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Così il blocco delle attività ha ridotto il rischio contagio

Il blocco alle attività produttive introdotte dal Dl del 25 marzo ha contribuito alla diminuzione del rischio di contagio nelle regioni del Nord, in quel momento le più esposte all’epidemia. Lo mostra l’analisi della mappa dei sistemi locali del lavoro.

Attività produttive e rischio contagio

Per contrastare l’emergenza sanitaria connessa alla pandemia da Sars-Cov-2 il governo italiano ha introdotto misure di contenimento della mobilità personale e sospeso numerose attività produttive. Non sono state fermate, invece, le attività connesse a settori economici giudicati come essenziali, a cui si sono aggiunte quelle autorizzate dai prefetti su richiesta delle imprese.

In vista della riapertura, è importante comprendere come le specifiche caratteristiche delle attività lavorative si relazionino al rischio di contagio (si veda il contributo di Tito Boeri e Alessandro Caiumi su lavoce.info). Nel delineare le future misure di contenimento, infatti, tali considerazioni dovranno affiancare quelle relative all’importanza economica dei settori produttivi.

I contributi per definire la rischiosità delle varie attività non mancano. L’Inail, anche per coadiuvare la “task force Colao”, ha svolto un lavoro per associare ai diversi settori produttivi (Ateco) un livello di rischio integrato e di aggregazione sociale, indicando se il settore è stato sospeso o meno con il decreto legge del 25 marzo. Teresa Barbieri, Gaetano Basso e Sergio Scicchitano, in un recente articolo su lavoce.info, hanno analizzato la composizione settoriale dell’occupazione a seconda dell’esposizione ai contatti interpersonali. E in un loro ulteriore contributo, hanno elaborato un’analisi approfondita sulle professioni e sui settori più interessati al rischio di contagio. In particolare, hanno costruito mappe provinciali e regionali con la quota di lavoratori nel terzile più alto in termini di prossimità fisica, esposizione alla malattia e possibilità di lavorare da remoto.

Nicola Borri, Francesco Drago e Francesco Sobbrio, sempre con un intervento su lavoce.info, hanno utilizzato i dati sul numero di addetti delle unità locali per settore a livello comunale del 2017 per definire mappe provinciali con le percentuali dei soggetti sospesi dal lavoro, poi messe in relazione con il numero di individui risultati positivi al tampone prima e dopo il lockdown senza trovare alcuna relazione tra quote di sospesi e aumento dei contagi a livello provinciale. Concludendo il loro intervento, gli autori hanno rimarcato l’importanza di utilizzare, in futuro, dati Ateco disaggregati e attività produttive su aree territoriali più piccole, e di includere i settori non ricompresi nel registro delle unità locali.

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In questa nota, proponiamo una rappresentazione localmente disaggregata del rischio di contagio nel mondo del lavoro. Proviamo inoltre a valutare la relazione tra quest’ultimo e le misure contenitive disposte dal Dl del 25 marzo. Abbiamo perciò incrociato i dati del censimento dell’industria e dei servizi (Cis) del 2011 (che raccoglie, a livello comunale e per attività svolta, il numero di addetti delle imprese, del settore no-profit e del settore pubblico) con i profili di rischiosità individuati dall’Inail, assegnando loro valori crescenti su una scala da 1 a 4 (1 per rischio “basso”, 2 per “medio-basso”, 3 per “medio-alto” e 4 per “alto”).

Fatto questo, abbiamo calcolato due misure di rischio. Per la prima, i pesi sono stati costruiti tenendo in considerazione esclusivamente il mix dell’occupazione locale. Per calcolare i pesi della seconda, invece, abbiamo compreso anche gli inattivi (termine che ricomprende disoccupati e persone non in attività di lavoro, incluso studenti e pensionati), ai quali è stato assegnato un livello di rischiosità basso, cioè pari a 1. Entrambe le misure sono state ricostruite a livello di sistemi locali del lavoro (Sll) perché questi rappresentano le unità geografiche più appropriate per valutare la concentrazione di rischio dei lavoratori, in quanto definiti sulla base delle matrici di pendolarismo giornaliero.

Le ipotesi sul rischio

Dalla figura 1 emerge come la rischiosità relativa degli Sll dipenda in modo considerevole dalle ipotesi circa il rischio attribuito agli inattivi. In particolare, se il rischio medio viene calcolato basandosi esclusivamente sul mix dei lavoratori occupati, risulta mediamente più elevato (Sll rosso scuro) nelle aree del Mezzogiorno che in quelle Centro-settentrionali (figura 1A). Al contrario, se nel computo della media pesata vengono presi in considerazione anche gli inattivi, allora gli Sll del Meridione risultano mediamente meno rischiosi rispetto a quelli del Centro-Nord (figura 1B). Questo vale, ovviamente, sotto l’ipotesi che le attività svolte dagli inattivi siano caratterizzate da un profilo di rischio contenuto (“basso”). Fondata in tempi normali, l’ipotesi appare tanto più plausibile ora, quando la maggior parte della popolazione ha modificato i propri comportamenti anche fuori dal contesto lavorativo.

Figura 1 – Rischio medio di contagio (pre-lockdown).

Nota: il livello di rischio in (A) è calcolato come media pesata del rischio delle diverse attività economiche presenti localmente, mentre quello in (B) è calcolato tenendo conto anche degli inattivi, ai quali è stato attribuito un livello di rischio pari a 1 (“basso”).
Fonte: elaborazione su dati Cis 2011.

Una volta stabilito il grado di rischiosità degli inattivi, gli effetti delle misure di lockdown sul rischio medio locale possono essere calcolati “spegnendo” i settori sospesi dal governo con il Dl n. 19 del 25 marzo.

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Anche in questo caso, il valore assoluto della riduzione risulta influenzato dalla metodologia adottata per calcolare il rischio, benché ciò non influisca in maniera determinante sulla distribuzione geografica della riduzione. Infatti, come emerge dalla figura 2, gli Sll che registrano le maggiori riduzioni del rischio (i blu scuro) si trovano principalmente nelle aree settentrionali, sia considerando esclusivamente il gruppo di lavoratori attivi (figura 2A), sia tenendo conto dell’intera popolazione (figura 2B).

Figura 2 – Riduzione del rischio medio di contagio a seguito del Dl n. 19 del 25 marzo.Nota: la variazione è calcolata come differenza tra il livello di rischio pre- e post-lockdown; i livelli in (A) sono calcolati come media pesata del rischio delle diverse attività economiche presenti localmente, mentre quelli in (B) sono calcolati tenendo conto anche degli inattivi, ai quali è stato attribuito un livello di rischio pari a 1 (“basso”).
Fonte: elaborazione su dati Cis 2011.

In conclusione, la nostra analisi suggerisce che le scelte del governo Conte con il Dl del 25 marzo hanno contribuito a diminuire il rischio medio di contagio nelle regioni del Settentrione, in quel momento molto più esposte all’epidemia. Anche il mero ricorso a codici Ateco per la scelta dei settori da sospendere ha così permesso, per calcolo o fortuna, di incidere in modo appropriato sul livello medio di rischio degli Sll con maggior attività economica, in particolare al Nord.

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  1. Marcello Romagnoli

    L’articolo potrebbe anche essere interessante se ci fossero dei dati numerici per capire il metodo usato, come di è arrivati al risultato finale, per eventualmente verificare la validità delle assunzioni fatte

    • Silvio Traverso

      Il livello di rischio medio all’interno di ciascun SLL misurato con il metodo “A” risulta dalla media pesata tra la scala di rischio 1-4 definita dall’INAIL per i ciascun settore ateco 2 digits e la composizione settoriale della forza lavoro locale. La misura “B” è ottenuta in modo analogo, ma questa volta nel calcolo della media pesata entrano anche i disoccupati e le persone non in attività di lavoro (alle quali è stato attribuito il livello di rischio minimo, cioè 1).
      Saluti

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