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Aspettando l’euro virtuale

La dimensione digitale del denaro ha sviluppato un vasto mercato privato dei pagamenti elettronici, che suscita l’attenzione delle banche centrali. Per il momento, per la Bce la prudenza è d’obbligo. Anche perché molti preferiscono ancora le banconote.

L’attenzione per la tecnologia

Un recente studio del Bank for International Settlements ha mostrato che oltre cinquanta banche centrali stanno esaminando la possibilità di introdurre una propria moneta digitale. Le central bank digital currency (Cbdc) sono designate per essere equivalenti alle banconote nazionali e sono soggette alle medesime garanzie governative. In aggiunta alla moneta fisica, le banche centrali possono emettere la Cbdc come rappresentanza digitale della valuta legale nel paese.

Nel mondo bancario e finanziario le innovazioni tecnologiche hanno un ruolo fondamentale e gli operatori guardano con molto interesse alle nuove soluzioni che la rete, i computer e le applicazioni offrono. Da ormai un decennio, la tecnologia che più ha sedotto il settore fintech è la blockchain: uno strumento per validare, rendere sicure e immodificabili molte operazioni e che ha portato alla nascita di moltissime criptovalute, la più nota delle quali è il Bitcoin.

La diffidenza che accompagna le criptovalute, a causa della loro alta volatilità, ha indotto alla creazione delle stablecoin. Il fenomeno è ancora in fase di sviluppo, ma si tratta di criptovalute che cercano di fissare il loro valore di mercato a una valuta o a un bene, spesso l’oro, così da evitare le ampie fluttuazioni tipiche delle criptovalute classiche. L’esempio più noto è Libra, la moneta virtuale che Facebook sta progettando, basata su un paniere di valute che ne assicurano il valore.

Tra concorrenza e cautela

Seppur convinte dell’affidabilità della blockchain, le banche centrali hanno presto bocciato le criptovalute non ritenendole sufficientemente sicure. Ora però la convenienza in termini di costi e tempo, oltre che una maggiore inclusione finanziaria, riaccende la loro attenzione. Il processo è stato accelerato dalla concorrenza col settore privato: diverse società, come Tencent in Cina e PayPal o Apple Pay in Occidente, occupano già un’ampia quota del mercato dei pagamenti elettronici.

La Banca centrale europea è molto interessata a questo aspetto, tanto più che in realtà in Europa una valuta digitale esiste già, poiché le operazioni di mercato aperto che la Bce svolge – come strumento di politica monetaria – con le maggiori banche nazionali avvengono in modo digitale. Il vero grande cambiamento con la Cbdc sarebbe la possibilità di accesso alla moneta digitale per ogni singolo cittadino.

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In un’economia sempre più connessa e digitale, l’utilizzo di una Cbdc permetterebbe a una banca centrale di soddisfare le richieste dei consumatori, di confrontarsi sul mercato con le società private e aumentare l’influenza politica. La moneta virtuale, infatti, è anche un mezzo di potere negli affari esteri. La Cina prevede di lanciare la sua Cbdc entro fine anno e recentemente il bacino di utenza del progetto pilota ha raggiunto i 400 milioni di persone: lo yuan digitale potrebbe diventare un rilevante sistema di pagamento e scambio di denaro elettronico transnazionale, usato da Pechino come strumento per attaccare la centralità del dollaro.

Tuttavia, la Bce ritiene che sia ancora prematuro progettare la creazione di una moneta europea digitale. La principale preoccupazione di Francoforte riguarda gli effetti che l’euro virtuale produrrebbe sull’implementazione e la trasmissione della politica monetaria, sulla stabilità dei prezzi, del sistema finanziario e quello dei pagamenti.

La Bce teme anche di interferire nel mercato dei servizi di intermediazione bancaria. Un conto deposito presso una qualsiasi banca commerciale rischia di diventare meno vantaggioso se un cittadino, per ottenere la Cbdc, dovesse aprire un conto, pressoché privo di rischi, presso la Bce. In più, la banca centrale si troverebbe sì nella posizione di poter erogare prestiti e altri servizi, ma sarebbe obbligata a eseguire controlli sulla provenienza del denaro e a rispettare gli obblighi di una normale banca, per un volume che non sarebbe però sostenibile. Attualmente vi sono presso la Bce circa 10 mila conti deposito, ma diventerebbero centinaia di milioni se i cittadini europei dovessero accedere alla Cbdc in questo modo.

Il processo comprimerebbe eccessivamente il potere nelle mani della Bce, che dal canto suo riconosce la necessità di decentrare le azioni di mercato per una maggiore efficienza. Sarà quindi necessario coinvolgere nel progetto le varie banche nazionali. D’altro canto, la Bce ha ricordato in molte occasioni la propria neutralità tecnologica: l’introduzione della Cbdc avverrà solo quando vi saranno benefici per un vasto pubblico, quando le implicazioni legali saranno definite e il suo uso potrà verificarsi in modo facile, sicuro e rapido.

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Le banconote come rifugio

In alcuni stati e grandi città i pagamenti elettronici sono largamente utilizzati, ma uno studio della Bce ha mostrato che nell’area euro il 76 per cento delle transazioni avviene con il contante, e ciò equivale a più della metà del valore totale dei pagamenti. Neanche la pandemia ha modificato la situazione: benché per la paura del contagio siano stati incoraggiati i pagamenti elettronici, la domanda di banconote è aumentata, a causa dell’incertezza. A metà marzo, quando è stata dichiarata ufficialmente la pandemia dall’Organizzazione mondiale della sanità, l’aumento settimanale del valore delle banconote in circolazione ha quasi raggiunto il record di 19 miliardi, come durante la crisi del 2008.

Questi dati mostrano come non sembra esserci ancora una richiesta generalizzata di una moneta virtuale in Europa. Tuttavia, MasterCard ha appena lanciato una piattaforma virtuale per testare le Cbdc, rivolta alle banche centrali che avranno – secondo quanto affermato dalla stessa organizzazione – avranno la possibilità di “simulare emissioni, distribuzione e scambio di valute digitale con istituti di credito, fornitori di servizi finanziari e consumatori”, in attesa di capire se l’appetito per una risorsa monetaria virtuale si trasformerà in una domanda concreta.

 

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  1. PURICELLI BRUNO

    La block chain è in via d’affermazione ma non le criptocoin causa inaffidabilità derivante da sottostante ignoto. Con la stable coin sembrerebbe di superare la diffidenza ma manca sempre il sottostante e chi garantisce cosa in caso di problemi tecnici attualmente difficilmente superabili. Problemi di garanzia che sarebbero superabili se esistesse un sottostante riconosciuto da un popolo che sarebbe il primo utilizzatore della relativa cripto moneta emessa sul “proprio” sottostante che gli appartiene (beni congrui fungibili). Questo, in sintesi, ci consentirebbe di risparmiare interessi prettamente finanziari che alimentano canali finanziari orientati in parte alle speculazioni anzichè indirizzarsi sulla economia reale investendo in attività reali. Chi ci guadagna? Gli Stati meno favoriti in Europa ed i relativi cittadini che cesserebbero di dover “lavorare” per produrre un surplus per pagare gli interessi.

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