Chiusura delle scuole e didattica a distanza hanno inciso sulle dinamiche di apprendimento dei bambini, specialmente i più vulnerabili. E sull’organizzazione del lavoro nelle famiglie. La programmazione per il prossimo anno scolastico deve terne conto.
L’indagine nelle primarie bolognesi
Dopo la prolungata chiusura delle scuole dovuta all’emergenza sanitaria, la ripresa a settembre sulla base delle linee guida ministeriali appare ormai certa. In questa fase di programmazione, è necessaria una valutazione dell’esperienza della didattica a distanza (Dad) impiegata durante il lockdown. Per questo la Rete dei comitati di genitori di Bologna ha promosso un’indagine rivolta alle famiglie degli alunni della scuola primaria, che ha raccolto 1.905 questionari coprendo l’86 per cento delle scuole della città e il 12,5 per cento del totale degli iscritti.
I dati offrono una panoramica abbastanza completa di tutti i quartieri, sebbene con una copertura minore delle zone caratterizzate da redditi medi più bassi. Il campione non è però rappresentativo della popolazione complessiva: solo il 2,3 per cento delle risposte provengono da famiglie di bambini che frequentano scuole private paritarie (che accolgono circa il 14 per cento degli studenti di Bologna) e il tasso di copertura varia in modo marcato a livello di scuola.
La percentuale di famiglie in cui si parla una lingua straniera (14,4 per cento dei rispondenti) suggerisce anche che la formulazione del questionario solo in italiano possa aver ostacolato la diffusione dell’indagine tra le famiglie dei bambini stranieri (circa il 22 per cento del totale degli alunni delle primarie bolognesi). Nonostante questi limiti, l’indagine evidenza alcuni elementi importanti.
Emerge innanzi tutto una forte disomogeneità tra le attività didattiche proposte: se le videolezioni “sincrone” (tenute dagli insegnanti mentre i bambini erano collegati simultaneamente) sono state lo strumento adottato con maggiore frequenza, il 12 per cento dei rispondenti riporta di non aver mai sperimentato questa forma di didattica, mentre il 9 per cento la riporta come modalità pressoché esclusiva.
Figura 1 – Eterogeneità delle modalità didattiche adottate
Una forte eterogeneità emerge anche nel numero di videolezioni e di incontri settimanali proposti dagli insegnanti e nel tempo complessivamente dedicato all’attività didattica da parte degli alunni, comunque molto ridotto rispetto agli standard normali.
Figura 2 – Numero di ore alla settimana complessivamente dedicate dal bambino a videolezioni sincrone e svolgimento di compiti.
Chi ha sofferto di più
I dati mostrano differenze anche nella partecipazione attiva alla didattica a distanza e nella capacità di “tenere il passo” con i ritmi proposti dagli insegnanti. La disponibilità di spazi domestici adeguati, di strumenti digitali e di una buona connessione internet si confermano necessari per una partecipazione attiva, ma non sufficienti.
La didattica a distanza si rivela particolarmente faticosa per i bambini più piccoli, per coloro che rientrano tra i Bes (bisogni educativi speciali), i Dsa (disturbi specifici dell’apprendimento) le disabilità e per i bambini appartenenti a nuclei in cui si parla prevalentemente una lingua straniera: tutti loro hanno mostrato maggiori segnali di affaticamento, nervosismo e noia e livelli di autonomia, interesse e rilassamento più bassi rispetto ai compagni.
Figura 3 – Grado di affaticamento, nervosismo e noia per classe frequentata e lingua parlata nel nucleo famigliare (0=nullo, 5=massimo).
Insieme a insegnanti e bambini, le famiglie sono state un pilastro fondamentale della didattica a distanza. In oltre la metà dei nuclei familiari gli adulti hanno continuato a lavorare per tutto il periodo del lockdown scolastico e quasi un terzo si è fermato solo temporaneamente: per i genitori, dunque, non sempre è stato possibile avere il tempo e la possibilità di accompagnare i figli nella Dad. La difficoltà avvertita maggiormente da parte delle famiglie, soprattutto dalle donne, è stata quella di dover gestire simultaneamente il lavoro, gli impegni domestici e la Dad.
Figura 4 – Genere dell’adulto che solitamente ha seguito il bambino nella Dad, e livello di difficoltà sperimentato dal nucleo famigliare (0=nullo, 5=massimo).
I risultati confermano quanto emerge da studi svolti in altri paesi occidentali. La chiusura prolungata delle scuole e la didattica a distanza hanno avuto un impatto pesante sulle dinamiche di apprendimento dei bambini, specialmente i più piccoli, e hanno ampliato il divario educativo tra alunni con background socio-economici diversi. Queste disuguaglianze dovrebbero essere uno degli elementi focali del dibattito sulla progettazione del nuovo anno scolastico, in cui sarà necessario uno sforzo importante per colmare le lacune create o ampliate e rispondere così al dettato costituzionale di avere una scuola che sia davvero “aperta a tutti”.
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emilio
purtroppo in queste analisi manca un confronto fatto per bene: le classi meno abbienti anche nella didattica in persona hanno gli stessi handicap…. meglio fare lavori più seri.