Un’informazione distorta può avere effetti rilevanti sul voto? L’aumento di offerta televisiva dovuto al digitale terrestre ha ridotto la quota di voti del centro-destra di diversi punti nelle elezioni regionali del 2010. Il calo è più rilevante dove la popolazione è più anziana e meno istruita.

TV E RISULTATI ELETTORALI

Tra pochi giorni voteremo per eleggere deputati e senatori della XVII legislatura. È la sesta volta che gli italiani vanno alle urne in un contesto in cui una parte politica in gara è strettamente collegata a una fetta consistente dell’industria dei media. Al di là dell’aneddotica, in un lavoro pubblicato di recente su una prestigiosa rivista internazionale, due economisti hanno mostrato che dopo le elezioni del 2001, vinte dal centro-destra, il contenuto delle news della televisione pubblica italiana si è spostato verso destra. (1)
Ma quanto vale in termini elettorali la distorsione dell’informazione?
Due ricerche pubblicate sulle più autorevoli riviste di settore offrono alcune risposte. Negli Stati Uniti, la diffusione dei programmi di Fox News, fortemente orientata a destra, ha contribuito ad aumentare di 0,4-0,7 punti percentuali la quota di voti ai Repubblicani nelle elezioni presidenziali del 2000. (2) Nel secondo caso, quello russo, si stima che in occasione delle elezioni parlamentari del 1999 la presenza dell’unico canale televisivo indipendente abbia ridotto il consenso per il partito filo-presidenziale legato a Vladimir Putin di quasi 9 punti percentuali. (3)

IL CASO DELL’ITALIA: DIGITALE TERRESTRE E VOTO

E l’Italia? Il caso è molto interessante anche perché, a differenza di Stati Uniti e Russia, tutti gli elettori conoscono il proprietario di Mediaset, e tutti sanno che la Rai è controllata dal governo in carica. In un nostro recente lavoro abbiamo provato ad analizzare quanto accaduto dopo  l’introduzione della Tv digitale terrestre nel nostro paese. (4)
Con la nuova tecnologia è notevolmente cresciuta l’offerta televisiva disponibile e, in particolare, quella legata all’informazione e all’attualità è diventata più plurale: molti nuovi canali non hanno legami con le proprietà di Rai e Mediaset. Gli italiani sembrano inoltre aver gradito l’ampliamento delle possibilità di consumo televisivo, come mostra il calo delle quote di mercato di Rai, Mediaset e La7 seguito all’avvio del digitale. Si è quindi verificato un rapido e significativo calo dell’esposizione del pubblico televisivo a un’offerta politicamente orientata.
Qual è stata la reazione in termini di comportamento elettorale? Abbiamo studiato il caso del Piemonte, dove il passaggio al digitale è avvenuto nell’autunno del 2009 nelle province di Torino e Cuneo, e un anno dopo nella parte orientale. Tra i due momenti si sono svolte le elezioni regionali (marzo 2010). Questa situazione permette di confrontare il risultato elettorale ottenuto dal candidato del centro-destra nei comuni che hanno beneficiato dell’accresciuta offerta televisiva e nei comuni dove, invece, si è votato con il vecchio assetto televisivo concorrenziale. Questi comuni sono peraltro simili per diverse caratteristiche socio-economiche e istituzionali, ma per rendere il confronto ancora più credibile, ci siamo concentrati su quelli adiacenti al confine tra la porzione di territorio dove il passaggio al digitale terrestre era già avvenuto e la rimanente parte di territorio regionale. È quindi un confronto tra comuni che distano pochi chilometri fra loro e che, ragionevolmente, differiscono solo per l’accesso o meno alla nuova tecnologia.
I risultati sono molto eloquenti: tenendo conto delle preferenze politiche espresse nelle elezioni precedenti e di diverse altre variabili, nei comuni dove si è votato con un’offerta televisiva più ampia, la quota di voti per il candidato del centro-destra è stata di 5,5-7,5 punti percentuali inferiore rispetto ai comuni non digitali. L’effetto è sufficientemente alto per stimare che se tutti i comuni piemontesi fossero passati al digitale prima delle elezioni, probabilmente l’attuale governatore del Piemonte non sarebbe Roberto Cota. L’effetto è inoltre più forte nei comuni con un’età media più alta o con un livello di istruzione inferiore, a indicare verosimilmente che per queste fasce di popolazione, che fanno minore ricorso a mezzi di comunicazione alternativi come la carta stampata e internet, il margine per riequilibrare l’offerta di informazioni è più ampio. Benché un’analisi così precisa possa condursi solo per il Piemonte, l’effetto esiste anche se si confrontano aree limitrofe in regioni diverse, ed è coerente con i risultati delle altre regioni nel 2010 e delle undici province chiamate al voto nel 2011.

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CONCORRENZA INFORMATIVA E DEMOCRAZIA

Una nota di cautela è, accademicamente, d’obbligo: generalizzare i nostri risultati a contesti più ampi porta con sé i rischi di ogni estrapolazione. Tuttavia crediamo che siano sufficientemente robusti per trarne un insegnamento più generale. In un paese dove dal 1994 al 2010 una parte politica ha goduto di un vantaggio competitivo in termini di potere mediatico, noto a tutti gli elettori, una semplice limatura di quel potere ha portato a un significativo calo del consenso. E il calo è particolarmente forte tra le categorie più vulnerabili, come gli anziani e i meno istruiti. Se mai ve ne fosse bisogno, è una conferma dell’assoluta e inderogabile necessità di regole che garantiscano un confronto televisivo ad armi pari tra i diversi soggetti politici.

(1) Ruben Durante and Brian Knight, “Partisan Control, Media Bias, and Viewer Responses: Evidence From Berlusconi’s Italy”, Journal of the European Economic Association, 10(3):451-481, 2012.
(2) Stefano DellaVigna and Ethan Kaplan, “The Fox News Effect: Media Bias and Voting”, Quarterly Journal of Economics, 122(3):1187-1234, 2007.
(3) Ruben Enikolopov, Maria Petrova, and Ekaterina Zhuravskaya, “Media and Political Persuasion: Evidence from Russia”, American Economic Review, 111(7):3253-3285, 2011.
(4) Guglielmo Barone, Francesco D’Acunto e Gaia Narciso, “Telecracy: Testing for Channels of Persuasion”, Trinity Economics Papers tep0412, Trinity College Dublin, Department of Economics, 2012.

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