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Perché va coordinata la risposta al Covid-19*

Nel contrastare la diffusione della pandemia, i risultati migliori sotto il profilo sanitario ed economico si ottengono con politiche coordinate tra i vari stati. Altrimenti c’è il rischio che tra le vittime del coronavirus si debba contare la Ue.

Paesi in ordine sparso

I governi mondiali affrontano la pandemia di Covid-19 in modo diverso. Le differenti scelte riflettono alcune fisiologiche incertezze della ricerca scientifica sulle caratteristiche di malattie sconosciute, incorporano però anche i cosiddetti “framing effects” (effetti di incorniciamento) di cui scrivono Amos Tversky e Daniel Kahneman le risposte che vengono date a un problema sono in parte determinate dal modo in cui viene concettualizzato.

Nel caso del coronavirus, gli effetti di framing possono essere dannosi. Nel dibattito pubblico sul contrasto al Covid-19 sembra talvolta che la scelta sia tra rinunciare alle misure di contenimento, preservando così l’economia pur con un certo numero di decessi inevitabili, e imporre quarantene diffuse che salvano vite ma distruggono l’attività produttiva. La dicotomia è fuorviante. Senza misure di contenimento coordinate tra paesi si potrebbe arrivare al peggiore dei due mondi: perdite che si sarebbero potute evitare sia in termini di vite umane sia di Pil.

La mancanza di coordinamento potrebbe anche condurre a un’erosione della fiducia tra paesi, riducendo l’apertura economica internazionale molto di più e molto più a lungo rispetto a quanto accadrebbe in caso di temporanee e concordate contrazioni della mobilità e dell’attività produttiva.

Gli scenari

Per quanto l’evidenza medica sul Covid-19 cresca molto rapidamente, c’è ancora molta incertezza sulle sue caratteristiche. Si può tuttavia tentare di formulare qualche scenario sulla possibile diffusione del virus guardando alla ricerca scientifica sui casi di epidemie precedenti e ai dati relativi ai primi focolai. Le traiettorie di contagio dipenderanno in modo cruciale dall’estensione, dalla tempistica e dall’efficacia delle misure di contenimento introdotte dai governi.

Consideriamo anzitutto due scenari estremi.

Una teorica quarantena simultanea, in cui i contatti sociali sono completamente eliminati, porterebbe le nuove infezioni a zero e il virus si estinguerebbe in poche settimane. In una versione meno drastica, i contatti sociali vengono ridotti, fermando le attività non essenziali. La diffusione del virus rallenta in proporzione all’effettiva diminuzione nei contatti, facendo così calare anche i rischi di sovraccarico del sistema sanitario; “richiami” della quarantena potrebbero essere necessari in caso di significativa ripresa dei contagi. In qualsiasi versione di una quarantena, la contrazione del Pil sarebbe significativa, ancorché temporanea.

Nello scenario senza misure di contenimento, invece, tra il 40 e il 70 per cento della popolazione globale potrebbe contrarre il virus. Se fosse il 50 per cento, nella sola Europa si avrebbero 370 milioni di infezioni e 3,7 milioni di morti – partendo da una stima prudente (l’1 per cento) della letalità – circa la metà di tutti i decessi in Europa nel 2018. Al conto delle vittime dirette si dovrebbero aggiungere coloro che, colpiti dal Covid-19 o da altre patologie, non riuscirebbero a ottenere la necessaria assistenza in un sistema sanitario congestionato. Il fattore di amplificazione delle perdite potrebbe essere elevato. Anche a questo scenario si accompagnerebbe una importante contrazione del Pil, difficile da quantificare, ma con ogni probabilità meno limitata nel tempo.

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L’incertezza, la quarantena e le ragioni del coordinamento

Le effettive politiche di contenimento adottate dai governi si situano – e si situeranno – tra questi due estremi. Sarebbe tuttavia erroneo ritenere che ci sia un continuum di combinazioni possibili, tutte con lo stesso doloroso saggio di scambio tra vite e prodotto interno lordo. Minimi scostamenti dalla quarantena teorica, quella con azzeramento dei contatti sociali, potrebbero essere compatibili con una riduzione del contagio. Dopo una certa soglia di interazioni tra persone – il livello critico che, purtroppo, non conosciamo – si precipiterebbe però verso il secondo scenario sanitario, senza peraltro aver evitato i costi della quarantena.

L’incoerenza e l’imprevedibilità delle scelte politiche, sia nel tempo sia nello spazio, comportano un grave rischio. Prendiamo ancora l’Europa come esempio. In tempi normali, le persone circolano liberamente all’interno dell’Unione Europea e sono numerosi anche gli spostamenti tra paesi Ue ed extra-Ue. Uno stato potrebbe imporre una quarantena per un certo periodo di tempo e trarne risultati positivi, salvo trovarsi a combattere daccapo la stessa battaglia una volta che le restrizioni terminano e arrivano viaggiatori da luoghi dove il numero di contagiati è ancora alto.

L’imprevedibilità delle decisioni politiche nel tempo può contribuire ad aggravare la situazione. Se è vero che si possono ipotizzare ripristini temporanei della quarantena per soffocare sul nascere eventuali ritorni del contagio, le decisioni su quando e come togliere il blocco totale vanno comunque prese ponderando le raccomandazioni delle autorità sanitarie (ad esempio, sulla base di vincoli al numero di posti letto in terapia intensiva) e non seguendo l’umore dell’opinione pubblica. I governi, però, possono essere tentati di rispondere a segnali politici più che alla scienza.

Al di là delle considerazioni di carattere sanitario, la mancanza di un pacchetto di politiche coordinate e coerenti implica che ci si potrebbe assestare su una situazione che richiama il “dilemma del prigioniero”. Risposte incoerenti o imprevedibili porterebbero probabilmente all’erosione della fiducia sia tra i paesi sia al loro interno, con i cittadini a puntare il dito ora contro i propri leader, ora contro i paesi vicini. L’alternativa a un blocco temporaneo e coordinato oggi potrebbe quindi essere una prolungata restrizione dei movimenti in futuro, e non solo a causa del virus. Indipendentemente dal fatto che Covid-19 ne comporti diecimila o dieci milioni, una vittima del virus potrebbe essere proprio la Ue.

Un blocco simultaneo a livello continentale (o almeno a livello di Ue) è quindi l’unica opzione possibile? Nel breve termine sì. La necessità di contenere la diffusione del virus è ovunque pressante. La quarantena però è realizzabile solo se accompagnata da misure appropriate per contenere le ricadute economiche e sociali. Il principio guida dovrebbe essere quello di sostenere la liquidità nel sistema economico. Diverse forme di intervento di natura fiscaletagli temporanei dell’imposizione, sostegno al reddito e introduzione di forme di reddito minimo universale  – dovrebbero essere introdotte a sostegno delle aree e dei settori più colpiti. Anche gli interventi atti a preservare la disponibilità di credito alle imprese, come le garanzie pubbliche sui prestiti, sono essenziali. Alcune di queste misure sono già state attuate nei paesi dove il virus è più diffuso.

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Al contempo, le banche centrali devono esser pronte a fornire liquidità a sostegno dei prestiti bancari in modo da evitare un inasprimento delle condizioni del credito. Dovrebbero anche essere pronte a fronteggiare il progressivo traslarsi nei loro bilanci delle difficoltà nel settore produttivo, evitando possibili cali nella quantità di prestiti offerti. Dovrebbero infine garantire il mantenimento di regolari condizioni sui mercati del debito pubblico, con acquisti considerevoli di obbligazioni a lungo termine, per consentire al settore pubblico di finanziare le necessarie misure di sostegno al sistema sanitario e al lavoro delle donne e gli uomini che sono oggi in prima linea.

Un blocco coordinato e simultaneo può ovviamente essere sostenibile solo se temporaneo. I due pilastri principali di una strategia a più lungo termine per sradicare il virus (nonché le probabili pandemie future), mentre l’attività economica gradualmente torna alla normalità, dovrebbero essere il rafforzamento dell’infrastruttura sanitaria, nel personale e nelle strutture, e l’adozione delle migliori pratiche di sorveglianza epidemica, come un intenso ricorso ai test, la tracciabilità dei contatti, l’isolamento degli individui a rischio più elevato (in base all’età o allo stato di salute) nonché dei casi positivi. I governi dovrebbero prestare particolare attenzione a comunicare correttamente al pubblico questo approccio, per non lasciare spazio al sospetto che si sacrifichino i diritti individuali in nome della salute pubblica.

In prospettiva, sembra esserci ampio spazio per disegnare una strategia coordinata per affrontare le minacce delle pandemie a lungo termine. Come è stato giustamente affermato, la crisi rappresenterà anche una prova della nostra capacità di essere solidali. Se gli stati membri riuscissero a unire i loro sforzi per evitare il “male comune”, la loro cooperazione potrebbe trovare un nuovo slancio per arrivare a dotare l’Unione di un fondamentale bene comune: una governance più completa ed efficace. Se invece dovessero fallire, le speranze di una più profonda integrazione economica e politica dovrebbero probabilmente essere accantonate per lungo tempo.

Figura 1 – Numero di infezioni in alcuni paesi al 30 marzo 2020; t=0 indica l’inizio dell’epidemia

* Gli autori fanno parte del gruppo di monitoraggio dell’emergenza Covid-19 presso la Banca d’Italia. Le opinioni espresse sono personali e non riflettono necessariamente la posizione della Banca d’Italia. Il testo qui pubblicato è una sintesi di un contributo apparso in inglese su voxeu.org il e in lingua italiana sul sito della Banca d’Italia.

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Un’occasione per sconfiggere il virus del pregiudizio

  1. Henri Schmit

    Mi domando quale sia il valore dell’affermazione centrale: “Un blocco simultaneo a livello continentale (o almeno a livello di Ue) è quindi l’unica opzione possibile? Nel breve termine sì.” Dipende dalla data dell’asserzione. Oggi significa sostanzialmente che bisognerebbe costringere i Paesi Bassi e la Svezia ad allinearsi alle politiche adottate dagli altri. Il 22 febbraio avrebbe avuto un significato più ampio: prendendo atto della presenza evidente del virus in Europa, casualmente in Italia, tutti avrebbero dovuto reagire di concerto. Ho provato a lanciare questo messaggio ai miei contatti transalpini. Nessuno ha capito fino a quando apparirono i primi focolai nazionali. La Francia non rinviava nemmeno le elezioni municipali. Ma una volta imparata la lezione sulla propria pelle, tutti hanno preso le misure chi si imponevano, nel limite dei mezzi disponibili. Non solo. Si aiutano a vicenda senza egoismi nazionali: centinaia di pazienti francesi sono stati trasferiti in Germania, Lussemburgo, Svizzera e Austria. Le lamentele più sentite di mancato coordinamento europeo sono italiane. Per assurdo si tratta del paese che non è nemmeno in grado di coordinare la gestione dell’epidemia a livello nazionale come le continue e vane accuse reciproche fra autorità nazionali e governo regionali testimoniano. Prima di criticare l’assenza dell’UE nella lotta all’epidemia in corso, studierei cause e rimedi della scoordinata gestione italiana dell’epidemia e sanità in generale.

    • Raffaello Colosimo

      Mi ha sorpreso questa risposta.
      Si sostiene che non si possa criticare l’assenza dell’UE perché la propria gestione è stata “scoordinata”.
      Come dire a un moribondo di non lamentarsi se lo Stato non gli garantisce la minima assistenza perché il suo stile di vita dissoluto è stata la causa del suo malanno.

      • Henri Schmit

        Deve precisare che cosa intende con assenza europea e tener conto dei dati sulla quantità di materiale arrivato da paesi europei, loro stessi in difficoltà, bisognosi di materiale che spesso non producono più, con strutture sanitarie sotto-attrezzate (Francia) o gravemente carenti (Spagna). Solo la Germania ha letti con respiratori a sufficienza (faz.net/aktuell … 16708166: 20.000 all’inizio della crisi, ora oltre 30.000, fra poche settimane 40.000; contro 3.000 all’inizio, ora oltre 4.000? con un’obiettivo di 6.000 in Italia e all’inizio 5.000, 7.000 il 23/03 e un obiettivo di 14.500 in Francia). I pazienti gravi che sono trasportati a centinaia in Germania (e dalla Francia pure in Sizzera, Lussemburgo e Austria) illustrano che la solidarietà in Europa funziona perfettamente, anche al di fuori dei trattati. Potrebbe estendere il concetto della mancanza di coordinamento al discorso degli euro-bond, ma renderebbe il suo argomento ancora più debole. Quello che non funziona è l’Italia, in particolare nella sanità (e il difetto è di origine POLITICA!), ma poi anche negli altri campi di competenza nazionale, come la fiscalità, la spesa e gli investimenti pubblici, la gestione del debito) e soprattutto il discorso pubblico in un paese sempre pronto a dare le colpe delle proprie incapacità a terzi. Nonostante la polemica devastante fra stato nazionale e poteri regionali, alla fine tutti, DX e SX, popolo e élite, sono d’accordo a dare le colpe al capro espiatorio di sempre, l’UE

        • Raffaello Colosimo

          Il dito e la Luna.
          La solidarietà fatta di respiratori e posti letto riguarda l’emergenza sanitaria.
          Se si fa due conti potrà verificare che anche senza questi lodevoli interventi da parte di tanti paesi (amici e non amici), i numeri dell’epidemia e dei decessi non sarebbero di molto cambiati.
          Ma questa epidemia ha messo in ginocchio la nostra economia e serviranno somme enormi per porre rimedio ai danni subiti.
          La Germania, il paese più ricco della UE, immetterà nella sua economia una quantità enorme di liquidità. L’Italia non potrà fare altrettanto perché il suo debito non glielo consentirà.
          Se la UE ritiene di non dover intervenire in aiuto di chi sta morendo (l’Italia e la Spagna, non i malati di Covid-19) la UE morirà.
          Se non lo capisce, temo che cominci già a boccheggiare.

          • Henri Schmit

            Non l’UE ma gli altri paesi europei o dell’euro-zona interverranno per aiutare l’Italia finanziariamente. Vorrei però che lei e le persone lucide capissero che l’Italia dopo un ventennio (con poche eccezioni) di politiche divergenti, spesso demagogiche, chiacchiere vuote per conquistare le poltrone e riempirsi le tasche, cominci a fare la sua parte. a cominciare dalla sanità. Se vuole bene al suo paese e ai giovani rimasti, provi a capire.

      • Henri Schmit

        Secondo un articolo pubblicato ieri su The Guardian e firmato Jennifer Rankin, Nathalie Tocci, presidente dell’Istituto Affari Internazionali e ex-consigliera di Enrico Letta, afferma che “France and Germany have donated more masks to Italy than China”. Perché la narrativa in Italia ignora questa realtà? A mio parere, bisogna capire e dire la verità per evitare che l’opinione pubblica venga cacciata inesorabilmente nelle braccia della destra populista, nazionalista e anti-europea. Secondo un sondaggio condotto da DIRE dal 12 al 13 marzo e riportato nello stesso articolo di The Guardian 88% degli Italiani pensavano che l’Europa non stia supportando l’Italia nella crisi dell’epidemia e 67% pensano che l’appartenenza all’UE sia svantaggiosa per il paese. Andando avanti così, prima o poi l’Italia raccoglierà quello che sta seminando da quasi 20 anni, l’UE si disintegrerà, ma alcuni stati perfettamente convergenti rifaranno una nuova unione con meno partecipanti molto più efficiente.

        • Alfonso di Trastamara

          Perché la narrativa in Italia ignora questa realtà? Credo già conosca la risposata

  2. Alice

    Per quale motivo manca un pacchetto di politiche coordinate e coerenti?

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