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Titoli perpetui? Ecco perché non sono una soluzione

Il debito pubblico italiano è destinato a crescere ancora per il peso delle misure dovute alla pandemia. Per farvi fronte, è stata proposta l’emissione di titoli perpetui. Ma le ragioni di chi ne sostiene l’efficacia non reggono alla prova dei fatti.

Nel post Covid-19 cresce il debito

Con le misure anti-Covid-19, il debito pubblico italiano, già in partenza molto alto in rapporto al Pil (135 per cento circa), crescerà ancora, e non di poco. Per mitigare il problema, circola negli ultimi tempi una proposta: l’emissione di titoli perpetui, che pagano solo interessi periodici senza rimborso del capitale investito. La proposta si fonda su un assunto teoricamente ineccepibile: in presenza di uno shock una tantum e di grandi dimensioni, che coinvolge tutta la nazione, la soluzione ideale sarebbe proprio un’emissione perpetua. Tuttavia, nella situazione attuale i problemi pratici rendono poco percorribile questa strada.

Tra l’altro, secondo alcuni, per via del mancato rimborso del capitale, questi titoli non rappresenterebbero debito e un massiccio ricorso alla loro emissione potrebbe ridurre significativamente il nostro rapporto debito/Pil. D’altra parte, i risparmiatori italiani dovrebbero essere sollecitati a investire in tali strumenti, perché l’emergenza determinata dalla pandemia è assimilabile a una guerra e l’esenzione totale da qualsiasi imposta sarebbe sufficiente a compensare il mancato rimborso e un tasso di interesse comunque contenuto.

Ben poca domanda per i titoli perpetui

Purtroppo, nessuno di questi argomenti regge alla prova dei fatti.

Prima di tutto, lo schema contabile europeo (Esa 2010) individua i titoli perpetui fra gli strumenti di debito (par. 5.90 e 5.96) e, secondo la procedura dei disavanzi eccessivi, questi devono essere registrati al loro valore facciale. Quindi contribuiscono alla creazione di debito.

In secondo luogo, per questo tipo di titoli la domanda è esigua, tant’è che attualmente nessun emittente sovrano li propone. Si tenga presente che esiste, invece, un mercato di titoli a lungo termine (15, 20, 30 anni e oltre), le cui dimensioni rappresentano però una quota minoritaria della domanda, che si concentra principalmente sui titoli fino a 10 anni. A riprova di ciò, c’è proprio l’esperienza italiana degli ultimi anni: il 2019 è stato l’anno in cui è stato emesso in assoluto il maggior quantitativo di titoli con durata di 15 anni e oltre, che però ha rappresentato solo l’11 per cento delle emissioni totali. Peraltro, è proprio nei collocamenti di Btp a più lungo termine che la domanda italiana risulta decisamente sottodimensionata rispetto a quella estera. Qualche anno fa, nel Regno Unito, dove esiste un mercato particolarmente forte di titoli governativi a lunghissimo termine, sostenuto da una legislazione pensionistica molto favorevole, l’esito di un sondaggio sulla domanda di perpetual indusse ad abbandonare completamente l’ipotesi di una loro emissione.

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L’investitore retail è di norma il più restio ad allungare la durata del suo portafoglio, dato che recuperare la disponibilità del capitale investito è uno dei suoi obiettivi primari. Per rinunciarvi, la remunerazione periodica dovrebbe essere di gran lunga superiore rispetto a quella offerta dai bond ordinari (non certo il 2 per cento prospettato da alcuni). Peraltro, una tassazione nulla non sarebbe un incentivo sufficiente, dato che già ora il regime fiscale dei titoli di stato italiani è molto favorevole (imposta sostitutiva del 12,5 per cento ed esenzione totale dalle tasse di successione). Senza un prestito forzoso, che nessuno sembra prospettare, non vi sono elementi che possano spingere un risparmiatore in tale direzione.

Infine, evocare l’emergenza bellica darebbe un segnale di debolezza: in caso di guerra non ci sono alternative, ora invece l’accesso al mercato è fluido, grazie anche al sostegno della Banca centrale europea (che però compra titoli solo fino alla durata trentennale) e dell’Europa, che sta mettendo a disposizione una quantità di risorse senza precedenti. Risorse che, anche quando non a fondo perduto, sono a tassi pressoché nulli. E l’Italia è il paese che può ricavarne il maggior risparmio in termini di spesa per interessi.

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  1. Cicci Capucci

    Convengo con l’analisi di Maria Cannata. Però mi chiedo cosa abbiano in testa i tanti sostenitori di questi strumenti. Non ultimo Savona di Consob. Ho il sospetto che assieme ai perpetui vengano immaginate altre misure, più o meno forzose. L’idea di base è costringere i risparmiatori a devolvere i risparmi alla Stato, non per convenienza o amor patrio ma perché se non lo facessero vedrebbero confiscati o decimati i loro beni. Insomma chi sostiene la necessità delle obbligazioni perenni ha ben altri propositi e non certo benevoli nei confronti dei risparmiatori. Propositi di tassazione straordinaria, leggi patrimoniale, e di chiusura dei mercati, accompagnata da conversione forzosa dall”euro.

  2. Marcello Romagnoli

    Io vedrei meglio l’emissione di titoli garantiti di durata 5-10 anni dedicati solo a aziende e cittadini italiani. Gli interessi rimarrebbero per lo più in Italia, inoltre il debito stesso, che è stato in passato spostato dall’Italia a soggetti stranieri, potrebbe rientrare in patria rendendoci meno ricattabili dai mercati.
    Altra attività sarebbe quella di costituire una banca statale che chieda qualche centinaio di miliardi di euro alla BCE che ora li sta erogando a tassi negativi

  3. Henri Schmit

    Sono perfettamente d’accordo. L’argomento però poteva già essere avanzato contro le proposte lanciate su questo forum, prima che il prof. Savona le rilanciasse come le sue. Evidente che si tratta comunque di debito, ameno di creare una versione specifica italiana degli IAS. L’argomento della guerra non ha alcun valore, anche se guerra ci fosse. Anche l’esenzione è un argomento indipendente, che può essere utilizzato per qualsiasi emissione (pubblica). L’unico argomento vero è la previsione dei tassi (quindi di crescita e inflazione) da parte dell’emittente E DEL SOTTOSCRITTORE. Quale cedola è sufficiente per rendere la sottoscrizione interessante? Nel contesto attuale (tassi lunghi bassi, 2,50% su 30 anni se non sbaglio, e previsione di una crescita/inflazione bassa per un lungo periodo ancora, quindi nessuna speranza di ottenere entro breve rendimento più alti) il Tesoro dovrebbe proporre il 3% circa. Avrebbe senso?

  4. Alessandro Smerieri

    Parere ineccepibile. È un piacere leggere l’analisi di Maria Cannatà, un civil servant di grande valore e di grandi doti. Spero che torneremo a sentir parlare di lei

  5. Paolo Sbattella

    L’Italia possiede, tra i molti lati positivi (si va forse controcorrente ?) 2 fattori che in questo momento così particolare vanno tenuti in considerazione per la politica economica, monetaria e creditizia: 1) la forza del nostro sistema di piccole e medie imprese manifatturiere 2) il risparmio delle famiglie. L’autorita’ governativa ne tenga conto, perche’ la ripresa economica passa anche attraverso questi 2 fattori. Le imprese vanno sostenute con ogni mezzo, perche’ creano occupazione, generano reddito ed investimenti. E si puo’ fare molto di più per il loro rafforzamento rendendole ancora più competitive sui mercati internazionali. Per il secondo fattore, il risparmio delle famiglie italiane, va canalizzato maggiormente verso le imprese italiane e la sottoscrizione dei titoli del debito pubblico italiano che per essere sottoscritti devono essere appetibili per tasso di interesse, imposizione fiscale ed eventuali vantaggi. Se si vede favorevolmente la possibilita’ di usufruire del Recovery Fund, per progetti finalizzati e che servano concretamente all’Italia, si ritiene che occorra anche utilizzare al meglio le risorse finanziarie interne e rivedere ogni spesa improduttiva del bilancio pubblico. Non si condivide l’intervento della Cancelliera Merkel sul MES, il fondo salva Stati, se c’e’ lo puo’ sempre utilizzare la Germania perche’ l’ Italia non ne ha bisogno. L’Italia sappia con orgoglio tirare fuori le sue energie migliori e sia consapevole del suo grande ruolo in Europa

  6. L’aiuto della BCE non è perpetuo, solo nel 2020 con i due programmi PEPP e APP, la BCE acquista 500 miliardi di debito pubblico italiano, che succederà nel 2021, quando non ci sarà più la stampella della BCE?
    Le agenzie di rating hanno mantenuto il giudizio solo per la crisi Covid, che succederà al prossimo step?
    Le riforme sono inevitabili, un taglio drastico della spesa pubblica corrente del 10% in due anni e investimenti pubblici di pari importo. Il Recovery Fund non ha effetti immediati, è un programma per il bilancio europeo 2021/2027; il governo deve dare un segnale immediato dal mese di settembre.

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