La legge voluta dal governo Johnson che straccia l’accordo con la Ue sulla Brexit è solo l’ultima di una serie di decisioni sbagliate. Eppure, il primo ministro mantiene il favore dell’elettorato, grazie soprattutto alla mancanza di rivali credibili.
Il trattato stracciato
Il peggio non è mai morto: la settimana scorsa Boris Johnson con la sua accozzaglia di fanatici sembra aver deciso di confermare incontrovertibilmente l’amara verità del detto popolare.
Sembra impossibile dover rimpiangere la sorridente superficialità di David Cameron e la scipita indecisione di Theresa May, ma l’incallita sfacciataggine di Johnson vince a mani basse. In un solo anno di governo, ha sistematicamente smantellato una alla volta tutte le tradizioni che, nei secoli, hanno mantenuto la Gran Bretagna in una considerazione nel mondo della politica, della cultura e della scienza ben al di sopra di quella giustificata dalla sua dimensione. Sovranità della volontà popolare interpretata dal Parlamento? Nella spazzatura. Indipendenza del potere giudiziario dal governo? Immondizia. Imparzialità della Bbc? Ma nemmeno per sogno. La legge è uguale per tutti? Sì, ma non per consiglieri e ministri. Informare rigorosamente e imparzialmente la monarchia? puff. Ma, per l’appunto, il peggio non è mai morto e martedì 8 settembre, il governo ha di nuovo superato se stesso, dichiarando ufficialmente che intende violare il diritto internazionale. L’arroganza governativa è lampante nella candida assenza di ambiguità. Il ministro per l’Irlanda del Nord ha affermato nella Camera dei comuni che la proposta di legge del governo “viola il diritto internazionale, in un aspetto molto specifico e limitato” (sì, brigadiere, è vero che ho violato il codice della strada, ma in modo molto specifico, passando con il rosso, e molto limitato, un solo semaforo, mica tutti i 177 mila che ci sono nel paese), continuando imperterrito che “il governo negozia in buona fede con la Ue”. Buona fede? Buona fede hai detto? Che concetto di “buona fede” è quello per cui firmi un trattato internazionale a fine gennaio e in settembre lo stracci?
Non sorprende che ex-primi ministri, Theresa May, John Major, Tony Blair e, con ironia sottile e inconsueta, Gordon Brown (David Cameron rimane chiuso nel silenzio della sua capanna) siano attoniti di fronte a questo apogeo di sfrontatezza. Chi conosce la storia politica inglese meglio di me ritiene che la stessa Margaret Thatcher si stia rigirando nella tomba: nel 1975 dichiarò che “individui e governi devono ubbidire la legge, così le nazioni devono ubbidire i trattati”, e che “la Gran Bretagna non tradisce i trattati”. Sorprende, ma solo per l’abisso morale rispetto ai leader attuali, che Brexitisti solidi e feroci come Norman Lamont e Michael Howard (tory entrambi, ex ministro dell’Economia l’uno, ex-leader del partito l’altro) si uniscano al coro di proteste, lasciando alla camera dei Lord la posizione di ultimo baluardo parlamentare a difesa della reputazione morale del Regno Unito. È possibile che la ragione prevalga lì, nonostante il fatto che Johnson abbia recentemente rimpolpato la camera dei Lord con una disgustosa banda di lecchini, uno collegato all’Ira, un altro a oligarchi russi e l’equivalente nel cricket di Maradona. E nella lista c’è anche il suo fratellino.
Quello che invece non può non sorprendere è il motivo che ha indotto l’atto di vandalismo costituzionale: il governo del Regno Unito vuole essere libero di dare sussidi statali alle imprese: il divieto – che la Ue chiede come condizione per l’accesso libero al mercato interno – formava parte essenziale dell’accordo firmato all’inizio dell’anno. No, non ho sbagliato, né Jeremy Corbyn si è misteriosamente infiltrato al numero 10: i liberisti (liberisti?) a Downing Street vogliono poter annaffiare certe imprese con aiuti statali, e la Ue, francesi compresi, vuole limitarli, convinta da decenni di prediche da oltre-manica dei benefici della libertà di concorrenza equa tra imprese in paesi diversi.
Al potere per mancanza di alternative
Sorprende anche la continua popolarità elettorale di Johnson. La figura 1 illustra le intenzioni di voto per le elezioni politiche dal 2014 a oggi. I tory mantengono un deciso vantaggio di circa 4 punti percentuali, anche se sono scesi dalle altezze vertiginose dove si erano stabilizzati nella prima parte dell’anno. Se infangare la Costituzione ha poca influenza con l’elettore medio, il governo si è dimostrato particolarmente incompetente nella gestione dell’emergenza sanitaria, un aspetto che tocca la vita quotidiana di ogni cittadino. Il ritardo nell’imposizione del lockdown potrebbe essere attribuito all’incertezza iniziale sul modo migliore per affrontare il coronavirus: errare è umano, anche se il governo aveva a disposizione scienziati di valore, che ha scelto di non ascoltare. Ma perseverare è diabolico: le continue indecisioni, i cambi di rotta, le contraddizioni e le ambiguità nelle comunicazioni al pubblico sulle regole da seguire, le decisioni insensate come trasferire i pazienti dagli ospedali alle residenze per anziani – che hanno causato direttamente molte morti evitabili – in un mondo razionale avrebbero dovuto affossare la popolarità del governo. E infatti sull’altra sponda dell’Atlantico spiegano in parte il vantaggio di Joe Biden su Donald Trump. A questo si aggiungano altri esempi di incompetenza, tra i quali spicca la catastrofica gestione degli esami scolastici di fine anno, che ha lasciato docenti, studenti e genitori con l’amaro in bocca, non certo ridotto dalla decisione di Johnson di non licenziare il ministro responsabile, attribuendo invece la colpa alle agenzie alle sue dipendenze. Ma gli elettori inglesi (non quelli scozzesi) non riescono a entusiasmarsi per alcuna delle alternative disponibili. Kier Starmer non ha ancora catturato l’immaginazione degli elettori che avevano abbandonato i laburisti durante la fallimentare leadership di Corbyn, i lib-dem e i verdi sono praticamente spariti dal dibattito politico. In assenza di rivali credibili, e con le elezioni lontane (saranno nel 2024), Johnson può sbagliare quasi tutto e rimanere saldamente al potere.
Figura 1 – Sondaggi delle intenzioni di voto per le elezioni politiche nel Regno Unito
Fonte: politico.eu.
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