La decisione della Corte europea sul contenzioso Mediaset-Vivendi apre la strada anche in Italia al processo di convergenza tra televisioni e società di telecomunicazioni. Con la prevalenza del videostreaming diventa centrale l’infrastruttura.

La legge Gasparri, un ostacolo finora insormontabile

La recente pronuncia della Corte europea, che ha accolto il ricorso di Vivendi, sembra finalmente aprire la strada alla revisione del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, la cosiddetta legge Gasparri, che limitando gli incroci tra media e telecomunicazioni ha a lungo rappresentato un ostacolo quasi insormontabile alla convergenza tra i due settori in Italia.

In origine, la legge Gasparri era stata pensata per impedire a Telecom Italia, e più in generale alle società di telecomunicazioni, dotate di un peso economico fino a dieci volte superiore, di acquisire il controllo di società nazionali dei media. Più di recente è stata utilizzata per impedire a una società estera (Vivendi) di tentare la scalata alla più importante tv privata italiana, dopo essere diventata il maggiore azionista di Telecom Italia.

Oggi, questa costruzione viene messa in discussione dalla decisione della Corte europea e si rimette in moto un processo che, salvo tentativi isolati (vedi Sky), vedeva il nostro paese in forte ritardo, bloccato dai lacci e lacciuoli di una regolamentazione ancorata al passato.

Il successo planetario del video streaming

Da tempo su lavoce.info abbiamo raccontato come, a partire da Netflix e in conseguenza del suo successo planetario, il processo di convergenza, basato sul consolidamento tra grandi conglomerate media e di telecomunicazioni (Disney, Newsorp, Warner, Sky, AT&T e Comcast), abbia dato vita a una nuova fase di crescita su scala globale: lo sviluppo dei servizi d’intrattenimento via internet in streaming (come ad esempio Netflix e Amazon Prime Video), favoriti dalla diffusione della banda larga e ultra larga.

In altre parole, chi oggi vuole competere nel nuovo campo di gioco deve puntare su nuove modalità distributive, focalizzandosi sui comparti più dinamici e innovativi, a cominciare appunto dal video streaming, dove si trasferiscono ingenti risorse sottratte alla televisione tradizionale e dove nuovi operatori “non-televisivi” raccolgono gran parte delle risorse pubblicitarie. Gli accordi di distribuzione verticale tradizionale tra broadcaster e fornitore di contenuti, che offrono soprattutto la tv gratuita e a pagamento, sembrano ormai del tutto inadeguati. Prevalgono nuove forme di consolidamento, che conducono all’integrazione orizzontale e verticale su vasta scala.

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Il Covid-19 ha indubbiamente accentuato e accelerato il processo e, soprattutto in Italia, ha evidenziato la crisi del tradizionale modello televisivo, cosicché negli ultimi mesi anche fasce della popolazione finora impermeabili all’offerta online si sono avvicinate ai nuovi servizi in streaming. In questo contesto, il 16 giugno è nata Sky wifi, la fibra di Sky, con cui il principale operatore televisivo italiano ha fatto ufficialmente il suo ingresso nel mondo della telefonia, entrando in diretta concorrenza con le altre telcos e diventando di fatto il primo operatore convergente in Italia.

La questione dell’infrastruttura

In tutto ciò emerge, da un lato, il ruolo centrale dell’infrastruttura e l’importanza economica e sociale degli investimenti nelle reti a ultra banda larga; dall’altro, l’incentivo per i nuovi operatori “integrati” a contrastare la spirale dei costi di approvvigionamento dei contenuti sfruttando le loro dimensioni e forza economica e assumendo il controllo delle attività di creazione e aggregazione di contenuti, nel solco delle fusioni verticali già ricordate.

Da qui dunque il tema della rete unica efficacemente analizzato, anche in alcuni di questi aspetti, nel recente contributo di Michele Polo e che giustifica le forti perplessità e resistenze manifestate da operatori come Sky e Vodafone, nel momento in cui il ruolo dell’operatore verticalmente integrato ritornasse a essere centrale. Al contempo questo spiega anche il crescente interesse manifestato pubblicamente da Mediaset e Rai a entrare nella futura società della rete così da poter sviluppare meglio eventuali sinergie e avere maggiore controllo nell’accesso dei contenuti sulla rete.

Naturalmente, siamo appena all’inizio del processo, che non appare di facile realizzazione. Tutto però lascia ritenere che anche per broadcaster come Mediaset e Rai, la tv online su larga banda sia ormai la modalità del futuro, abbandonando la fideistica e fin qui strenua difesa del digitale terrestre come modalità prevalente e universale. In questo scenario, suscita crescenti perplessità e appare sempre più critico il passaggio del digitale terrestre al nuovo standard Dvb-T2, previsto entro giugno 2022, che richiede la sostituzione del 70-80 per cento dell’attuale parco televisori. Ma questa, in parte, è un’altra storia, su cui avremo modo di ritornare.

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* Questo articolo è dedicato a Franco Morganti, recentemente scomparso.

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