A giugno 2020 il Piano Colao inseriva “parità di genere e inclusione” fra i tre assi fondamentali per il rilancio del paese. Poco più di sei mesi dopo, la bozza del Pnrr ha già dimenticato quella lezione. E calano i fondi per superare la diseguaglianza.

Task force e parità di genere

La bassa occupazione delle donne, la loro discriminazione sul lavoro e la normalità con cui ci si aspetta che svolgano lavoro di cura non retribuito, supplendo alle carenze del welfare, costituiscono un problema strutturale del nostro paese, la pandemia lo ha solo esasperato.

Negli ultimi mesi sono stati diffusi moltissimi dati a dimostrazione che non solo il tasso di occupazione femminile in Italia era – ed è – tra i più bassi d’Europa (una media del 50,1 per cento con disparità regionali che vanno dal 60,4 per cento della Lombardia al 29,8 per cento della Sicilia), ma che le cose stanno anche peggiorando. Durante la pandemia, le donne sono state più impegnate degli uomini nel lavoro, dovendo garantire servizi essenziali in settori a forte vocazione femminile: scuola, sanità, pubblica amministrazione, grande distribuzione. Ma con la chiusura delle scuole, hanno dovuto anche assistere i figli impegnati nella didattica a distanza, con un livello di stress elevatissimo per quasi 3 milioni di lavoratrici con un figlio a carico con meno di 15 anni (30 per cento delle occupate). Risultato? L’Istat rileva che nel terzo trimestre tra le donne è maggiore sia il calo del tasso di occupazione (-1,5 punti in confronto a -1,2 punti per gli uomini), sia la crescita del tasso di disoccupazione (+1,3 e +0,7 punti, rispettivamente) e di quello di inattività (+0,9 e +0,7 punti).

Tutto ciò è il motivo che spinse un gruppo di donne a chiedere a gran voce l’equilibrio di genere nella composizione della task force Colao, annunciata il 12 aprile 2020. Si trattava di un gruppo di lavoro a cui era affidato il compito – importantissimo – di ripensare il paese nel post pandemia. Doveva perciò poter rappresentare una opportunità anche per quella metà del paese che stava soffrendo insieme agli uomini, e forse più degli uomini.

Ci volle un mese, ma alla fine, il 4 maggio 2020 il presidente del Consiglio annunciò l’ingresso effettivo di ben undici esperte di grande qualità nella task force Colao e nel Comitato tecnico scientifico. Seguirono due fatti importanti: in Italia, l’ingresso di più donne nella task force contribuì a indicare la parità di genere tra i tre assi del Piano Colao “Iniziative per il rilancio Italia 2020-2022”; in Europa, Alexandra Geese, eurodeputata dei Verdi e responsabile del Gender Budgeting presso la Commissione bilancio del Parlamento europeo, lanciò “Half of It”, la petizione per chiedere che la metà dei fondi del Next Generation EU fosse dedicata alle donne. Il 23 gennaio è poi arrivata la notizia che la parità di genere è uno dei i criteri con cui la Commissione europea giudicherà i piani nazionali Next Generation EU: prima di entrare nel merito delle singole misure, i piani dovranno chiarire quali siano le fragilità principali in termini di parità a livello nazionale, come la crisi le abbia aggravate e con quali strumenti intendano affrontare il problema in ognuno dei capitoli d’investimento.

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Piano Colao, una lezione già archiviata

In Italia, forse anche per un atavico pregiudizio secondo cui la parità di genere è una “orrenda menata” (come candidamente ha scritto il direttore di una rivista specializzata), la prima bozza del Pnrr – il Piano nazionale di ripresa e resilienza – dedicava alla parità di genere solo 4,52 miliardi di euro su ben 209 messi a disposizione dalla Unione europea, come scritto su lavoce il 21 dicembre da Daniela Del Boca. Tutto da rifare? Ci sono volute diverse pressioni e reazioni per arrivare a una versione decisamente migliorata in quanto a risorse dedicate, ma probabilmente insufficiente per aggredire in maniera sistemica il grande problema della disuguaglianza di genere nel nostro paese, su cui il Piano Colao aveva acceso un faro.

Una prima importante differenza è proprio nella impostazione. Il Piano Colao inseriva “parità di genere e inclusione” fra i tre assi di rafforzamento del paese, insieme a “digitalizzazione e innovazione” e a “rivoluzione verde”, per ridurre quello che nel documento viene definito un “ritardo inaccettabile”. Nel Pnrr, invece, i tre assi di rilancio sono: “digitalizzazione innovazione”, “transizione ecologica” e “inclusione sociale”. La parità di genere torna come priorità trasversale, insieme a giovani e Sud. Un fatto importante, ma certo non quanto indicarla fra le tre priorità assolute del paese. Il rischio molto concreto è di perdere non solo attenzione sul tema, ma soprattutto i soldi. La trasversalità, infatti, espressa così è un concetto generico che non comporta un impegno in termini di coperture finanziarie sulla disuguaglianza di genere. Non a caso, conti alla mano, Fiorella Kostoris sul Sole 24 Ore ha parlato di “scomparsa” della parità di genere riferita al tema della occupazione delle donne nella stesura del Pnrr del 12 gennaio.

Una seconda differenza sta nella quantità e nella qualità dei progetti. Il Piano Colao, per ogni capitolo, definisce progettualità precise, descritte in schede che delineano contesto, azioni specifiche, logiche e fonti di funding, tempistiche. Quelle sulla parità di genere sono: stereotipi di genere, sostegno dell’occupazione femminile (due schede), valutazione d’impatto di genere, conciliazione dei tempi di vita e sostegno alla genitorialità (quattro schede), interventi per le donne vittime di violenza (due schede), fondo di contrasto alla povertà minorile, Child guarantee, dote educativa, orientamento ai giovani.

Nel Pnrr, complice il criterio della trasversalità, i progetti vanno ricercati nelle varie componenti di missione (nidi e scuola dell’infanzia, ad esempio, sono in “Istruzione e ricerca”), ma una volta trovati non offrono uno sguardo complessivo sul tema e nemmeno la copertura. Un esempio su tutti i 3,6 miliardi allocati sugli asili nido, che molti esperti di economia di genere considerano insufficienti (su questo si veda l’articolo di Francesco Figari e Maria Cristina Rossi).

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All’occupazione femminile il Piano Colao dedica specificatamente due schede: una sul tema occupazionale, con riferimenti precisi a congedi parentali e di paternità (15 giorni), e ai settori dell’assistenza sociale, sanità e servizi educativi per la prima infanzia, ad alta intensità femminile; e una scheda sull’empowerment delle donne con riferimento invece alla loro carriera, ivi incluse le quote di genere, estese anche nella Pa, nelle istituzioni, enti pubblici (locali, regionali, nazionali, governativi), nei partiti negli organi apicali e consultivi ove si adottano sistemi di cooptazione (task force, commissioni – anche di natura temporanea), e la parità salariale. Al di là dei 400 milioni di euro confermati alla imprenditoria femminile, il Pnrr parla genericamente di nuove assunzioni di donne e giovani.

Infine, la definizione di indicatori di misurazione. Il Piano Colao introduce il concetto di valutazione di impatto di genere. Alla Vig (valutazione impatto di genere) dedica una scheda in cui si fa riferimento alle linee guida del Gender Impact Assessment dello European Institute for Gender Equality.

Il Pnrr parla più genericamente di misurazione degli impatti con riferimento agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu (qui). Tuttavia, proprio il criterio della trasversalità imporrebbe la valutazione di impatto di genere, a priori e a posteriori, per ogni missione. Soprattutto oggi che le Ue ha chiarito l’importanza del gender mainstreaming e il fatto che per realizzarlo servono progetti misurabili.

Mentre scriviamo, complice anche la crisi di governo che proprio sul Recovery Fund ha trovato il suo scoglio più grande, continua il confronto per migliorare la bozza del Pnrr. Da più parti sono state indicate le cose da fare e tra queste vorremmo aggiungere che – almeno sulla parità di genere – sarebbe utile ripartire da quanto scritto nel Piano Colao e dalla visione sistemica che proponeva, magari parlando con le donne di quella task force, peraltro formalmente ancora in vita. Darebbe un senso al lungo lavoro di tante persone e a chi a quel gruppo ha guardato anche con la speranza che la lezione sulla rappresentanza fosse stata compresa.

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