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Sugli ospedali l’Italia dà il buon esempio?

L’Italia ha meno posti letto negli ospedali di Francia e Germania? Non dipende da costi più alti, ma da scelte di politica sanitaria. Tanto che il nostro paese è un esempio per efficienza, efficacia e appropriatezza del suo sistema ospedaliero.

Numeri su posti letto e ricoveri

Gli stessi dati possono offrire due interpretazioni diverse e condurre a conclusioni opposte? Prendiamo, per esempio, gli ospedali. Se oltre ai dati di struttura (posti-letto) e di spesa si guarda anche a quelli di attività (ricoveri e giornate di degenza), il “giudizio” sul sistema ospedaliero italiano può cambiare radicalmente. In un articolo pubblicato su lavoce.info confrontando i dati dell’Italia con quelli di Francia e Germania, Leonzio Rizzo e Riccardo Secomandi concludono che “se in Italia un posto letto costasse come in Germania, ovvero 138 mila euro all’anno invece di 260 mila, potremmo disporre quasi del doppio di quelli che abbiamo oggi (260/138=1,88). Se costasse come in Francia, l’incremento sarebbe pari al 30 per cento rispetto alla situazione attuale (260/200=1,3)”.

Il costo per posti-letto, in termini di analisi, esprime il costo dell’input, mentre ciò che rileva è il costo dell’output (il ricovero). È come se si confrontasse il costo di una pressa o di una trancia, senza sapere quanti pezzi sono stati prodotti. La Sécurité sociale o le Krankenkassen o, da noi, le Asl non rimborsano gli ospedali per il costo dei letti, ma per i ricoveri erogati ai loro assistiti, secondo il numero, il tipo e le tariffe per Drg (Diagnosis-relate groups, raggruppamenti omogenei di diagnosi).

I dati di base per un confronto più completo sono riportati nella tabella 1. Sono tutti di fonte Eurostat e si riferiscono ai letti e ai ricoveri “ordinari” (inpatient) per acuti, riabilitazione e lungodegenza, pubblici e privati (accreditati e a pagamento), con esclusione dei day hospital (Eurostat, Ocse e Istat non rilevano i dati dei posti-letto e dei ricoveri di day hospital e di day surgery, ma solo la spesa). La spesa ospedaliera è calcolata secondo la metodologia del System of Health Accounts 2011, la stessa dell’Ocse, dell’Eurostat (Database Health) e dell’Istat e si riferisce allo stesso aggregato dei posti letto e dei ricoveri.

Nei dati dell’articolo di Rizzo e Secomandi si rileva una duplice discrepanza, in quanto viene considerata la sola spesa ospedaliera pubblica (general government Cofog), anziché quella totale, e la stessa viene poi rapportata al totale dei posti-letto (pubblici e privati) dell’Ocse. Dalla tabella 1 risulta un’evidente maggiore spesa ospedaliera di Germania (131 miliardi contro 96) e Francia (104 miliardi contro 83), mentre quella dell’Italia quasi combacia (52 miliardi contro 51), anche se non sono queste cifre a inficiare il confronto. Il costo per posto-letto italiano risulta di 270 mila euro, quello tedesco di 198 mila e quello francese di 260 mila, che conferma il distacco dell’Italia dalla Germania, ma la avvicina alla Francia. Il costo per ricovero è più alto in Francia (8.597 €) sia rispetto all’Italia (7.403 €) sia alla Germania (6.223 €), dove incide la forte sproporzione dei posti letto (25 per cento) e dei ricoveri di riabilitazione, il cui costo è notoriamente più basso dei ricoveri per acuti. Si conferma quindi che l’Italia ha il più alto costo per posto-letto dei tre paesi, ma è solo perché ogni letto produce il più alto numero di ricoveri in un anno (36,5), rispetto alla Germania (31,8) e alla Francia (30,3). È la più ovvia spiegazione della differenza di costo per posto-letto in Italia rispetto agli altri due paesi.

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Le virtù del sistema ospedaliero italiano

In questa prospettiva, pur non confrontano il mix dei tipi di ricovero, gli ospedali italiani risultano più efficienti di quelli francesi e tedeschi: hanno una maggiore “produttività” per posto-letto (il tasso di rotazione del singolo letto è maggiore), una durata della degenza più bassa (7,8 giorni contro i 9,9 della Francia e gli 8,9 della Germania) e un più alto tasso di occupazione dei letti (78 per cento contro 77,6 per cento della Germania e 82,4 per cento della Francia, ottenuto però con una degenza più lunga di due giorni).

Il costo per posto-letto non è, quindi, la causa del più basso numero di quelli disponibili in Italia rispetto a Francia e Germania. Al contrario, l’Italia rappresenta un esempio virtuoso per efficienza, efficacia e appropriatezza del sistema ospedaliero.

Nel decennio 2007-2017 i letti si sono ridotti di 45 mila unità, perché è avvenuto un terremoto nel sistema ospedaliero: i ricoveri sono crollati di 3,4 milioni e le giornate di degenza di 16,6 milioni. Se si fosse mantenuto lo stesso numero di letti del 2007, il loro tasso di saturazione oggi sarebbe solo del 57 per cento. In altri termini, si sono chiusi o riconvertiti letti vuoti, che non servivano più. E oggi non c’è bisogno di aumentarli, salvo per le emergenze in terapia intensiva, dove peraltro risultavano occupati solo (e fortunatamente) al 48,4 per cento prima dell’epidemia da Covid-19.

Il ridimensionamento degli ospedali è un fenomeno mondiale, in atto da almeno 50 anni, dovuto alla tecnologia diagnostica e chirurgica, ai nuovi farmaci, al potenziamento dei servizi territoriali e, non ultimo, all’uso meno inappropriato di queste strutture costose. Oggi si fanno in day hospital o ambulatorio interventi che prima necessitavano il ricovero. Se l’Italia ha una dotazione di 3,3 letti per mille abitanti, in altri paesi più avanzati e di maggiore estensione territoriale la disponibilità dei letti è ancora più bassa: Stati Uniti 2,8, Nuova Zelanda 2,7, Danimarca 2,6, Regno Unito e Canada 2,5, Svezia 2,2 (fonte Ocse). È semmai un’anomalia della Germania e della Francia, così come del Giappone, della Corea e dei paesi meno avanzati dell’Est Europa, avere un numero abnorme di posti-letto. Non a caso in Germania viene ospedalizzato il 25 per cento della popolazione e in Francia il 18 per cento contro il 12 per cento dell’Italia (tabella 1). È quasi una dimostrazione da manuale che l’offerta (di posti-letto) crea la domanda (di ricovero), confermando la vecchia legge di Milton Roemer (1959), secondo cui “a bed built is a bed filled” (“un letto costruito è un letto occupato“).

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Nota degli autori dell’articolo Posti letto: perché in Italia costano di più
di Leonzio Rizzo e Riccardo Secomandi

L’analisi di Vittorio Mapelli è di interesse e puntuale e pone enfasi su una possibile causa del più elevato costo per posti letto in Italia che consisterebbe nel più elevato numero di ricoveri per posto letto. Questo dà una risposta alla domanda con cui si concludeva il nostro articolo: perché c’è tanta differenza di costo in stati che dovrebbero essere molto simili in termini di tecnologie adottate?. È sicuramente importante considerare misure di output adeguate, ma si sa quanto complessa sia la loro individuazione. Non si può infatti non riconoscere che un numero elevato di ricoveri per breve tempo non è detto ci dia un’informazione adeguata sulla performance del sistema sanitario. Un numero troppo ridotto di posti letto potrebbe indurre a dimettere dagli ospedali i pazienti prima del dovuto con conseguenze sulla qualità dell’output del sistema. A tal proposito sarebbe sicuramente auspicabile avere delle adeguate di misure di output relative ai differenti tipi di patologie trattate. Infine se rimaniamo sulle misure di output proposte da Mapelli, un’alternativa più puntuale rispetto a quella dei ricoveri potrebbe essere quella delle giornate di degenza. In tal caso, dividendo la spesa ospedaliera per le giornate di degenza, si ottiene ancora una maggior spesa per l’Italia che per Francia e Germania.

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19 commenti

  1. Vittorio Mapelli

    In contabilità nazionale, come nell’economia reale, esiste un’identità di base per cui costi = ricavi, se non vi sono profitti o perdite. Il dato sui costi per posto-letto o per ricovero può essere, quindi, letto anche come un ricavo: è infatti una spesa per il terzo pagante (Sécurité sociale, Krankenkassen, ASL), ma un ricavo per l’ospedale. In questa prospettiva, gli ospedali italiani risultano più “redditizi” di quelli francesi e tedeschi, perché sono i più efficienti, avendo una maggiore “produttività” per posto-letto. Quindi anche il commento di Rizzo e Secomandi sul più alto costo per giornata in Italia può essere letto come maggiore creazione di valore aggiunto per giornata di degenza. D’altronde, è molto facile abbassare i costi per giornata, tenendo ricoverati più a lungo i pazienti. Ovviamente, un confronto più corretto andrebbe fatto sul mix dei tipi di ricovero e in termini di parità di potere d’acquisto tra i tre paesi. Ma l’Italia ne uscirebbe molto bene.

  2. Paolo Bertoletti

    E quale misura di output l’autore propone di utilizzare per tener conto della prestazione sanitaria assicurata in caso di epidemia e congestione dei posti letto in terapia intensiva?
    E’ possibile ignorare l’utilità di dispore di una riserva di posti letto (di terapia intensiva) per coprire un picco di degenze?

    • Ettore Sabatino Paolino

      La razionalizzazione della rete ospedaliera per concentrare le cure sugli Ospedali ad alta specializzazione e realizzare le Economie di Scala in astratto è buona cosa. In astratto,perchè bisogna tener conto anche della orografia del territorio,e della distribuzione della popolazione. Le faccio un esempio concreto perchè,al di là delle teorie conta anche la realtà empirica e concreta. Nel mio paese natio in provincia di Caserta esisteva un piccolo Ospedale che,per piccoli interventi di routine andava bene e fungeva anche da Pronto Soccorso. Questo Ospedale (Teano) è stato razionalizzato,ossia tagliato,e sa dov’è ora l’Ospedale vicino più attrezzato:a 60 km! Se uno ha un infarto (è capitato) ora impiega circa 45 minuti per raggiungere l’Ospedale più attrezzato (si fa per dire,da quelle parti i migliori Ospedali sono A Napoli,ossia a 120 km dal paesino!). Quello di Teano era a 20 km,15 minuti. Veda lei se questa “razionalizzazione”e razionale! Per quanto concerne il rapporto medici/pazienti, e medici/Infermieri non mi risulta che siamo in media Ue,dovremo confrontare i dati,ma non è questa la sede. Per quanto concerne il discorso sulla “deflazione” della domanda rimango sempre perplesso,da paziente,che si assuma che esistano persone contente di andare in Ospedale:sono stato ricoverato per lungo tempo,credo che solo un masochista ami andare in Ospedale perchè è una delle esperienze più brutte che si possano fare nella vita(sofferenza,rischio infezioni,etc).

      • Emanuele De Candia

        Nel fare riferimento ad un eccesso di domanda di cure non ho affermato che questo dipenda solo e unicamente dai pazienti, lei lo afferma. L’overuse dipende in parte dalla medicina difensiva, dal modo di finanziamento delle prestazioni sanitarie oltre che da molti fattori che rientrano nel vasto fenomeno della medicalizzazione. Sono comportamenti professionali e aspettative di cittadini e pazienti insieme che lo determinano. Solo alcuni esempi più comprensibili di interventi di sovra-utilizzo con scarsi esiti: cesarei senza indicazione clinica, le angioplastiche coronariche, artroscopia “terapeutica” per l’artrosi del ginocchio,interventi di protesi d’anca e di ginocchio come le isterectomie inappropriate. C’è una valanga di letteratura di medicina basata sull’evidenza sull’inefficacia e il sovra-utilizzo di questo tipo di interventi. Sul fatto che non le risulta che il rapporto medici/pazienti è sulla media europea: siamo sopra la media (OECD e EUSOTSTAT). Sotto per personale infermieristico. Sulle economie di scala: la testimonianza che riporta non è una conseguenza necessaria di una razionalizzazione, è una scelta organizzativa. La Calabria è in Piano di rientro, unici strumenti efficaci nelle regioni dove sono stati adottati. Di fatto, indirizzi di programmazione centrale (Dm 70/2015), sotto ad un bacino di utenza di 80.000 abitanti non esclude presidi ospedalieri di base (con PS) e chirurgia generale. Il problema di questi piccolo ospedali non sono i costi ma i rischi.

    • Albi Dane

      mi sembra che l’articolo dia già la risposta: mediamente l’Italia ha un tasso di riempimento delle terapie intensive di poco meno del 50%, quindi i posti, in caso di emergenza, ci sono. Forse non sono sufficienti per le catastrofi, ma per quelle è difficili prepararsi (non è detto che la prossima pandemia attacchi le vie respiratorie, quindi le terapie intensive non è detto che serviranno come sono servite adesso). Meglio semmai prevenirle. L’articolo sembra dimostrare che in effetti l’Italia ha mediamente fatto progressi nell’efficienza di gestione della Sanità: ci diciamo da anni che il modo migliore di fare salute è prevenire e decentrare sui territori le cure dei pazienti: la riduzione dei ricoveri ospedalieri mi sembra indicare anche questo. Da tempo si insiste sul fatto di diminuire i tempi di ricovero a quelli strettamente necessari e poi fare monitoraggio sul territorio: l’alto indice di rotazione per ciascun letto e il basso numero dei ricoveri per riabilitazione confermerebbe questa tendenza. Non credo che l’elemento debole nell’affrontare la pandemia in Lombardia sia stata la scarsità delle terapie intensive. Tra diversi mesi avremo forse la dimensione esatta di ciò che è successo e delle cause radice che stanno alla base dello spaventoso indice di mortalità in Lombardia, ma l’articolo dimostra che queste non sono da ricercare nell’efficienza del SSN, che non è sicuramente perfetto ma rimane comunque molto valido. Bene!

      • Emanuele De Candia

        Sono d’accordo con questa sintesi che riporta all’analisi principale dell’intervento. Ha sintetizzato anche la parte rimasta implicita in tutti i miei commenti. Sostenere cioè che ci sia stata efficienza e che questo sia un punto qualificante per un sistema sanitario, non l’inverso. L’ho fatto indicando quanto ancora tale aspetto sia affrontabile, non per sostenere che l’attuale situazione sia inefficiente e quindi causa dell’inefficace risposta al problema pandemico. Le evidenze che abbiamo sulla risposta inadeguata dipendono da altri fattori che possono essere ricondotti alla prevenzione, alla sorveglianza epidemiologica e all’organizzazione della presa in carico dei pazienti, non quindi ad un ulteriori aumento di posti letto, dei quali quelli in terapia intensiva sono parte dell’ultima fase di un paziente covid-19. Molto ricerche, per quanto descrittive, stanno facendo emergere non solo in Italia, che i sistemi meglio responsivi siano stati quelli che hanno prima identificato i contagi e poi attuato prese in carico precoci dei paziente nell’assistenza territoriale con appropriati triage, evitando così sia la crescita della curva epidemica e di conseguenza le ospedalizzazioni per aggravamento dei pazienti a quel punto inevitabili, avendo in questo modo minor bisogno di terapie intensive. Finta l’emergenza si potranno comprendere meglio questi aspetti. Purtroppo la tesi che punta su maggiori terapie intensive è diventata già politica pubblica. Tesi erronea ma più spendibile.

  3. Ettore Sabatino Paolino

    Caro Professore,secondo lei tenere i posti-letto sottodimensionati è una buona cosa perchè aumenterebbe la produttività,sono gli altri (Germania e Francia) che sbaglierebbero ad avere più posti letto. Non so se lei ha mai sentito parlare di liste di attesa per interventi chirurgici (e non solo). A Torino (quindi non nel Sud dove la Sanità funziona ancora peggio) per un intervento chirurgico di routine (prima del Covid 19,ora è peggio) tipo una emorroidectomia, un’ernia, un alluce valgo ,etc i tempi di attesa variano da 10 mesi ad 1 anno e più! E sa perchè? Perchè i posti letto sono pochi,e quindi le liste di attesa sono lunghissime grazie ai tagli. In secondo luogo la sua analisi non tiene conto della differenza tra efficienza ed efficacia. Efficienza,che è il parametro chiave dell’Economia mainstream,vuol dire allocare al meglio le risorse evitando ridondanze. Ma nella Sanità,come questa crisi ci ha insegnato,non bisogna ragionare solo in termini di efficienza ma anche di efficacia. Perchè se c’è shock esogeno,come è successo,avere delle ridondanze (risorse sottoutilizzate) consente di gestire meglio le emergenze. A questo proposito Innocenzo Cipolletta che è di orientamento liberale,ha correttamente osservato su Corriere Economia del 4 Maggio che se si dovesse ragionare nei servizi pubblici solo in termini mercatistici ed efficienza,nel trasporto ferroviario (che lui conosce bene) non dovrebbero esserci treni tra le 11 e le 17 (la domanda è scarsa)

    • Emanuele De Candia

      Non ha alcun senso avere capacità inutilizzata in attesa di shock esogeni, come non ha alcuna evidenza che tali shock siano meglio gestibili con un eccesso di posti letti in terapie intensive, ragionamento che spesso viene erroneamente attribuito alla maggiore efficacia del sistema sanitario tedesco e coreano nella risposta ai paziente covid-19, quando invece tale risposta, usando un triage pre ospedaliero insieme ad altre misure di sorveglianza epidemiologica, ha proprio evitato molte ospedalizzazioni attraverso gli ambulatori clinici. Medesimo ragionamento errato è quello che attribuisce il fenomeno dei ritardi nelle liste di attesa con la mancanza di posti letto, in questo caso dettato più da ragioni di inappropriatezza del ricoveri ospedaliero per determinate patologie a media e bassa complessità (o interventi) che dovrebbero essere effettuati in setting ambulatoriale. L’efficienza non è l’efficacia ma spesso non essere efficienti, come avere più posti letto e riempirli con degenze inutili crea inappropriatezza del sistema sanitario ed costoso, quindi toglie risorse scarse a discapito di interventi che potrebbero essere svolti con più rapidità e in diversi setting. Aspettare un anno in lista di attesa per un intervento programmato cioè.

      • giorgio ponzetto

        Mi può spiegare la sua affermazione secondo cui è un errore ritenere che le liste d’attesa dipendano dalla mancanza diposti letto nei reparti,che in realta ci sarebbero se non ci fossero ricovri inappropriati? In certe specialità le liste d’attesa sono consistenti e mi pare piuttosto azzardato, impegnativo e bisognoso di riscontri oggettivi sostenere che ciò dipenda dal fatto che ci sono troppi ricoveri che potrebbero essere evitati . Del resto tempi lunghi d’attesa ci sono spesso anche per visite specialistiche ,esami e interventi ambulatoriali, segno evidente che il sistema in molte situazioni è sottodimensionato rispetto alla domanda.

        • Emanuele De Candia

          Se avessimo il triplo di posti letto di certo avremmo meno liste di attesa, ma questo non farebbe altro che aggiungere ad una parte di inefficienza (e inefficacia) organizzativa attuale una ulteriore inefficienza, moltiplicandole per non voler affrontare ciò che le determina.Sarebbe minore il tempo della liste di attesa ma creando maggiori problemi per l’accessibilità alle cure.
          In un mondo in cui i costi non esistono e le risorse non sono scarse si potrebbe fare. Nei sistemi sanitari invece le risorse sono scarse, ci sono vincoli di bilancio pubblico, sono raccolte dalla tassazione e non ultimo l’allocazione è alternativa ad altrettanta legittima domanda di servizi pubblici diversi che richiedono comunque una copertura di spesa. E’ legittima la richiesta di assumere più dottori e creare più posti letto, va almeno dimostrato che siano costo efficaci rispetto all’attuale organizzazione delle cure e ad altre configurazioni organizzative del servizio.
          In mancanza di queste evidenze, non ha il dubbio che i contribuenti non siano disposti a coprirne le spese in modo duraturo per avendo ridotto liste di attesa?

      • Ettore Sabatino Paolino

        Prendo atto che lei ha una diversa visione,le posso assicurare (ho purtroppo avuto spesso a che fare,nel concreto,con la Sanità pubblica) che le liste di attesa ed i ritardi dipendono,congiuntamente con altre concause (ogni fenomeno ha una eziologia complessa e multicausale,mai attribuire,come fa la semplificazione populistica, un fenomeno o una disfunzione ad una sola causa!) soprattutto dai tagli che hanno ridotto sia i posti letto,sia i chirurghi sia il personale infermieristico nelle sale operatorie (le stime più rigoriste parlano di un sottodimensionamento di Medici ed infermieri pari a circa 20.000 unità prima del Covid 19). Le liste d’attesa per la diagnostica (anche 9/10 mesi per fare una Ecografia in un Ospedale et similia per gastroscopie,colonscopie,Tac,etc) dipende soprattutto dal fatto che manca il personale per far girare le apparecchiature diagnostiche a regime:lei ha mai provato a prenotare una Ecografia di pomeriggio in una struttura pubblica? Non le fanno (non perchè il paziente non riesce a stare a digiuno di pomeriggio,come sostiene qualcuno!) perchè non hanno il personale per far girare le apparecchiature di pomeriggio. L’esempio di Innocenzo Cipolletta sui treni è azzeccatissimo perchè evidenzia proprio la differenza tra quello che dovrebbe essere un servizio pubblico,ed una attività di mercato. La invito a leggere, questo post del Professor Leoncini:https://www.economiaepolitica.it/crisi-economica-coronavirus-italia-unione-europea-mondiale/efficienza-e

        • Emanuele De Candia

          Ripete campagne mediatiche su tagli come fossero unica causa con argomento ad auctoritas. Il rapporto medici/pazienti è sulla media UE. Diceva di più cause no? Appropriatezza clinica (efficacia terapie) e organizzativa (livelli di offerta + efficaci a parità di costo). Un ospedale con oltre 1000 parti è +efficiente di 5 ospedali con 200; +efficace con -parti cesari; -posti occupati male; -rischi per la salute perché dotato di +tecnologie e specializzazioni (TI neonatale): +appropriato con -costi per paziente. Analisi costo-efficacia mostra come la presa in carico in PDTA in diversi setting organizzativi di molte malattie croniche, riduce molto la domanda di ricovero diretto e ulteriori ricoveri per complicanze. Causa è la mancanza di risposta medica nelle fasi precoci insieme ad una efficiente organizzazione delle cure territoriali. Es diabete: tassi ospedalizz tra regioni meno strutturate con PDTA vs regioni benchmark: +30% ricoveri, doppi tassi ricoveri ripetuti, peggiori outcome clinici con esiti di aggravamento: +rischi +costi. Costi correlati al diabete incidono circa 10% della spesa sanitaria, 9 miliardi/anno. Ripeta con patologie che rientrano nei DRG ad alto rischio inappropriatezza. Chiaro l’effetto su liste di attesa? Altro tema la domanda. Non ogni prestazione richiesta è corretta. Conosce eccessi prescrittivi di determinati farmaci? Riguarda anche molta specialistica e diagnostica che satura la capacità produttiva: tempi di attesa.

  4. ettore marconi

    Ma non bisogna dimenticare che vi sono anche ospedali con situazioni deprecabili come pazienti in lettiga nei corridoi, con situazioni igieniche terrificanti, con strumenti acquistati che non funzionano con esami importanti che si devono prenotare mesi prima, con medici che dicono che a pagamento si possono fare subito in cliniche amiche. Se si continua ad elogiarsi solo dicendo cio’ che è buono si peggiora la situazione. Tempo fa il letto di una paziente coperto di formiche ha fatto il giro d’Europa, si puo’ immaginare che idea si sono fatti del ns sistema ospedaliero coloro che l’hanno visto.

  5. Massimo Cocchia

    Mi associo ai commenti precedenti. Se accettiamo che il metro dell’efficienza di un ospedale risieda nella capacità di occupare al 100% i posti letto e le attrezzature, allora sarebbe utile tagliare i posti letto al livello per il quale essi siano occupati appena al di sotto del 100% o giù di li. Accade questo nel nostro sistema sanitario? Un secondo punto è che l’analisi non valuta la qualità del servizio fornito. Possiamo valutare il tempo medio di permanenza del malato in terapia, come un indice dell’efficienza dell’SSN? Il solo fatto che questo dato differisca tra i diversi sistemi sanitari ci dovrebbe far riflettere. In terzo luogo, l’analisi non tiene conto delle enormi differenze tra regione e regione, che senz’altro influiscono sulla valutazione. Una provocaazione per finire, non sarà che proprio per la scarsa qualità degli ospedali del sud noi il nostro SSN viene giudicato efficiente?

  6. giorgio ponzetto

    A chi nei commenti all’articolo sostiene ,in buona sostanza,c he il problema del nostro sistema sanitario non è quello di un sottodimensionamento strutturale rispetto alle esigenze della popolazione,ma solo un fatto di rioorganizzazione ed efficientamento,vorrei ricordare un dato significativo riportato dai Proff Alesina e Giavazzi in un articolo sul Corriere della sera di alcuni giorni or sono secondo cui l’Italia ha una spesa sanitaria inferiore di 2.5 punti di Pil rispettoa quella della Germania,pur avendo una spesa pubblica complessiva superiore di 4 punti di Pilrispetto a quella tedesca.La spesa pubblica iitaliana ha cioè privilegiato altri obbiettibi rispetto al settore sanitario. La nostra esigenza quindi non può essere solo quella di razionalizzare,ma anche di dedicare più risorse alla sanità per investire in strutture,attrezzature e personale.

    • Albi Dane

      mi sembra che l’articolo chiarisca buona parte di quanto afferma: la Germania ha una quantità di posti letto molto elevati che rimangono vuoti, oppure li occupa “forzosamente” ricoverando pazienti che ha poco senso ricoverare (p.es. per riabilitazione). Su questo punto sono assolutamente d’accordo con la via intrapresa dall’Italia di procedere con ricovero solo quando e finchè serve. Questo per vari motivi, di cui il principale è che una percentuale straordinariamente elevata di persone rimane ricoverata in ospedale oltre i tempi che erano previsti all’atto del ricovero perchè si infettano in ospedale: questo succede ovunque nel mondo e dimostra che meno si sta in ospedale meglio è. Se poi consideriamo l’evento specifico Covid, tutto si può dire tranne che la Lombardia spenda poco in Sanità e abbia un sistema disefficiente. Capiremo tra mesi le cause reali del disastro che c’è stato, ma non direi che è una questione di efficienza del sistema sanitario o di risorse che gli si dedicano. Potrebbe essere semmai una reazione non efficace ad un attacco imprevisto da parte di un virus sconosciuto. In tutti i casi, se si vogliono individuare le criticità e risolverle, analisi di questo tipo vanno fatte con elementi e dati specifici come ha fatto l’articolista, non con valutazioni generiche sulle risorse dedicate in rapporto al PIL. L’efficienza è un tema essenziale in generale: in Italia ancora di più visto le scarse risorse disponibili e sono felice nel vedere i progressi fatti

  7. Vittorio Mapelli

    Rispondo ad alcuni commenti. 1) E’ da anni consolidato che una buona misura del prodotto ospedaliero è rappresentata dai DRG (Diagnosis-related groups o Raggruppamenti omogenei di diagnosi), messi a punto da R.Fetter e J.Thompson negli anni ’70 e adottati dal Medicare USA nel 1983 come forma di pagamento prospettico dei ricoveri dei propri assistiti. Sono adottati nei paesi più avanzati. In Italia sono stati introdotti il 1.1.1995 per la remunerazione delle Aziende ospedaliere e degli ospedali privati. Sono attualmente 538 raggruppamenti di ricoveri, relativamente omogenei per diagnosi e assorbimento di risorse, a cui si può associare un indice di peso, rappresentante l’assorbimento di risorse, che consente quindi di effettuare confronti spazio-temporali tra gli ospedali. La giornata di degenza non può essere in alcun modo rappresentativa del prodotto ospedaliero: prolungando (inutilmente) la degenza, aumenterebbe il prodotto… 2) Il Ministero della Salute considera ottimale un tasso di occupazione dei posti-letto del 75% (vedi i parametri di programmazione emanati nel corso degli anni). Con l’attuale tasso del 78% significa che ogni giorno sono liberi 42.360 p.l.: sono sufficienti per la normale routine. In situazioni di emergenza tutto cambia, ma per questo servono piani ad hoc. 3) Il problema delle liste d’attesa è molto complesso e riguarda tutti i sistemi sanitari pubblici, non solo il nostro. Una buona programmazione regionale può risolvere molte criticità evidenziate.

    • giorgio ponzetto

      sarebbe interessante conoscere il dato relativo al tasso di occupazione dei posti letto disaggregato per regione o, se disponibile, meglio ancora per provincia. Graie

  8. ANDREA VANNUCCI

    tra i dati /indicatori che possono aiutare a comprendere le differenze di performance tra Italia e altri paesi e formulare giudizi di efficacia ed efficienza dei relativi sistemi ospedalieri suggerirei di confrontare, se disponibile, il tasso di riospedalizzazione a 30 giorni per cause non programmate, meglio se per tutte le cose e non limitato allo stesso raggruppamento diagnostico del primo ricovero. L’ipotesi di esiti negativi da dimissione precipitosa, tenendo conto della età media elevata dei ricoveri ospedalieri e della frequente fragilità dei pazienti ricoverati, può determinare alterazioni e danni anche a sistemi e organi che non hanno direttamente a che fare con la causa e la diagnosi del primo ricovero

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