Istituire il ministero della Transizione ecologica è una buona idea. Ma chiarire struttura e competenze del nuovo dicastero non è l’unico problema. Perché il concetto stesso di transizione ecologica non è semplice da definire. Tante le sfide.
Cosa sarà il ministero della Transizione ecologica?
Tra le questioni aperte dopo la formazione del governo Draghi, quella sul ministero della Transizione ecologica appare particolarmente rilevante, non foss’altro perché parte dei fondi del Recovery and Resilience Facility e della sua traduzione nel nostrano Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) verranno gestiti attraverso questo dicastero. Qualcuno l’ha definito uno “scalpo” grillino, cioè il prezzo da pagare per il necessario sostegno a una maggioranza che altrimenti non ci sarebbe stata. In realtà, si tratta di una buona idea, che però avremmo dovuto realizzare dieci anni fa. Ora, uno dei rischi è dato dalle difficoltà di istituire un perimetro coerente nel ritagliare competenze prese da ministeri diversi.
È per fortuna presto tramontata l’ipotesi infausta secondo cui il ministero della Transizione ecologica sarebbe nato dalla fusione di tre ministeri: Sviluppo economico, Ambiente e tutela del territorio e del mare, Infrastrutture e trasporti. Sarebbe stata una scelta infausta perché avrebbe creato un ministero monstre totalmente ingestibile, con oltre 10 mila dipendenti.
Schivato il pericolo, resta da capire con esattezza quali parti dei diversi ministeri verranno accorpate per formare il nuovo.
Due punti chiave
Quello di una transizione ecologica è da tempo un concetto fondamentale per i movimenti ambientalisti di tutto il mondo. In genere, si afferma che la transizione ecologica comporta la trasformazione del sistema produttivo in un modello più sostenibile (definizione impalpabile) che renda meno dannosi per l’ambiente la produzione di energia, la produzione industriale e, in generale, lo stile di vita delle persone.
Volendo essere più coerenti e chiari, nella transizione ecologica bisognerebbe orientare tutte le politiche verso un obiettivo di sostenibilità che deve essere nazionale, ma in un contesto globale. Devono cioè essere rapidamente ridotte le emissioni di gas climalteranti, a partire dall’anidride carbonica. Ma la riduzione deve a) essere letta in un contesto globale; b) essere meglio qualificata per capire dove possiamo agire.
Il grafico 1 riporta l’identità di Kaya. In sintesi estrema, esprime questo concetto: l’incremento delle emissioni dipende dall’incremento del reddito pro-capite e della popolazione, mentre all’abbassamento delle emissioni contribuiscono l’aumento dell’efficienza energetica e la riduzione del contenuto di carbonio per unità di energia.
Il problema sta tutto qui: il reddito pro-capite è cresciuto moltissimo a livello planetario (+250 per cento in 60 anni) così come è cresciuta la popolazione mondiale (+150 per cento), ma non si può dire altrettanto per quelle variabili che avrebbero dovuto giocare un ruolo nella riduzione delle emissioni globali, ovvero l’aumento dell’efficienza energetica e la decarbonizzazione dell’offerta di energia.
Il ministero della Transizione ecologica dovrà lavorare esattamente su questi due punti a livello nazionale e internazionale. E forse non è un caso che sia stato chiamato a guidarlo uno scienziato esperto di nuove tecnologie. Gli incrementi di efficienza energetica si ottengono solo attraverso lo sviluppo prototipale e con l’adozione di nuove tecnologie a tutti i livelli: di singolo impianto industriale e negli usi finali. La decarbonizzazione è figlia del cambiamento di mix dell’offerta/domanda di energia. Più gas naturale e meno carbone nell’ambito dei fossili; più rinnovabili e meno fossili in generale.
Esistono naturalmente correnti minoritarie di pensiero che sostengono che il risultato della riduzione della CO2 in ottica Kaya andrebbe realizzato soprattutto mediante una ridotta crescita economica (la decrescita felice) e un maggior controllo delle dinamiche di crescita della popolazione (nei paesi in via di sviluppo, perché alle nostre latitudini il problema è casomai opposto).
La transizione energetica
La transizione ecologica implica anche una transizione energetica, la cui definizione è meno sfuggente della prima. La storia dell’uomo è costruita sulle transizioni energetiche.
Oltre 1 milione di anni fa, abbiamo cominciato a controllare il fuoco. Fu una scoperta esclusivamente umana, preclusa ad altri esseri viventi, un momento centrale che rivoluzionò l’esistenza dell’uomo sulla terra. Senza la padronanza del fuoco l’evoluzione umana non sarebbe stata quella che conosciamo. Il fuoco ha fornito l’innesco decisivo, l’ha accelerata, plasmata. Con il fuoco l’uomo ha iniziato a mangiare cibi più sani perché cotti, a scaldarsi contro il freddo. La produttività è aumentata vertiginosamente.
In tempi molto più recenti, la prima rivoluzione industriale inglese è stata essenzialmente una transizione energetica. I canali che trasportavano merci e persone nel Regno Unito di allora sono stati rapidamente sostituiti da ferrovie e locomotive a carbone, a riprova del fatto che, per una transizione, ci vogliono diverse componenti: una fonte di energia “nuova”, una tecnologia altrettanto nuova e, come risultato, un enorme incremento di produttività con il relativo benessere generalizzato.
In questo momento storico è difficile capire come potrà avvenire la nostra transizione. Non abbiamo una fonte “nuova” e non si vede una tecnologia che potrà affermarsi grazie alla nuova fonte, come invece è stato nei casi di carbone-vapore-locomotiva e, più tardi, di petrolio-mobilità-motore a scoppio.
Vaclav Smil, scienziato e analista politico, ricorda che le transizioni energetiche sono avvenute sempre in tempi molto lunghi. A sostegno porta un esempio semplice ed eloquente. Il primo trattore è stato introdotto alla fine dell’Ottocento, ma tra gli agricoltori americani non si è diffuso in maniera significativa fino agli anni Sessanta del Novecento, per via di una certa inerzia nell’uso dei cavalli. E dunque non bisogna stupirsi se, dopo un infinito dibattito, la quota di fonti fossili sul totale dell’offerta mondiale di energia è passata dal 93,7 per cento del 1965 all’84,3 per cento nel 2020, solo meno di 10 punti percentuali in oltre mezzo secolo.
Il nuovo ministero ha davanti a sé un compito certamente difficile, il suo ministro saprà cogliere la sfida? Lo speriamo, per lui e per tutti noi.
Figura 1
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Pier Luigi Caffese
1-Possiamo produrre 3.000 TWh in pompaggi per 45 miliardi in 20 Regioni
2.Il gas importato fossile non serve piu’ a bilanciare solare e vento e tanto meno nell’inutile conversione carbone-gas che ha una efficienza molto bassa dato che si usano le centrali gas per periodi brevi
3.la commissione europea sta varando lo standard 250 gr.CO2 x KWh e abolendo il vecchio 550 gr che volle Eni-Scaroni ma le centrali gas per studi Stanford sono oltre 550 gr e vicini ai 900 gr.(relazione Jacbson Stanford).
4.Lanza dimentica ed è gravissimo per uno che ha studiato a London-Royal Chemical il passaggio da 1040 TWh a 100 miliardi di m.3 di R.gas o metano sintetico da elettrico via power to gas
5.Lanza dimentica che l’idrogeno verde da pompaggi costa 0,50-1,50 euro kg idrogeno che è la meta’ del grigio e blu
6.Eni prima ha proposto H2 blu ma noi tutti abbiamo avvisato dei rischi e dei test disastrosi per cui ho letto che Eni tramite MIT ora abbandona il progetto H2 blu e va un progetto su acqua mai testato e insicuro
7.Oggi abbiamo ripreso gravemente Besseghini-Presidente di Arera sul capacity market gas,pratica monopolistica aiuto di Stato che va conclusa come dice EU-27 perche’ da transitoria diventa permanente e contrasta fondi PHS
Ncolo Piro
L’ ecologia non è un lusso. Deve essere al servizio della natura, dell’ uomo e dell’ Architettura
Il tema dell’ecologia è diventato un termine comune e onnipresente che accompagna tutto nel settore delle costruzioni edilizie e non solo. Le etichette corrispondenti sono attaccate su ogni divano, su ogni stufa a gas, a gasolio ed elettrica, nonché sulla maggior parte dei materiali da costruzione che si possono trovare nei cantieri di tutto il mondo. Nulla è mai stato più ecologico di quanto lo sia oggi.
Quando l’edilizia ecologica ebbe il suo modesto inizio in Germania negli anni ’70, erano ancora pochi ad occuparsi di questa tematica che ha rivoluziato la società del mondo industrializzato o in via di industrializzazione. I risultati conseguiti di conseguenza, con poche eccezioni. sono stati eccezionali, donde poter incastonare l’ uomo moderno in quel costrutto che dalla rivoluzione industria, altreverso la rivoluzione postindusstriale con le sue recessioni, conduce alle rivoluzioni telematica, ecologica e digitale. Oggi l’ecologia è standard. Ma solo se prendi sul serio tutto ciò che la pubblicità ti dice, credendo nell’etichetta.
Sì, in realtà usiamo meno energia nella costruzione dei nostri edifici e ora si deve costringere la politica ad ancorare i parametri energetici in leggi e recolamenti Siamo vicini a credere che il riscaldamento per condensazione raggiunga più del 100 percento di efficienza paragonabile ad una macchina a moto perpetuo.
Questa è in Italia l’occasione per dare un scossa alla politica, isolare i suoi mistificatori, sensibilizzare le Istituzioni e cercare nell’ innovazione il futuro dell’ umanità. Emanare leggi sempre più severe sul risparmio energetico serio e fondato sui sani principi della Fisica Tenica deve essere percepito come un imperativo categorico.
Cosa significa tutto questo? Vale la pena ascoltare qualcuno che dell’ ecologia ha fatto il suo credo, e guardando oltre l’ orlo del piatto percepire come imposante si erge la figura di Matthias Horx, un pubblicista e consulente aziendale della Germania nella si definisce un “ricercatore di tendenze e futuro”. Con il suo (it.: IstitutoFuturo) con sede nella metropoli bancaria di Francoforte, Horx definisce in modo piuttosto immodesto la neoecologia un megatrend.
Noi italiani ci siamo occupati poco del termine “mega”, conosciamo la parola più dalla linguaggio dei giovani che dal messaggio della cultura . Non corriamo neanche dietro al termine “trend”. L’architettura non è mai stata “trendy”. »Megatrend Neo-Ecology«? No grazie! Niente è più sostenibile dell’architettura che dura almeno 50 anni, per edificio. Chi costruisce cose più stabili dell’ ingegnere e dell’ architetto?
Ma prima di volgersi ad altro, vale la pena capire cosa intende Matthias Horx per “mega” e “trend”, “neo” ed “ecologia”. »Il megatrend neo-ecologia«, come scrive lo Zukunftsinstitut sul suo sito web, »descrive il principale processo di cambiamento sociale verso un’economia sostenibile ed efficiente sotto il profilo delle risorse.
Horx e il suo Zukunftinstitut pongono la questione di come possa funzionare la prosperità sostenibile. È sufficiente utilizzare solo quanto può essere ricrescito. Il termine sostenibilità non significa nient’altro. Questo obiettivo è sufficientemente chiaro? La domanda è legittima. l’architetto americano William McDonough sostiene: Non basta andare più lenti nella direzione sbagliata, è necessario voltarsi per prendere la direzione giusta. Lars Krückeberg, fondatore dello studio di architettura GRAFT, riprende questa formulazione e chiede che le idee progettuali siano intese come parte di un grande ciclo e che si impieghino solo materiali riciclabili che funzionano in cicli.
William McDonough, insieme al chimico tedesco Michael Braungart, ha sviluppato l’idea di eco-efficacia come concetto di economia circolare. Nel loro libro “Cradle to Cradle” (C2C, From the Cradle to the Cradle) Braungart e McDonough invitano allo sviluppo di prodotti che possano essere mantenuti continuamente in cicli tecnici. Matthias Horx riassume questa difficile descrizione con lo slogan »Urban Mining«. Quindi la neoecologia è eco-efficacia alias Cradle to Cradle alias Urban Mining? Qualcosa del genere.
Dobbiamo fare i conti con il pensiero che non è sufficiente “solo” operare in modo sostenibile. Dobbiamo chiederci se possiamo davvero riuscire a consumare solo ciò che lasciamo ricrescere. Sebbene noi europei possiamo sicuramente considerarci come eco-campioni, sarebbe fatale se ci riposassimo sugli allori. Neanche l’ecologia può essere considerata nazionale o continentale. L’ecologia, indipendentemente dal fatto che sia “neo” o meno, può funzionare solo in tutto il mondo.
Con il suo sviluppo industriale, risultato di didattica, ricerca e innovazione, spesso abbiamo letto, la Germania essere campionie di esportazione nel mondo, recentemente superata dalla Cina, ma anche come esportatrice di cultura ed è sulla via, anche in clima di COVID-19, ripresendersi la leadership in termini ecologicia e sviluppare tecnologie che creino prodotti per l’edilizia che non vengono semplicemente utilizzati o consumati, ma che le generazioni future vedranno come materie prime. Se noi architetti progettiamo e costruiamo, presente deve essere allora il fermo proposito di sostenere l’idea di eco-efficacia con la stessa passione con cui difendiamo i nostri progetti architettonici. La domanda di estrazione mineraria urbana dovrebbe essere presa alla lettera. In futuro, non ci sarà più permesso di demolire i nostri edifici per riempire le discariche con gli avanzi; invece, venderemo i nostri vecchi edifici all’industria come riciclabili.
Questa non è finzione, è già processo consolidato in molti Paesi della Mittel- e Nordeuropa, ad eccezione die Paesi del Sudeuropa, Italia in prima linea, Molti produttori di materiali da costruzione compositi hanno riorganizzato i loro processi industriali in modo che i singoli componenti possano essere facilmente separati l’uno dall’altro. Useremo sempre più materiali da costruzione omogenei su tutto il loro spessore. Che sono onesti nella loro identità materica e, come i mattoni e le pietre arenaria calcarea, non richiedono alcuna trattamento speciale della loro superficie, mentre le installazioni saranno posate (e centralizzate) liberamente in appositi canali eseguiti in muratura dello spessore sottile o in altri materiali, agevovolmente separate e, soprattutto ispezionabili.
E, allora, riciclaggio, industrializzazione e prefabbricazione come fattori di una economia circolare a conferma d’ aver capito i cambiamenti climatici e le trasformazioni demografiche in atto, ma anche comunicare alle generazioni di domani il messaggio che qualcosa è stata prodotta o lavorata in modo ecologico e in armonia con la natura.
Paolo Sbattella
Aver creato un Ministero della Transizione ecologica e’ un fatto di grande rilievo per l’Italia. Si e’ nella convinzione di essere in buone mani nella persona del Prof. Roberto Cingolani, fisico e con incarichi prestigiosi sia all’ IIT che in Leonardo. L’Italia deve accelerare sia sul piano ecologico che verso una transizione energetica che offrono la possibilita’ di un cambiamento del nostro modello di sviluppo verso orizzonti di sostenibilita’ ambientale. Le possibilita’ offerte inoltre dalle energie rinnovabili e dall’idrogeno sono enormi, ancora da esplorare. Orientare saggiamente lo sviluppo verso nuovi percorsi sfruttando le tecnologie emergenti avra’ riflessi positivi sulla crescita economica e sull’occupazione. Occorre avere fiducia in un futuro migliore e nelle risorse tecnologiche ed umane della nostra nazione.
Gianluca Magnante
Questa conseapevolezza, non presente durante le altre transizioni, dovrebbe consentire un’accelerazione alla trasformazione, con la speranza che nel giro di 20/30 anni ci sia una radicale inversione di tendenza.
Michele
Serve una transizione ecologica, non si hanno leve per gestire l’aumento della popolazione, non esistono “carburanti” alternativi a quelli in uso (petrolio, metano, e derivati). E allora? Semplicemente il ministero è inutile. Le energie alternative in Italia sono già usate dove è possibile (in primis l’idro elettrico) da noi non si produce petrolio e lo si raffina pochissimo, quindi non dobbiamo cambiare la ns industria, dobbiamo solo cambiare il modo in cui la gente si sposta (la grande parte delle emissioni derivano dai trasporti di cose e persone). Quindi non capisco cosa debba fare questo ministro ed il reltivo ministero visto che non ha competenze sui trasporti.