Il lockdown ha fatto crescere il consumo di televisione, tradizionale e on demand. Ma gli operatori broadcast e le pay-tv classiche risentono i contraccolpi della crisi economica. Ne beneficiano i servizi in streaming. E la pubblicità ne prende atto.
Il lockdown ha cambiato la tv
È un vero tsunami quello avvenuto nel 2020 nell’industria televisiva italiana, accelerandone in maniera drastica la trasformazione. Se la crisi sanitaria globale, che ha costretto le persone a praticare il distanziamento sociale per ridurre al minimo la diffusione dell’epidemia, rischia di mettere in ginocchio l’economia mondiale, è altrettanto vero che mai tanti individui hanno trascorso così tanto tempo confinati in casa e ciò ha portato il consumo di televisione a raggiungere livelli straordinari (cfr. qui).
Il fenomeno non riguarda solo i cosiddetti servizi di video on demand, ma anche la televisione in generale, con un aumento dei consumi di tv e video tradizionali. Se la televisione broadcast (Rai e Mediaset) rischia però di veder vanificati gli effetti positivi a causa dell’andamento macro-economico generale, che determina una forte riduzione degli investimenti pubblicitari, per il video streaming (Netflix, Amazon Prime, Disney e le altre) le previsioni rimangono invece estremamente positive anche nella fase di post-lockdown.
Al contempo, altri fattori legati all’emergenza Covid hanno spinto verso la progressiva migrazione della tradizionale tv lineare – in cui la programmazione è decisa dai canali – verso i servizi di video streaming a banda larga, che consentono al telespettatore di selezionare i propri contenuti all’interno di amplissime librerie di programmi.
In particolare, tra questi fattori si segnalano:
– la perdita della programmazione sportiva dal vivo sulle reti televisive tradizionali durante il lockdown, che ha spinto molti abbonati ad abbandonare la tv a pagamento (cord cutting) verso le meno costose e oggi più attraenti offerte di video streaming;
– la crisi economica e la prevedibile riduzione del reddito disponibile delle famiglie che ha comportato il downgrade e la cancellazione dei tradizionali abbonamenti pay-tv (Sky), più costosi, per spostarsi verso modalità più economiche come quelle di Netflix & co, come pure una crisi delle televisioni in chiaro, che dipendono più delle altre dalla congiuntura economica in termini di ricavi pubblicitari.
Chi vince e chi perde
Il video streaming funge pertanto da motore del cambiamento, con la stessa pubblicità che si sposta sempre più verso l’online, con nuovi attori e nuovi protagonisti che si accaparrano la fetta più consistente della torta, sottraendo di fatto risorse ai tradizionali broadcaster come Sky, Mediaset e Rai.
Anche nella pay-tv, dove il broadband, cioè la distribuzione via Internet, raggiunge ormai numeri paragonabili a quelli del satellite e largamente superiori al digitale terrestre in termini di penetrazione, il processo assume caratteristiche del tutto nuove e sempre più vicine a quelle del Nord Europa e del Nord America.
Ne consegue, secondo ITMedia Consulting, che il mercato televisivo perderà complessivamente nel 2020 oltre 400 milioni di euro, toccando i 7.607 milioni, con una riduzione di oltre il 5 per cento rispetto all’anno precedente. Si scende così ben al disotto della barriera degli 8 miliardi di euro, con un andamento che è persino inferiore alle attese rispetto al terremoto registrato nel secondo trimestre del 2020.
D’altro canto, se i risultati negativi si manifestano su tutti i settori tradizionali della televisione, è altrettanto vero che i servizi in streaming, come quelli di Netflix, Amazon Prime Video e dell’ultimo arrivato Disney +, riescono a compensare una parte rilevante delle perdite.
La pubblicità in particolare cala di circa il 13 per cento, incidendo più di tutti gli altri fattori sulla perdita del mercato nel suo complesso. La pay-tv lineare (Sky) scende come tutti i servizi broadcast (Rai e Mediaset), in chiaro e a pagamento, mentre la pay-tv nel suo complesso cresce invece di oltre il 4 per cento per l’esplosione dei servizi in streaming di subscription video on demand (lo Svod di Netflix e soci). In questo modo vengono compensate pienamente le perdite degli abbonati satellitari di Sky, dovute soprattutto all’annullamento degli eventi sportivi e del calcio in particolare, e allo switch verso la fibra di una quota degli stessi abbonati.
Ne discende che la pay-tv rafforza la sua supremazia, come principale risorsa del sistema televisivo, staccando sempre più la pubblicità. La tendenza manifestatasi nel 2020 pare dunque destinata a consolidarsi e probabilmente ad accelerare, dal momento che il Covid-19 ha non solo incoraggiato le persone ad aumentare l’uso dei contenuti d’intrattenimento domestico online, ma, cosa ancor più rilevante, ha anche allargato sensibilmente la platea dei consumatori, coinvolgendo una parte della popolazione fin qui meno incline all’uso delle tecnologie più evolute. Una volta conquistati questi spettatori, è chiaro che non si tornerà più indietro.
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Lorenzo
In Europa la tendenza era chiara da un bel po’ (satellite e cavo). In Italia abbiamo avuto il presidente bicefalo (di una media company e del Governo) che ha privilegiato il privato con i soldi del pubblico.