Misure restrittive temporanee e adottate per singoli comuni o sistemi locali del lavoro possono aiutare a ridurre la diffusione del coronavirus senza penalizzare troppo l’attività economica. Lo mostra uno studio sulle zone rosse istituite il 9 marzo 2020.
Come affrontare la seconda ondata della pandemia
Con l’inizio dell’autunno, è arrivata in Italia e in tutti gli altri paesi europei la seconda ondata del nuovo coronavirus, responsabile della malattia Covid-19. Durante la prima ondata, in primavera, il nostro è stato uno dei primi paesi a introdurre misure drastiche per ridurre la mobilità in modo da prevenire la diffusione dell’epidemia, e su lavoce.info se ne è discusso in diversi contributi (qui, qui, qui e qui).
Ora, dopo il rapido aumento dei casi di positività e di ospedalizzazioni, si è ricominciato a discutere se e quali misure restrittive applicare in modo mirato per prevenire il più possibile la trasmissione del virus, cercando allo stesso tempo di ridurre gli effetti negativi sull’economia e sulle libertà individuali.
Al contrario di quanto avvenuto a marzo, quando il sistema sanitario era meno preparato (soprattutto in relazione alla strategia delle 3T, cioè testare, tracciare e trattare) e quindi era più alto il rischio che non riuscisse a trattare in modo adeguato tutti gli individui ospedalizzati, ora la discussione si è spostata dalla necessità o meno di introdurre un lockdown generalizzato all’utilità o meno di lockdown più mirati, sia geograficamente sia a livello di specifiche industrie.
Qui discutiamo dell’efficacia di lockdown locali nel limitare la mobilità personale e quindi la trasmissione del virus. Proviamo anche ad analizzare quali caratteristiche del mercato del lavoro possono rendere le limitazioni più utili nel diminuire la trasmissione del virus, se non è possibile ricorrere a soluzioni alternative.
L’effetto delle zone rosse
Per capire l’efficacia dei lockdown locali, partiamo da un nostro recente lavoro empirico, nel quale esploriamo, per la prima volta, l’impatto dell’adozione e della rimozione di misure restrittive sui cambiamenti nella mobilità individuale in Italia. In particolare, analizziamo l’effetto del decreto che il 9 marzo 2020 ha imposto a 26 province (su 111) nel Centro-Nord gravi limitazioni alla mobilità individuale e alle interazioni sociali. Un effetto durato un solo giorno, dato che già quello successivo il governo ha introdotto nuove misure restrittive su tutto il territorio nazionale, senza distinzioni a livello locale. Quelle restrizioni sono poi rimaste in vigore fino al 3 giugno, quando le limitazioni ai movimenti attraverso le regioni sono state definitivamente rimosse.
Sfruttando la differenza di mobilità tra comuni in lockdown e altri comuni limitrofi non soggetti alle stesse misure, ma all’interno dello stesso sistema locale del lavoro, nel nostro studio dimostriamo che le misure introdotte il 9 marzo sono state efficaci: hanno abbassato la mobilità individuale di circa 7 punti percentuali in un solo giorno, in aggiunta alla riduzione di mobilità ascrivibile a fattori legati alle caratteristiche della popolazione locale e alla diffusione delle malattia. L’effetto che stimiamo per il nostro paese è in linea con quanto trovato anche da un altro studio recente sugli Stati Uniti. Grazie a queste misure, secondo le nostre stime, la diminuzione della mobilità nelle cosiddette zone rosse è stata superiore del 50 per cento rispetto alle altre.
La figura 1 mostra la variazione di mobilità media da febbraio a giugno rispetto alla media del periodo 13 gennaio-16 febbraio secondo i dati City Analytics – Mappa di Mobilità elaborati da Enel X srl e Here Technologies.
Figura 1 – Variazione dei movimenti rispetto al periodo 13 gennaio-16 febbraio.
La nostra analisi mostra, inoltre, che le caratteristiche locali hanno giocato un ruolo importante dopo la revoca dei divieti. L’aumento di mobilità, infatti, è stato più forte nelle aree o sistemi locali del lavoro in cui la forza lavoro, date le caratteristiche e la composizione delle attività produttive, appare relativamente meno esposta al rischio di contagio e dove ha meno possibilità di fare telelavoro. La figura 2 mostra le variazioni dei movimenti per il 30 marzo e il 3 giugno (rispetto al periodo 13 gennaio-16 febbraio) a livello di sistemi locali del lavoro.
Figura 2 – Variazioni dei movimenti rispetto al periodo 13 gennaio-16 febbraio a livello di sistema locale del lavoro.
a) 30 marzo
b) 3 giugno
Da questi risultati possiamo dedurre che i lockdown locali possono causare una diminuzione consistente della mobilità e possono essere quindi utili a diminuire la diffusione del nuovo coronavirus. In più, le restrizioni locali possono essere più utili dove le caratteristiche del mercato del lavoro e della società non aiutano la naturale riduzione della mobilità.
Nella situazione attuale il ricorso a lockdown locali temporanei può dunque essere preso in considerazione, specialmente se il tracciamento dei contatti di persone risultate positive non funziona e appare prioritario ridurre le occasioni non essenziali di contatto.
La difficoltà maggiore, oggi come a marzo, rimane comunque la mancanza di un adeguato tracciamento dei contatti e di informazioni il più disaggregate possibile che, così come accade già in altri paesi, possano permettere di identificare anche a livello di strade, quartieri o imprese specifiche i luoghi nei quali le regole di distanziamento sociale e igiene sono meno rispettate e quindi dove la trasmissione del virus è più alta.
Poiché non abbiamo queste informazioni, il bilanciamento tra emergenza sanitaria e la necessità di far proseguire l’attività economica del nostro paese si può trovare nell’adozione di misure restrittive temporanee e focalizzate a livello di comuni o sistemi locali del lavoro.
* Le opinioni espresse sono personali e non riflettono necessariamente la posizione di Inapp.
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Paolo Paolicchi
Enrico Letta, parlando di riforme economiche, aveva sostenuto che andavano fatte col cacciavite, cercando insomma soluzioni ben mirate e precise. Lo stesso discorso vale, a mio parere, per le strategie di contenimento dell’epidemia. Il lockdown nazionale e’ invece un provvedimento fatto usando la zappa. Se a marzo c’era una giustificazione per un provvedimento di questo genere: non sapevamo ancora quasi nulla del virus, delle sue caratteristiche, della sua letalita’ ecc., ora non ci sono piu’ scuse. Ulteriori chiusure, rispetto a quelle attualmente in vigore, hanno senso solo se mirate, e ben calibrate sia nel tempo che nello spazio. Si potranno cosi’ minimizzare i costi sia economici che psicologici (questi ultimi non vanno trascurati: rischiamo fra un anno di trovarci sopravvissuti alla pandemia ma un po’ tutti fuori di testa).
Roberto
Oramai non possiamo più permetterci di chiudere ristoranti, bar e tutti gli altri esercizi. Sarebbe un disastro per la nostra economia, bisogna solo tener alto il livello di prevenzione seguendo le regole dettate dai medici. Tutti abbiamo il diritto di lavorare per vivere e pagare le tasse, non solo sperare in bonus e regali da parte del Governo, perché comunque sia, sono sempre soldi che vengon presi dalla collettività
lantan
Concordo fondamentalmente con le argomentazioni contenute nell’interessante articolo. Vedo che però le istituzioni locali delle regioni più colpite dalla crescita del virus hanno una certa, come dire, ritrosia ad intraprendere tali misure. Forse perché, visto il federalismo becero che caratterizza le nostre autonomie locali e regionali, fare una zona rossa solo a Milano o a Napoli significherebbe – agli occhi dell’opinione pubblica – una sconfitta per quelle amministrazioni interessate da lockdown locali. Ed allora preferiscono tergiversare coinvolgendo sempre il governo in assurde quanto inconcludenti discussioni, in attesa che la situazione divenga così drammatica da richiedere un lockdown nazionale. A giudicare dalle recenti rpese di posizione di Sala e De Magistris, nonché di De Luca e Fontana, sembra che le cose stiano proprio così; e non è una bella cosa…
Enrico D'Elia
Analisi e conclusioni ineccepibili. Peccato che i lockdown chirurgici siano politicamente inattuabili perché dovrebbero essere decisi proprio da coloro che beneficiano economicamente dei flussi di merci e persone. Alcune pittoresche esternazioni di sindaci, governatori e imprenditori locali sembrano confermarlo. D’altra parte, un meccanismo di blocchi gestito centralmente, oltre ad essere costituzionalmente discutibile (e quindi soggetto a infiniti ricorsi) sarebbe difficile da decidere ed attuare tempestivamente. I moti di piazza e di palazzo nelle regioni classificate ad alto rischio nell’ultimo DPCM lo confermano. Non è un caso se in quasi tutti i paesi si ricorre a lockdown nazionali.