I dati sul reddito di cittadinanza contenuti nel Rapporto Inps indicano la necessità di alcune correzioni. Ma la misura rimane uno strumento essenziale per garantire dignità e sicurezza economica alle famiglie in difficoltà, specie in tempi di Covid-19.
Il reddito di cittadinanza nei dati Inps
Il capitolo sul reddito di cittadinanza, contenuto nel Rapporto annuale dell’Inps, fornisce l’occasione per fare il punto sulla misura a un anno e mezzo dal suo avvio avvenuto nel marzo 2019, ovvero al termine del primo “ciclo” di beneficio per coloro che l’hanno ricevuto sin dal primo mese.
L’Italia disponeva già – da gennaio 2018 – di un trasferimento selettivo contro la povertà, il reddito di inclusione, a sua volta sviluppo del sostegno di inclusione attiva. Il cambiamento introdotto con il Rdc è stato però molto significativo, sia in termini di risorse stanziate, sia di platea interessata. La crisi economica causata dal Covid-19 ha poi ulteriormente aumentato l’area della povertà e quindi il numero di coloro che hanno diritto alla misura.
Secondo il Rapporto Inps, all’8 settembre 2020 i nuclei familiari che ricevono il Rdc o la pensione di cittadinanza sono 1,3 milioni (per un totale di 3,1 milioni di persone), ossia il 5 per cento delle famiglie italiane (il 5,2 per cento dei residenti). Nel corso della seconda metà del 2019 il flusso mensile delle nuove domande era in fisiologica diminuzione, ma i numeri sono decisamente aumentati a partire dall’inizio della pandemia (febbraio 2020). Per quanto riguarda l’esborso dell’erario associato al Rdc, dal Rapporto emerge che l’Inps ha speso circa 3,8 miliardi per la misura nell’arco del 2019.
Il Rdc è sicuramente necessario per contrastare la povertà, tanto più in una condizione di profonda recessione come quella attuale. Presenta tuttavia alcune criticità, che dovrebbero essere affrontate. Vediamo le principali.
Scarsa efficacia nel produrre occupazione
Chi ha proposto il Rdc ha sempre dichiarato di puntare su due obiettivi: combattere la povertà e aumentare l’occupazione. Alla base c’era una visione della povertà come causata dalla mancanza di lavoro. La legge che ha introdotto la misura ha poi corretto questa impostazione riconoscendo la natura assai più complessa del fenomeno, e prevede ora due possibili strade per i beneficiari: non solo l’aiuto alla ricerca di un lavoro da parte dei centri per l’impiego (Cpi), ma anche un percorso di inclusione sociale per chi difficilmente può guadagnarsi la vita lavorando (a causa di problemi di salute, bassa istruzione, carichi familiari, età avanzata o altro ancora).
In effetti, i risultati sul fronte occupazionale sono stati molto scarsi: pochissimi beneficiari hanno fin qui trovato lavoro. Probabilmente ciò è dovuto ai ritardi dei Cpi, alla bassa o molto bassa occupabilità media dei beneficiari e anche, ovviamente, alla grave recessione in cui ci troviamo. Sgomberando il campo dalle illusioni iniziali (il governo usò lo slogan “una rivoluzione nel mercato del lavoro”), è necessario più tempo per un verdetto su questo fronte. Anche i “progetti utili alla collettività” (Puc) che i comuni devono organizzare per chi segue il percorso di inclusione sociale si scontrano con molte difficoltà, non solo dovute all’emergenza Covid-19. Dalle informazioni a disposizione è ancora più difficile dire quante famiglie siano state accompagnate dai servizi sociali e quale impatto hanno avuto i sostegni introdotti per questi nuclei più lontani dal mercato del lavoro.
Trappola della povertà ed evasione
Una cosa, tuttavia, si può dire fin d’ora: il reddito di cittadinanza rischia di creare una trappola della povertà. Il suo importo non è infatti trascurabile e si riduce molto velocemente se il beneficiario inizia a lavorare. Alcuni potrebbero scegliere di non lavorare – o farlo in nero – per non perdere il sussidio. La logica del trasferimento monetario andrebbe ribaltata: se non lavori – e sei nelle condizioni di farlo – il sussidio è basso, e se cominci a lavorare dovrebbe aumentare (sotto forma di imposta negativa) o diminuire lentamente fino a un certo punto, non al tasso dell’80 o del 100 per cento come accade ora. Si potrebbe ad esempio prevedere che se il reddito da lavoro della famiglia aumenta, il Rdc si riduca solo della metà del valore del maggior reddito da lavoro. Non sappiamo inoltre quanti evasori fiscali percepiscano il Rdc, ma è sicuramente un problema aperto.
Esclude gran parte dei poveri non italiani
Per chiedere il Rdc servono dieci anni di residenza in Italia, una condizione che esclude molte famiglie straniere, per le quali però il tasso di povertà è molto alto (secondo dati Istat, tra le famiglie con persona di riferimento non occupata l’incidenza della povertà assoluta è del 6,7 per cento per quelle italiane, del 30,5 per cento per quelle straniere). I bambini poveri che vivono in famiglie straniere – in questi mesi spesso costretti a scontrarsi con le difficoltà della didattica a distanza – rischiano di essere dimenticati, con gravi conseguenze sulle loro condizioni da adulti. Il reddito di inclusione, più saggiamente, richiedeva soltanto due anni di residenza.
Non sappiamo di quanto abbia ridotto la povertà
I dati Istat ci dicono che l’incidenza e la gravità della povertà assoluta nel 2019 sono diminuite. Visto che l’economia non è di fatto cresciuta, è ragionevole ritenere che ciò sia stato dovuto al Rdc. Ma in generale avremmo bisogno di stime controfattuali e soprattutto di sapere quante famiglie povere ricevono il Rdc e quante sono le famiglie non povere alle quali arriva comunque. Secondo alcune simulazioni, se è certo l’effetto di riduzione della povertà – benché si sia ben lontani dall’aver “abolito” la povertà – sembra anche che su circa 3 milioni di beneficiari, il 50 per cento non sia povero, se la linea di povertà è il 45 per cento della mediana del reddito equivalente.
La scala di equivalenza penalizza le famiglie numerose
Il trasferimento monetario del Rdc aumenta al crescere del numero dei componenti, ma fino a un limite massimo e secondo una scala di equivalenza meno generosa con le famiglie numerose rispetto alla scala dell’Isee, come mostra la figura 1.
Visto che l’importo che spetta a una persona sola è molto alto, se il beneficio fosse aumentato rispetto al numero dei componenti secondo la scala Isee, la spesa totale sarebbe troppo elevata. La scala piatta penalizza le famiglie numerose rispetto a quelle di piccola dimensione, ma va comunque rilevato che le famiglie numerose in povertà ricevono, con il Rdc, decisamente più di quanto ottenevano prima con il Rei. L’impressione che il Rdc favorisca i nuclei piccoli o molto piccoli stride con l’evidenza che il rischio di povertà è, in Italia, molto elevato soprattutto per i minori.
Rdc e aree con diverso costo della vita
Un povero che risiede in una città del Nord tende ad avere un reddito superiore a un povero che vive nel Meridione, perché il livello dei prezzi è più alto nelle regioni settentrionali. Le soglie di accesso al Rdc, a differenza di quelle di povertà assoluta Istat, sono invece le stesse in tutto il paese. Ciò ha due conseguenze: le famiglie del Nord hanno minore probabilità di riceverlo e, se ne beneficiano, ottengono un trasferimento inferiore. E infatti la quota di domande accolte è 64 per cento nel Sud e 42 per cento nel Nord-Est. L’importo medio mensile ricevuto è più alto (+100 euro al mese) nelle regioni meridionali. D’altra parte, a parità di reddito monetario, il tenore di vita è in genere superiore al Nord, dove i beni e servizi pubblici sono di migliore qualità e più accessibili. Si tratta dunque di un problema complesso, ma che vale la pena tenere presente.
C’è insomma molto spazio per la discussione e per intervenire sul disegno del Rdc, che comunque rimane uno strumento essenziale, dopo alcune correzioni suggerite dai dati, per garantire dignità e sicurezza economica alle persone e alle famiglie in difficoltà, soprattutto in questi mesi di emergenza nazionale.
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Mauro Cappuzzo
Due osservazioni:
a) la scarsa istruzione non preclude l’accesso al lavoro, anzi, vi sono numerosi lavori che non richiedono istruzione ma solo buona volontà;
b) le famiglie straniere povere: perché sono venute in Italia? Evidentemente stanno comunque meglio rispetto a dove vivevano. Perché parte delle imposte pagate dai cittadini italiani devono essere impiegate per favorire gli immigrati?
Massimo Baldini
Sono belle domande, grazie. E’ vero ci sono moltissimi lavori per cui una bassa istruzione è sufficiente, però tutti i dati dicono che la probabilità di non trovare un lavoro è maggiore per chi ha poca istruzione. Sulla seconda domanda, la ribalto: perché uno straniero che lavora in Italia dovrebbe pagare le imposte?
Carlo
Il problema del costo della vita poteva essere mitigato se il rdc fosse stato accompagnato da maggiorazioni per tenere conto delle diversità climatiche: infatti qui in Veneto ho in mente un fatto di cronaca riguardante persone povere che si sono scaldate con il braciere.
Inoltre il rdc è stato approvato senza tenere conto che il sistema fiscale, con criteri blandi, all’interno delle relazioni parentali riconosceva delle detrazioni: infatti se un nonno ha la famiglia del figlio che percepisce il rdc, con le detrazioni per familiari a carico tra figlio, nuora e 2 nipoti, gode di circa 2000 euro di detrazioni a cui si aggiungono quelle per le spese scolastiche/universitarie, sanitarie ecc. E quindi ritorna la tematica della trappola della povertà: per chi ha redditi bassi o nulli non conviene accettare lavoretti o bassi salari perché gli aiuti vengono da molteplici canali (ad. es. esenzione ticket).
Quindi sarebbe utile fare il “tagliando” al rdc ma ancora di più revisionare a fondo i sistemi welfare/fisco/sanità perché è da qui, cioè dalla trappola della povertà, deriva l’insofferenza della classe media verso la tassazione e la mancata percezione di risorse per la natalità.
Mahmood
Per garantire dignità e sicurezza alle famiglie italiane, in tempo di Covid come sempre, devono essere garantiti loro beni e servizi essenziali. La garanzia di accrediti fissi mensili invece distorce pesantemente un’economia già segnata dal lavoro nero, oltre e non garantire il “positivo” impiego di questo denaro. Dare reddito di cittadinanza a un disoccupato con problemi di alcolismo o gioco d’azzardo, ottimo impiego delle limitate risorse pubbliche. Chi versa in stato di bisogno deve avere ASSICURATO un tetto, il riscaldamento, indumenti adeguati, acqua, cibo, sanità, istruzione in caso di minorenni. Ma la garanzia di avere dei soldi se non risulta ufficialmente che hai un reddito rimane una delle maggiori follie di questo Paese. Pagheranno i contribuenti olandesi? Speriamo, che se pagano solo i non evasori italiani il gioco non dura molto.