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La risposta Ue al virus: come spendere meglio le risorse*

Per il principio di sussidiarietà, la Ue dovrebbe fare quello che gli stati non riescono a fare da soli. Nella crisi attuale significa emettere debito a lungo termine. Il Recovery Fund andrebbe finanziato con risorse fiscali autenticamente europee.

Finora tanti impegni, ma risultati limitati

La Commissione e i governi europei dovrebbero farsi guidare dal principio di sussidiarietà nello strutturare la risposta alla crisi economica e sanitaria causata dal Covid-19. In virtù di questo principio, infatti, l’Unione Europea dovrebbe agire “se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli stati membri (…) ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione” (articolo 5 del Trattato sull’Unione Europea).

Applicando questo criterio, l’utilità effettiva dei 540 miliardi di euro, già stanziati dall’Unione Europea, è limitata.

-I 240 miliardi di euro della nuova linea di credito del Mes (Meccanismo europeo di stabilità) sono limitati a prestiti decennali ai paesi membri, prestiti senior rispetto al debito nazionale. Ma tutti gli stati membri, inclusi quelli considerati più a rischio, possono già emettere debito a dieci anni per conto proprio, e probabilmente potranno continuare a farlo almeno fino a quando il Pandemic Emergency Purchase Programme (Pepp) della Banca centrale europea continuerà. Il vantaggio per i paesi membri è dunque limitato. Un prestito senior a tassi di interesse inferiori a quelli di mercato aumenta il rischio dei titoli nazionali subordinati con maturità simile e di conseguenza il loro costo. Secondo il teorema di Modigliani-Miller, il costo medio del debito nazionale complessivo non ne dovrebbe risentire particolarmente. Allo stesso tempo, se un altro potenziale beneficio dei prestiti collegati al Mes fosse quello di facilitare programma di Outright Monetary Transactions (Omt) della Bce, lo stesso obiettivo avrebbe potuto essere raggiunto senza impiegare così tante risorse.

-Ulteriori 100 miliardi di euro sono stati messi a disposizione dal bilancio europeo attraverso il programma Sure (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency – sostenuto da ulteriori garanzie da parte degli stati membri per 25 miliardi), che dovrebbe garantire prestiti ai paesi a supporto delle misure per l’occupazione. Non si conosce ancora la loro scadenza, ma anche in questo caso difficilmente si supererà i dieci anni. I soldi verranno messi a disposizione degli stati secondo necessità, e quindi vi sarà un certo grado di condivisione del rischio. Ma sarà molto limitato, dato che lo shock attuale è simmetrico e tutti gli stati membri attraverseranno una seria recessione nel 2020-2021.

E per quanto riguarda il Recovery Fund?

Alla luce di queste considerazioni, è importante che il nuovo Recovery Fund sia strutturato in modo tale da conseguire quegli obiettivi che gli stati membri, da soli, non possono raggiungere. Al di là della dimensione del fondo e dei criteri previsti per accedervi, che saranno decisi dalle negoziazioni politiche, altri due elementi saranno di fondamentale importanza per valutarne l’efficacia:

-la durata dei prestiti concessi agli stati membri. Nonostante la seniority, sarebbe importante permettere agli stati di ottenere prestiti a scadenza più lunga di quella che possano già assicurarsi sul mercato; così facendo si ridurrebbe il rischio di crisi nel momento in cui il debito deve essere rinnovato. Come già proposto da Francesco Giavazzi e Guido Tabellini, lo strumento di debito ideale in queste circostanze sarebbero delle perpetuities, o quantomeno titoli a lunghissima scadenza, acquistati anche dalla Bce per ridurne il costo. Far sì che gli stati membri possano accedere a ulteriori prestiti con la stessa scadenza di quelli che già possono ottenere da soli non aiuta molto;

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-il Recovery Fund deve rappresentare un primo passo – per quanto piccolo – verso un effettivo rimedio per le intrinseche fragilità dell’area euro. Oggi, la moneta unica non è sostenuta da una capacità fiscale condivisa e le sue basi legali impediscono un esplicito coordinamento monetario e fiscale in tempi di crisi. Inoltre, l’effettiva mancanza di un safe asset comune fa sì che sia l’Unione bancaria sia quella del mercato dei capitali siano incomplete. Il Recovery Fund rappresenta un’opportunità per risolvere queste fragilità.

Dato che l’Unione Europea non possiede una propria capacità fiscale, la Commissione lavora sull’ipotesi che il Recovery Fund possa emettere debito sfruttando come garanzia la differenza tra le risorse impegnate dai paesi membri per il bilancio europeo per il 2021-2027 e le spese effettive programmate per lo stesso periodo. Questo però solleva il problema dell’incongruenza tra la “durata” delle risorse impiegate nel garantire il Recovery Fund, i prossimi sette anni, e la necessità di emettere debito a lungo termine. Se il Recovery Fund non dovesse essere in grado di accedere a prestiti a lungo termine direttamente, l’Ue si troverebbe a dover scegliere tra due alternative, entrambe insoddisfacenti: (i) impegnarsi in un processo di trasformazione delle scadenze, prestando agli stati a scadenze più lunghe di quelle ottenute sul mercato, esponendosi di conseguenza a possibili rischi dovuti a variazioni nei tassi di interesse; oppure (ii) prestare alla stessa scadenza dei debiti che a sua volta contrae, con benefici marginali, o nulli, per gli stati membri.

Un passo verso il completamento dell’Unione Europea e dell’Eurozona

Una possibile soluzione al problema è quella di aumentare la quota del bilancio europeo finanziato con imposte proprie. Oggi, le risorse dell’Unione Europea si basano in gran parte su trasferimenti da parte degli stati membri. Sostituendoli con imposte dedicate, si ridurrebbe l’incertezza che tipicamente circonda la dimensione del bilancio europeo. E se queste entrate fiscali fossero devolute in modo permanente, o comunque più a lungo dei sette anni attuali, allora il Recovery Fund potrebbe tranquillamente emettere prestiti a lunga scadenza. Ci sono già molte proposte ragionevoli su quali basi fiscali devolvere a livello europeo. In condizioni normali, le tasse europee potrebbero essere usate per finanziare il bilancio europeo; ma in circostanze eccezionali, come le attuali, potrebbero essere usate per garantire l’emissione di debito europeo a lungo termine. In futuro, le istituzioni europee potrebbero anche ottenere autonomia di aliquota su queste basi fiscali. Ovviamente, quest’ultimo passaggio richiederebbe altri passi verso un’effettiva integrazione politica, a partire da un maggiore ruolo per il Parlamento europeo nel processo di definizione del bilancio comunitario.

Finanziare il bilancio europeo con un gettito fiscale comunitario avrebbe anche altri vantaggi. Per esempio, indebolirebbe gli incentivi dei governi a chiedere indietro i “propri soldi” al momento della contrattazione sul bilancio. Le tasse europee creerebbero un conflitto distributivo tra forze sociali all’interno di vari stati più che tra stati membri, consentendo la formazione di coalizioni politiche che oltrepassino i confini nazionali. A sua volta, ciò potrebbe facilitare il finanziamento di “beni pubblici” europei, ora sotto-finanziati, e possibilmente ridurre la spesa europea volta a pure politiche di redistribuzione tra stati membri.

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Un passo in questa direzione sarebbe anche un passo verso il completamento dell’Unione monetaria. Uno dei problemi più seri per l’area dell’euro è la mancanza di una solida capacità fiscale comune. La recente decisione della Corte costituzionale tedesca, per quanto sbagliata sotto molti aspetti, ha posto con chiarezza il problema che gli stati membri non possono continuare a delegare tutte le decisioni di politica macroeconomica alla Bce. L’area euro non ha strumenti adeguati a fronteggiare grandi crisi. L’esperienza ci dice che non ci si può affidare al coordinamento delle politiche fiscali degli stati membri per ottenere lo stimolo necessario: i comportamenti da free riding, la mancanza dello spazio fiscale necessario per agire in alcuni paesi e distorsioni politiche in altri spesso risultano in risposte tardive e sub-ottimali. Una capacità fiscale a livello europeo potrebbe essere introdotta rapidamente e rappresenterebbe un modo per affrontare le sfide che si delineano all’orizzonte. L’emissione di debito comune, garantita da un gettito fiscale a livello europeo, creerebbe inoltre un safe asset comune, e permetterebbe un coordinamento più trasparente ed effettivo tra politica monetaria e fiscale in tempi di crisi.

Una possibile critica all’utilizzo del budget Ue come garanzia per una base fiscale dell’area euro è che non tutti gli stati membri hanno adottato la moneta unica. Ma intanto la Brexit ha ridotto la rilevanza economica del problema, e tutti gli stati membri dell’Unione (tranne la Danimarca) hanno preso impegni legali per adottare l’euro. In tutti i casi, si possono trovare soluzioni per limitare le nuove fonti di finanziamento (e le possibili spese collegate) agli stati membri che hanno adottato l’euro.

Una seconda obiezione è che dotare l’Ue di risorse proprie rischia di richiedere troppo tempo, mentre il Recovery Fund dovrebbe essere pronto a erogare risorse rapidamente. Non è però una buona ragione per continuare a ritardare, indefinitamente, la ricerca di metodi migliori per il finanziamento del budget europeo. All’inizio le risorse aggiuntive necessarie per l’emissione di debito europeo potrebbero essere raccolte tramite trasferimenti da parte degli stati membri, ma questi ultimi potrebbero impegnarsi a lavorare sin da subito alla sostituzione dei trasferimenti con vere imposte europee.

* Questo articolo è pubblicato in inglese su Voxeu con il titolo “The EU response to the coronavirus crisis: How to get more bang for the buck“. Traduzione di Nicolò Bertoncello.

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  1. Henri Schmit

    Non sono d’accordo. L’argomento della sussidiarietà “all’insù” dimentica la questione del potere di decisione, sul quale insisto da quando i primi articoli sul tema “euro-bond” sono stati pubblicati su questo forum. La brutta sentenza della cattiva corte costituzionale tedesca, non ancora digerita, mi dà ragione. Pochi commenti colgono l’enorme impatto che avrà sui futuri strumenti. Dimenticano, non comprendono o sottovalutano la questione della “Kompetenz-Kompetenz” che prevale su tutte le altre. Non discuto le condizioni dei prestiti (attivo) e delle emissioni (parte del passivo) dell’E-Recovery Fund. Mi limito ad un’osservazione sulla parte “capitale” di questo nuovo strumento di bilancio europeo. Non convince l’idea della capacità fiscale autonoma di cui l’UE dovrebbe dotarsi: significa un bilancio indipendente dai trasferimenti nazionali, tasse europee e un’agenzia europea delle entrate. Si dimentica la differenza fra UE a 27 e Unione monetaria a 19. Quanto vale una proposta del genere nel dibattito per l’ERF da far partire entro il 2021. L’argomento della Kompetenz-Kompetenz dovrebbe bastare per capire che l’idea è una chimera. Ma forse non è nemmeno desiderabile. Soprattutto devia l’attenzione da quello che, secondo me, è unica soluzione costruttiva possibile: un coordinamento più rigoroso delle politiche fiscali nazionali; significa andare oltre le percentuali previsionali e scendere nel dettaglio di misure (=condizioni) economiche e fiscali coercitive.

  2. Henri Schmit

    Il piano franco-tedesco annunciato ieri è poco chiaro e incerto. 500 miliardi di debito da emettere dall’UE si aggiungono ai 540 di BEI, MES e SURE. Rappresentano quasi il 50% in più del budget 2021-2027 (1.135 mia) in fase di definizione. Poco importano le condizioni d’emissione (durata, AAA), se ne occupa la Commissione. La quota italiana del rimborso, parte del passivo UE, sarà dell’11%, 55 miliardi su tutta la durata. La ripartizione dell’attivo sarà vantaggiosa per l’Italia; terrà conto dei bisogni degli stati più colpiti dalla crisi (2x da definire) e di obiettivi strategici legati a sanità, ricerca, ambiente, digitale, autonomia industriale e tecnologica. Ci sarà quindi una selezione, condizioni severe e controlli serrati. L’aspetto più ambiguo riguarda la forma dell’attivo. 1. Fondo perduto: rivendicato da Italia e Spagna; Macron e Merkel l’hanno detto; ma il comunicato dell’Eliseo è più ambiguo. 2. Investimento pubblico europeo: utile (digitale, trasporto aereo, siderurgia), ma poco probabile perché creerebbe un IRI europeo. 3. Prestito, a buone condizioni, sganciato dalla durata del passivo, ma quota del debito nazionale, da rimborsare, come chiedono Olanda e Austria. Serve l’unanimità: governi, parlamenti … giudici. L’ambiguità della forma degli interventi, la promessa facile, è un pessimo servizio reso all’UE e rischia di alimentare nuove delusioni. L’alternativa di ogni paese è fra elemosinare fondi per la spesa o proporre progetti di sviluppo per l’investimento.

    • Henri Schmit

      Correggo un dato del commento scritto a caldo immediatamente dopo l’annuncio franco-tedesco: la quota del contributo italiano al bilancio UE era del 11,7% nel 2019; nel periodo 2021-27 a solo 27 salirà a oltre il 13%. Il contributo al rimborso del piano di rilancio europeo da € 500 miliardi sarebbe quindi di € 65 miliardi circa.

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