La pandemia ha risvegliato l’interesse per l’edilizia scolastica, in vista di una riapertura delle attività didattiche in presenza. I risultati di un’analisi sugli edifici scolastici piemontesi offrono spunti di utilità immediata, validi anche per il futuro.
La situazione attuale
Tra le conseguenze della pandemia, possiamo annoverarne una non negativa: un risveglio dell’interesse per il tema dell’edilizia scolastica, rimasto a lungo sopito. Per anni si è fatto poco e poco se ne è parlato, con l’eccezione di risposte tardive a situazioni di emergenza o a eventi luttuosi. Oggi ci pare che la questione abbia assunto una rinnovata centralità, al punto da diventare uno dei contenuti che l’Italia intende dare al Next Generation EU, il programma di rilancio dell’economia post-coronavirus.
Ma come sono fatte le scuole italiane? E di quali spazi sono composte? Le discussioni estive sul problematico avvio dell’anno scolastico (dal distanziamento tra studenti alla capienza delle aule, ai banchi monoposto) hanno indotto a guardare con maggiore attenzione al patrimonio esistente di edilizia scolastica. La necessità di assicurare la riapertura delle attività didattiche in presenza ha fatto sì che in pochi mesi si siano raccolte molte informazioni inedite sugli spazi delle scuole, il che ha permesso di individuare criticità e potenzialità sino a ieri trascurate, dando concretezza a una discussione che rischia sempre di fermarsi ai principi generali, senza confrontarsi con la specificità delle situazioni reali.
Situazioni che, va sottolineato, non sono uguali su tutto il territorio nazionale. Una misura della “pressione” di uso sugli spazi scolastici restituisce una mappa con grandi differenze, in cui convivono casi di infrastrutture con grande intensità di uso – a Nord, nelle aree metropolitane, soprattutto nella secondaria superiore – dove per gestire con attenzione il distanziamento può essere necessario reperire nuovi spazi dentro, fuori e intorno alle scuole, con altri casi in cui gli edifici scolastici sono dimensionati su una domanda passata più grande di quella attuale e quindi, verosimilmente, hanno spazi sufficienti per gestire l’emergenza (mappa 1). Le differenze ci portano a pensare che il tema, più che riaprire “la” scuola, sia riaprire “le” scuole: in modi diversi, appropriati a diverse situazioni territoriali.
Lo studio sugli edifici scolastici piemontesi
Con l’obiettivo di aiutare i dirigenti scolastici – ai quali è demandato il compito di interpretare indicazioni e linee guida generali alla luce delle specificità locali – a progettare la riapertura in sicurezza la Fondazione Agnelli e il Future Urban Legacy Lab del Politecnico di Torino hanno lavorato a un’analisi quantitativa. Grazie alla qualità dei dati disponibili nell’Anagrafe degli edifici scolastici piemontesi Edisco, per la prima volta l’indagine ha potuto essere condotta su ogni singolo spazio di un campione di 3.200 edifici, sui 40 mila circa che costituiscono l’infrastruttura educativa dell’Italia. Ne presentiamo alcuni esiti, il cui interesse deve sollecitare ulteriori approfondimenti e confronti sul territorio nazionale, anche in vista dei consistenti investimenti che la scuola potrebbe ricevere nei prossimi mesi.
Un primo risultato riguarda le dimensioni delle aule, cruciali per la riapertura delle scuole in sicurezza. L’attenzione degli ultimi mesi si è concentrata su quelle troppo piccole rispetto alle dimensioni della classe ospitata, e quindi incapaci di garantire un distanziamento minimo tra studenti; ma l’accento va posto anche sulle aule più grandi (grafico 1), che costituiscono una risorsa di spazio non sempre adeguatamente sfruttata. Nel caso piemontese, delle circa 30 mila aule ordinarie esaminate, quelle superiori a 50 metri quadri rappresentano quasi un terzo del totale. La superficie media è risultata di 46 metri quadri.
Figura 3 – Distribuzione percentuale degli spazi interni alle scuole piemontesi
Ma le aule rappresentano una parte minoritaria della superficie utile delle scuole: nel complesso occupano solo il 28 per cento del totale (Grafico 2). Da notare che tale quota non dipende dall’epoca di costruzione degli edifici: nella storia della scuola italiana il rapporto tra superficie delle aule e degli altri locali interni è infatti variato di poco, con una leggera riduzione solamente a partire dal 1975, anno di adozione di nuove norme tecniche per l’edilizia scolastica. In altre parole, in quasi tutte le scuole vi è molto spazio non destinato alla didattica frontale. Ad esempio, un 20 per cento delle superfici complessive è costituito da spazi distributivi (atri, corridoi, scale): di questi, almeno un quinto – pari al 4 per cento della superficie totale – sono ampie porzioni di atri e corridoi nei piani fuori terra, non strettamente necessarie alla circolazione interna all’edificio. Si tratta di un’altra riserva di spazio alla quale è possibile guardare per attività didattiche e ricreative non confinate entro le aule. La somma di palestre, mense, laboratori, aule di musica o arte, grandi sale come auditorium, teatri e aule magne – spazi utilizzati normalmente in modo non continuativo – ammonta a un ulteriore 23 per cento di superficie totale.
Esistono poi spazi aperti di pertinenza della scuola che, se adeguatamente attrezzati, rappresentano un’altra importante risorsa per l’attività didattica o per scopi organizzativi legati all’emergenza. Se si escludono dal computo i vasti terreni appartenenti agli istituti agrari, la superficie esterna alle scuole è quasi il doppio del totale delle superfici interne.
Da questa prima ricognizione si ricavano informazioni e indicazioni progettuali subito utili: in molti casi, con interventi leggeri e reversibili le scuole possono attrezzarsi per gestire in sicurezza i flussi e accogliere tutti i propri studenti anche con il distanziamento, senza dover chiedere ospitalità a soggetti esterni o cercare di riattivare edifici dismessi, in genere inadeguati o insicuri.
Ma un’analisi accurata degli spazi a disposizione delle scuole è utile anche in una prospettiva di più lungo termine. Sappiamo infatti che da tempo sull’infrastruttura scolastica nazionale non si sono più fatti investimenti strategici ed è ormai inadeguata da più punti di vista: della didattica, della sicurezza, della sostenibilità e dell’inclusione.
Capire meglio come sono fatte oggi le nostre scuole, quali sono le risorse di spazio a loro disposizione, che rapporto hanno con i contesti urbani e territoriali in cui si collocano è un primo passo di un cammino doveroso verso la trasformazione capillare di una grande ma troppo spesso obsoleta infrastruttura civica in moderni ambienti di apprendimento, dove formare adeguatamente le generazioni future.
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Savino
Spesso lo sterminato patrimonio pubblico è sprecato e buttato via. Altre volte, la speculazione edilizia risveglia fin troppo l’interesse.