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Nella sanità le centrali uniche di acquisto funzionano*

Le centrali uniche di acquisto consentono di concentrare a livello regionale l’acquisto di beni e servizi essenziali per la salute dei cittadini. L’obiettivo è assicurare costi più bassi a parità di servizio. E il risparmio ottenuto è evidente.

Quanto si risparmia?

L’emergenza sanitaria da Covid-19 e l’identificazione di possibili misure da adottare per superarla hanno riportato la spesa pubblica e gli effetti  della centralizzazione degli acquisti in questo ambito al centro del dibattito pubblico italiano. I cambiamenti organizzativi nella gestione dei processi di acquisto sono volti prevalentemente a contenere la spesa pubblica, sia favorendo lo sviluppo di economie di scala che derivano dall’aggregazione di volumi di acquisti e vendite, sia facendo leva su un processo più snello che possa ridurre il costo di transazione unitario del singolo contratto.

In un recente lavoro, abbiamo stimato l’impatto della centralizzazione degli acquisti sanitari sul livello di spesa delle Asl, focalizzando l’attenzione sulle componenti che si concretizzano in acquisti di beni (per esempio, prodotti farmaceutici e dispositivi medico-diagnostici) e servizi (sanitari e di supporto).

In conformità con la direttiva europea, la nozione di centrale di acquisto (Cua) è stata introdotta nel sistema giuridico italiano nel 2006, all’interno del Codice dei contratti. La figura 1 riepiloga le regioni che hanno costituito una centrale unica di acquisto con deleghe in materia sanitaria tra il 2003 e il 2012. Mentre in alcune una centrale unica di acquisto era stata avviata già prima del 2006 (Campania, Toscana ed Emilia-Romagna) o lo è stata nel periodo 2006-2007 subito dopo il varo della legge (Lombardia, Piemonte, Liguria, Sardegna, Puglia e Calabria), tutte le altre si sono adeguate soltanto successivamente (figura 1).

Figura 1 – Anno di introduzione della centrale unica di acquisto con deleghe in materia sanitaria tra il 2003 e il 2012.

Abbiamo quindi confrontato la variazione di spesa corrente pro capite del gruppo delle Asl che opera in regioni con regime Cua, prima e dopo l’introduzione della centrale di acquisto regionale, con la medesima variazione per il gruppo di Asl che non opera in regioni con Cua nello stesso periodo di tempo. I risultati indicano che la spesa pro capite in beni e servizi delle Asl che operano in regioni in cui è stata introdotta una centrale di acquisto è sempre minore di quella delle Asl che operano in autonomia (figura 2). Inoltre, la differenza fra le due categorie è crescente nel tempo.

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La riduzione stimata della spesa a seguito dell’introduzione delle centrali di acquisto risulta arrivare, in media, fino a un massimo di 252 euro a persona. Ciò implica che il valore complessivo del risparmio sulla spesa pubblica in sanità si attesta al massimo intorno a poco meno di 15,4 miliardi di euro, una cifra equivalente a circa il 20,6 per cento della spesa pubblica sanitaria media in acquisti di beni e servizi e il 13,7 per cento di quella totale media nel periodo considerato.

L’effetto sulla qualità del servizio

Il risparmio di spesa si concentra in prevalenza sulle Asl che operano nelle province caratterizzate da più bassi livelli di qualità delle istituzioni e da elevata corruzione. Allo stesso modo è utile sottolineare che alcune di queste province appartengono a regioni oggetto dei cosiddetti piani di rientro, ovvero di misure atte a contrastare disavanzi nella gestione finanziaria della sanità con l’obiettivo di riequilibrare i conti dei servizi sanitari regionali, garantendo l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza. La compresenza di diverse politiche potrebbe quindi rendere meno evidente a quale misura possa essere attribuita la riduzione dei costi. Tuttavia, è bene chiarire che ci sono Asl appartenenti a regioni soggette al piano di rientro ma con elevati livelli di qualità delle istituzioni (come il Piemonte), così come ce ne sono altre di regioni con bassi livelli di qualità istituzionale ma non soggette al piano di rientro (come la Basilicata) nel periodo di osservazione.

La nostra analisi consente poi di escludere che la riduzione della spesa in beni e servizi sanitari sia andata a detrimento della qualità del servizio pubblico offerto ai cittadini. Infatti, nei territori di riferimento delle Asl trattate, il tasso di mortalità per diverse patologie soggette a ospedalizzazione e le dimissioni da ricovero non hanno subito variazioni significative dall’introduzione delle centrali uniche di acquisto regionali.

Il risultato ci dice quanto sia importante un’azione coordinata tra i diversi centri di spesa per ottenere risparmi rilevanti. Queste risorse, però, non devono essere sottratte al servizio sanitario pubblico, ma devono essere impiegate per il suo potenziamento soprattutto delle regioni meridionali più colpite dall’inefficienza del sistema precedente, legata alla bassa qualità delle istituzioni e all’elevato livello di corruzione. Dal nostro lavoro si potrebbero trarre indicazioni utili anche per un’eventuale centralizzazione di alcuni acquisti sanitari di rilievo nazionale, come quelli relativi ai dispositivi anti-Covid: se fatti a livello centralizzato, potrebbero comportare costi inferiori a quelli finora sostenuti dalle singole regioni.

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* Il punto di vista espresso da Massimiliano Ferraresi e Gianluca Gucciardi in questo articolo è del tutto personale e non coinvolge l’istituzione a cui entrambi sono attualmente affiliati.

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  1. Vittorio Mapelli

    I risultati dello studio sembrano clamorosi, se chi legge interpreta correttamente i dati, perché nella sinteticità dell’esposizione non risultano chiari alcuni aspetti. Risulterebbe che si sono risparmiati 15,4 miliardi di € (in 10 anni? si presume) e il 20% della spesa cumulata per beni (solo di tipo sanitario o totali?) e servizi. Ma da fonte Ministero della Salute risulta che nel 2003 la spesa per beni e servizi incideva per il 24,2% (19,8 miliardi) sul totale e nel 2012 per il 31,4% (35,6 miliardi): come si conciliano questi dati con quelli dello studio?
    Inoltre, il confronto tra le regioni con e senza Centrale unica di acquisto sembra viziato da qualche distorsione (bias). Quattro delle otto regioni senza centrale unica di acquisto (Valle d’Aosta, Bolzano, Trento, Molise) risultano avere un’unica ASL regionale/provinciale che, di fatto, funge da acquirente unico. Inoltre in cinque di queste regioni (Valle d’Aosta, Bolzano, Trento, Lazio, Molise) la spesa sanitaria pro-capite e, quindi, anche per acquisto di beni e servizi, è superiore alla media nazionale del 20-30% perché (a) sono regioni o province a statuto speciale e quindi non soggette a tetti di spesa nazionali, oppure (b) sotto piani di rientro per deficit eccesivo (Lazio e Molise). Forse qualche cautela si impone quando si afferma che in media si è risparmiato 252 euro a persona.

    • Leonzio Rizzo

      1/3 Desideriamo ringraziare Vittorio Mapelli per i suoi commenti che ci consentono di approfondire alcuni aspetti del nostro articolo, soltanto accennati nella versione pubblicata anche per ragioni di sintesi.

      1. Risparmio totale: come giustamente suggerito, la riduzione della spesa stimata che abbiamo indicato non è da considerarsi come annuale, ma cumulata lungo tutto il periodo di analisi. Infatti, la stima del risparmio si ottiene confrontando la situazione media prima e dopo l’introduzione delle centrali nelle diverse regioni. In ogni caso, risultati simili ai nostri sono stati annunciati dall’ex Commissario del Governo per la spending review, Yoram Gutgeld nel 2017 (http://www.quotidianosanita.it/governo-e parlamento/articolo.php?articolo_id=55637).

      2. I dati che utilizziamo riguardano le voci “Acquisto di beni” e “Acquisto di servizi” desumibili dai bilanci delle ASL disponibili sul portale del Ministero della Salute (http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=1314&area=programmazioneSanitariaLea&menu=vuoto). Tali voci ricomprendono anche l’acquisto di beni intermedi e pertanto ammontano a circa 70 miliardi in media nel periodo considerato.

    • Leonzio Rizzo

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      3. Risparmio pro capite: nello studio da cui è tratto questo articolo utilizziamo diversi modelli econometrici per stimare il risparmio della spesa. I modelli variano in base a diversi fattori, tra cui l’introduzione di variabili di controllo demografiche o dei trend temporali. Replicando tali modelli sul valore in euro della spesa pro capite (nell’articolo utilizziamo il logaritmo naturale per motivi tecnici), otteniamo un risparmio che oscilla tra circa 80 euro pro-capite (il valore minimo possibile) e 252 euro pro-capite (il valore massimo possibile). Abbiamo modificato l’articolo specificando che 252 euro pro-capite rappresenta il massimo risparmio possibile stimato.

    • Leonzio Rizzo

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      4. Regioni particolari: come suggerito, è corretto il punto relativo al fatto che alcune entità hanno un’unica ASL a livello di regione/provincia, per cui in questi casi la centralizzazione sarebbe avvenuta de facto. Allo stesso tempo, riteniamo che l’introduzione di una struttura dedicata al procurement, peraltro ispirata ad un dettame legislativo più generale (nazionale e comunitario), possa comunque portare benefici in termini di risparmio. Analogamente, se è vero che le regioni a statuto speciale non hanno tetti di spesa nazionali, rimane comunque plausibile che la presenza di una centrale di acquisto possa introdurre nuovi processi di procurement più efficienti. Da ulteriori analisi econometriche emerge che che non esiste un differenziale statistico tra il risparmio di spesa ottenuto da ASL appartenenti a regioni a statuto ordinario e quello delle regioni a statuto speciale.

      Grazie ancora per gli spunti sollevati e per l’attenzione dimostrata.
      Massimiliano Ferraresi Gianluca Gucciardi Leonzio Rizzo

  2. Michele Lalla

    Nel settore dove ho lavorato il sistema ha risparmiato perché l’acquisto centralizzato ha reso piú difficile spendere e, nel mio caso, a volte, ho comprato con risorse personali ciò di cui avevo bisogno. Per analogia, il meccanismo ha sicuramente operato anche in Sanità. La tesi dell’appartenenza del risparmio è giusta, ma si dimentica che l’obiettivo del risparmio era la diminuzione della spesa sanitaria e la sua riduzione/ restrizione sul territorio per diminuire la spesa pubblica e venduta per aumentare l’efficienza in sé, che ha una sua logica ferrea. Esempio, un posto nascita in montagna si chiude se opera meno di 500 nascite annue: ha un suo senso anche per la qualità del servizio, ma si impoverisce il servizio alla montagna, tralascio i riferimenti concreti. Si arriva, cosí, al problema odierno che ci rende deboli a contrastare il coronavirus: risparmiate pure, ma non lamentatevi, quando il servizio non funziona e non funziona nemmeno nelle regioni ottime. Volete un esempio? Ma no, lo tralascio per brevità; infine, invito gli autori a riflettere sul caso Lombardia dove, proprio questo sistema di acquisto centralizzato ha condotto a danni umani e economici incalcolabili: quanto vale una vita umana e un disservizio in sanità? E si arriva al dio profitto e all’apoftegma “piú profitto, meno spesa pubblica, e meno tasse, al resto ci pensa il mercato”. E non sono fuori tema del tutto.

  3. Paolo

    Sarebbe da approfondire l’effetto sull’andamento della spesa legato al fatto che tra le regioni prive di centrali di acquisto sono incluse praticamente tutte quelle a statuto speciale (val d’aosta, province autonome, friuli e sicilia fino al 2011), che sono anche quelle caratterizzate da livelli di spesa pro-capite enormemente più elevati della media (si veda ad es. l’articolo dell’osservatorio guidato da cottarelli sul tema: https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-la-spesa-pubblica-e-troppo-bassa-al-sud figura 1).
    Viene il dubbio infatti che l’andamento crescente delle spese sia legato alle “mani libere” dello statuto speciale, più di quanto non lo sia alla mancanza della CUA regionale.
    Con i dati di cui disponete, potete disaggregare gli andamenti tra le regioni a statuto ordinario e le altre, ed effettuare un approfondimento sul tema? Grazie

  4. Enrico D'Elia

    Non capisco (o forse capisco fin troppo bene) perché una soluzione così semplice non sia imposta per legge a tutta la PA. Una volta c’era il provveditorato generale dello stato che svolgeva esattamente questa funzione, poi è stato progressivamente smantellato in nome delle autonomie locali. La Consip ora svolge un ruolo simile, ma con minore efficacia. Mi chiedo anche perché il reclutamento del personale con qualifiche standard non sia affidato ad un’unica centrale di selezione, sottraendolo ai condizionamenti locali. Se tutte le amministrazioni fossero obbligate ad attingere ad albi nazionali di dirigenti, tecnici e impiegati si risparmierebbero somme ingenti per la selezione, si limiterebbero i fenomeni di corruzione e gli intrecci tra politica e amministrazione, si migliorerebbe la qualità e l’indipendenza dei dipendenti pubblici.

  5. Piero Borla

    Molto interessante. Questo mette in discussione l’idea (che al momento è moneta corrente) che ogni riduzione della spesa è un male e ogni incremento è bene. Naturalmente occorrono analisi più approfondite. Ma non condivido l’assunto che i risparmi di spesa non debbano essere riportati a fattor comune ma invece reinvestiti nel settore in cui si sono generati. Secondo la mia esperienza, a lungo termine si perde il controllo e nascono nuove storture: si finanziano iniziative che non sono in realtà così urgenti, mentre in altri settori reali necessità rimangono all’asciutto. Ogni anno nel redigere il bilancio tutti gli stanziamenti di spesa vanno rivalutati nell’ammontare effettivamente prioritario

  6. Emanuele Paris

    ..ottima formalizzazione di quanto a naso avevo sempre maturato. Ma è ovvio che in un paese tra i più grandi tassi di corruzione, questo evidente concetto va a cozzare contro poteri costituiti. Il sistema sanitario italiano è ancora tra i migliori al mondo, ma non v’è dubbio alcuno che vi sono enormi sacche di efficentamento potenziale. Invece spesso passa l’idea che tagliare sul sistema sanitario nazionale significhi tagliare i servizi, come per altro si va facendo da anni: si tiene ferma la corruzione e si taglia sui servizi. Io terrei fermo il budget annuale, e lavorerei pesantemente sull’efficientamento, tenendo le risorse interne al sistema, per ampliare i servizi e riassorbire quelli spostati sul privato. La sanità, e la cura non può essere questione di privati, perchè sulla salute umana non ci si può fare business.

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