L’epidemia Covid-19 avrà effetti negativi su imprese e famiglie. A chi prende decisioni di politica economica potrebbe mancare oggi la bussola di dati accurati e affidabili. La soluzione è nella costruzione di collaborazioni fra una vasta rete di attori.
L’importanza dell’informazione
Per chi prende decisioni di politica economica, per i mercati e per il pubblico, l’informazione statistica è come la bussola per il marinaio. Tuttavia, le misure messe in atto su scala globale per contenere la diffusione del Covid-19 avranno effetti profondi non solo sulle imprese e sulle famiglie, ma anche sulla stessa bussola che dovrebbe indicare la rotta.
Vi è il rischio concreto di non cogliere i rapidi mutamenti in corso nelle nostre economie, proprio quando sarebbe più urgente tenerne traccia. Definire le risposte di politica fiscale e monetaria alla crisi sarà ancora più difficile se vi è carenza di informazioni adeguate. Anche il processo di formazione dei prezzi sui mercati finanziari è meno efficace; ne derivano episodi di volatilità che possono aggravare lo shock dovuto all’emergenza sanitaria.
Vi è poi un altro aspetto rilevante: una diffusa mancanza di informazioni è un’arma formidabile in mano a quanti mirino a lacerare il tessuto delle nostre democrazie. Senza dati attendibili, che ancorino il dibattito pubblico, prospera la disinformazione. Diventa più facile far circolare notizie non accurate su questioni rilevanti come i costi umani ed economici della pandemia, per esagerarne o minimizzarne gli effetti, a seconda della convenienza del momento e di strategie di più lungo termine.
Siamo di fronte a una sfida senza precedenti che, in quanto tale, richiede sinergie nuove. Tutti devono fare la loro parte. I protagonisti principali sono tre.
I tre protagonisti
Il primo protagonista sono gli istituti nazionali di statistica e gli altri produttori di statistiche ufficiali. È quanto mai urgente che garantiscano un flusso adeguato di informazioni, accompagnando più del solito gli utenti nell’interpretazione dei dati prodotti e disseminati. Ad esempio, la compilazione degli indici dei prezzi al consumo prevede anche la raccolta di dati presso produttori e punti vendita. Alla luce della chiusura di molte attività commerciali per le misure di lockdown, è naturale chiedersi quanto sia estesa la perdita di informazioni statistiche, se e come i dati mancanti siano imputati. Sono domande legittime e risposte articolate, oltre ai manuali e alle regole di compilazione ordinariamente disponibili, aiuterebbero gli analisti e i decisori a meglio interpretare gli indici pubblicati. Inoltre, i produttori di statistiche ufficiali dovrebbero tentare, ove possibile, di aumentare la frequenza e la copertura dell’informazione che diffondono. Se questo processo è trasparente, gli utenti avranno modo di tenere conto dell’inevitabile – ancorché temporanea – perdita di qualità dei dati.
Le banche centrali dovrebbero fare la loro parte, ampliando la platea di utenti delle loro statistiche e diffondendo aggiornamenti più tempestivi sullo stato dell’economia. La Federal Reserve di New York, ad esempio, ha recentemente avviato una valutazione settimanale dello stato della congiuntura basata sulle vendite al dettaglio, sulla produzione di materie prime, sul consumo di energia e sull’andamento della disoccupazione. Molte banche centrali stimano regolarmente modelli econometrici di questo tipo.
Anche altre istituzioni pubbliche, benché non direttamente coinvolte nella produzione statistica, talora raccolgono per ragioni amministrative e di regolamentazione dati che potrebbero essere diffusi a una platea ampia di utenti. In questo perimetro rientrano, tra gli altri, gli istituti di previdenza, le agenzie fiscali, gli uffici del lavoro, le autorità dei trasporti e quelle energetiche. La diffusione dei dati raccolti da questi soggetti, a un livello di aggregazione sufficientemente alto, aiuterebbe i processi decisionali senza compromettere il diritto alla riservatezza degli individui a cui le informazioni si riferiscono.
Il secondo gruppo di protagonisti comprende le aziende specializzate nella produzione di basi di dati granulari su fenomeni economicamente rilevanti. Queste attività si sono sviluppate molto negli ultimi anni per soddisfare la domanda crescente dei grandi investitori, alla ricerca di indicatori che anticipino le statistiche ufficiali. Per citare solo un caso, le informazioni sul commercio internazionale che si possono desumere dal traffico marittimo globale vengono usate per tenere traccia in tempo reale dell’andamento dell’economia statunitense. Alcune di queste basi di dati sono molto costose e solo i grandi operatori riescono ad accedervi. Tuttavia, e con non poca ironia, sono spesso costruite a partire da informazioni prodotte – ma non aggregate né pubblicate – da soggetti pubblici, che rimangono ignari del loro potenziale. Spesso, gli stessi dati si sono rivelati assai utili sia per gli investitori professionali sia nell’ambito della politica economica (The Data Revolution and Economic Analysis).
I governi dovrebbero migliorare la loro capacità di raccogliere, sistematizzare e rendere disponibili in tempi brevi questo tipo di informazioni. Un esempio virtuoso in questo momento di crisi è offerto dalla condivisione senza precedenti di statistiche sanitarie tra epidemiologi di tutto il mondo (si veda tra gli altri il Centre for Humanitarian Data), che pure non ha risolto completamente il problema delle carenze informative (Data Gaps and the Policy Response to the Novel Coronavirus).
Il terzo, ma non meno importante, gruppo di protagonisti comprende le grandi piattaforme tecnologiche e le imprese di telecomunicazione. Due soli sistemi operativi, prodotti da Google e Apple, raccolgono dati da miliardi di dispositivi elettronici. Facebook ha almeno 2,4 miliardi di utenti attivi almeno una volta al mese. Con le misure di lockdown, Amazon sta fortemente espandendo i suoi servizi di consegna a domicilio in tutto il mondo. L’impressionante mole di informazioni a disposizione di queste imprese può essere utilizzata per affrontare la crisi. Già negli scorsi anni sono emerse numerose proposte per mettere i dati di Big Tech a servizio del bene pubblico; ora è il momento di accelerare l’adozione di quelle migliori. Il 19 febbraio 2020 la Commissione europea ha pubblicato la European Data Strategy, al termine di un lungo processo. La strategia illustra possibili modelli di cooperazione tra produttori pubblici e privati di dati, per liberare il potenziale di riutilizzo dell’informazione. Con particolare tempismo, suggerisce che “l’uso di dati aggregati e anonimizzati dalle piattaforme social può costituire ad esempio un utile complemento alle informazioni provenienti dalla rete sanitaria in caso di epidemia”. Un altro risultato importante è l’accordo siglato a marzo tra Eurostat (l’istituto di statistica dell’Unione europea) e Airbnb, Booking, Expedia e Tripadvisor per l’accesso a dati unici e affidabili sul turismo. Al tempo del Covid-19, queste iniziative di collaborazione dovrebbero essere non solo rafforzate, ma anche estese alle altre piattaforme tecnologiche più diffuse.
Dati anche dalle piattaforme della gig economy
Esiste un continuum di opzioni da cui scegliere. La scelta di dove collocarsi è eminentemente di natura politica: deve bilanciare considerazioni sulla concorrenza, esigenze di privacy e il rischio di cattura del decisore pubblico da parte di imprese che sono più grandi della maggioranza dei governi. Ma occorre trovare una strada. Proviamo a proporre alcuni esempi. Semplici miglioramenti nella copertura e nella qualità di alcuni indicatori che già oggi sono prodotti regolarmente dalle Big Tech potrebbero risultare molto utili. Ad esempio, Google Trends, uno strumento che misura quanto spesso alcuni termini vengono cercati in rete tramite Google, si è mostrato utile nel prevedere l’andamento del mercato del lavoro (The predictive power of Google searches in forecasting US unemployment) e il Pil degli Stati Uniti (When are Google data useful to nowcast GDP? An approach via preselection and shrinkage). È stato anche usato ampiamente in altre scienze sociali. Prime Now, il marchio di Amazon per la consegna di alimentari, si sta espandendo a ritmi sostenuti; accedere ai dati sugli ordini offrirebbe una finestra unica sulle decisioni di spesa delle famiglie e sulla dinamica dei prezzi. Anche piattaforme più piccole della gig economy, come Uber, potrebbero condividere informazioni che servono per interpretare l’andamento di domanda e offerta di lavoro, sebbene limitatamente ad alcuni settori (Labor Supply and the Value of Non-Work Time: Experimental Estimates from the Field; Uber vs Taxi: a driver’s eye view). I gestori delle reti di telecomunicazione potrebbero offrire informazioni sulla mobilità delle persone, assai utili nel verificare l’efficacia nelle misure di contenimento del Covid-19 (COVID-19 outbreak response: First assessment of mobility changes in Italy following lockdown). I limiti di questi dati per la produzione di statistiche ufficiali sono ben noti (A Hands-on Guide to Google Data; Well-being through the lens of the internet). I big data non sono il frutto di processi di raccolta dei dati opportunamente definiti per produrre statistiche con proprietà note e standard qualitativi specifici (The Parable of Google Flu: Traps in Big Data Analysis), ma esistono strumenti e metodi scientifici per colmare queste mancanza (Beyond subjective and objective in statistics). Anche questo è uno degli snodi in cui la cooperazione tra pubblico e privato può fare la differenza.
Il mondo naviga in acque quanto mai agitate. Forse per la prima volta nella storia abbiamo tutti di fronte la stessa minaccia – nei paesi avanzati come in quelli emergenti, dentro e fuori le città, a tutti i livelli di reddito, di ricchezza e di istruzione. Ogni persona e ogni istituzione può fare una parte nell’arginare l’onda. In molti possono concorrere a disegnare una mappa attendibile. Non riuscirci indebolirà la capacità di affrontare l’emergenza e l’efficacia dell’azione pubblica. In questo momento non ce lo possiamo permettere.
* Una versione in lingua inglese di questo articolo è pubblicata su Voxeu.org.
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Firmin
Mi chiedo se in questo processo di integrazione e miglioramento delle fonti informative debba essere coinvolto il sistema statistico nazionale, e in particolare l’ISTAT, pagato dai contribuenti proprio per occuparsi di queste cose. In caso contrario avremmo forse statistiche economiche eccellenti e dati ufficiali mediocri, ma legalmente validi per le procedure per debito eccessivo e per gli squilibri macroeconomici.