo precluse.
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Bruno Perin
Il tema messo in evidenza nell’articolo è sicuramente importante e l’emergenza Covid19 lo ha reso ancora più evidente. Le diseguaglianze sociali e territoriali erano evidenti anche prima. L’assenza dell’informatica accessibile lo amplierebbe ulteriormente amenoché venga colta l’occasione per riformare il sistema in senso democratico.
Prendiamo ad esempio la cura educativa dell’infanzia fino ai 6 anni nei centri ubani piccoli e periferici. Nessun asilo nido ne scuola materna. Ne pubblica ne privata. Tutto a carico della famiglia. Inoltre, le rigidità degli orari, là dove esistono, sono inconciliabili con il lavoro dei genitori. L’esperienza trentina potrebbe essere una valida possibile soluzione integrativa. La Tagesmutter, adeguatamente formata e certificata, riceve presso la propria abitazione i minori e ne cura l’assistenza con orari flessibili. Verrebbe monitorata periodicamente e l’ente locale se ne dovrebbe far carico economico in tutto o in parte. Togliere gli assegni familiari per asili nido gratuiti sarebbe per questi solo una perdita secca di assistenza.
Giulia Rivellini
Tema di cruciale importanza. Soprattutto per l’aggravarsi delle differenze tra contesti di apprendimento che ora giocano un ruolo fondamentale per la crescita dei bambini e ragazzi. Intervenire dopo va bene, ma è tardi. Perchè non attivarsi con una rete di volontari giovani che muniti di tablet e/o pc connessi alla rete vanno nelle case e supportano i bambini nello svolgere le lezioni e/ i compiti in lockdown? I soldi ora mi pare servano meno. Le università con le associazioni territoriali ci possono provare. Una call stile #MilanoAiuta.
Carla
Grazie Prof.ssa Saraceno per il suo impegno nel mantenere alta l’attenzione sul tema delle politiche per l’infanzia. La mancanza di interesse e investimento sui bambini e i ragazzi da parte della politica, tangibile anche solo entrando in una scuola qualsiasi in tempi normali, ora è drammaticamente evidente. È l’occasione buona per cambiare rotta. Lo spero. Con un supporto alle famiglie che vada oltre un mero contributo economico.
Carla