Gli interventi nelle infrastrutture finanziati dal Recovery Fund richiedono una revisione della cornice giuridica per gli appalti pubblici. Le strategie che si possono seguire sono almeno tre. La più adatta riprende il percorso della semplificazione.
Le infrastrutture nel Recovery Fund
Per l’economia italiana, impoverita dalla recessione, e per la società tutta, le risorse che l’Unione europea metterà a disposizione costituiscono un’occasione storica, che sarebbe imperdonabile sciupare.
Secondo gli orientamenti indicati dalla Commissione, una parte consistente di quelle risorse dovrà essere destinata alla realizzazione di infrastrutture materiali, di cui l’Italia ha bisogno, perché è arretrata nel confronto con i principali partner europei: reti ferroviarie ad alta velocità, autostrade, interventi sulla rete portuale. Lo è soprattutto in alcune aree del paese, segnatamente nel Mezzogiorno e nelle Isole, dove la spesa per opere pubbliche si è ridotta drasticamente.
Gli interventi predisposti dal precedente esecutivo non sono risultati adeguati sotto più d’un profilo. Da più parti sono venute osservazioni e proposte, di cui il nuovo governo può utilmente avvalersi.
Vi è, però, un serio rischio cui è esposta la realizzazione delle infrastrutture materiali. Il rischio è che la complessità della normativa riguardante gli appalti pubblici ritardi l’approvazione delle opere e la loro esecuzione, produca un ulteriore contenzioso, impedisca di rispettare le tabelle di marcia concordate con le istituzioni europee. È un tema di grande rilievo, giuridico e politico. Disporre di una cornice giuridica acconcia dei rapporti di produzione e distributivi è essenziale per un’economia di mercato capitalistica. È indispensabile per assicurare un ragionevole livello di certezza del diritto e con essa dei diritti contrattuali.
Tre orientamenti per riformare la disciplina degli appalti pubblici
Tra quanti a vario titolo – studiosi, dirigenti, avvocati, magistrati – si occupano di appalti pubblici, sono emerse varie posizioni. Schematizzando, possono essere riunite in tre orientamenti.
Chi ritiene che, per far ripartire gli appalti, non sia sufficiente modificare singole disposizioni o parti del Codice dei contratti pubblici approvato nel 2016 propone che sia abrogato e riscritto per intero. Questa soluzione ha il pregio della semplicità, ma pone almeno due problemi. Il primo riguarda le regole dell’Ue, che vanno rispettate appieno. L’ipotesi che viene prospettata consiste nel fare riferimento unicamente alle direttive dell’Unione, facendo a meno delle numerose ulteriori regole stabilite dal Codice.
Il secondo problema concerne la sorte delle altre regole, come le centinaia di disposizioni contenute nel regolamento applicativo predisposto lo scorso anno e le linee guida esternate dall’Anac. Coerentemente con quanto appena osservato, se ne dovrebbe impedire l’entrata in vigore. Si può inoltre ipotizzare che sia un’apposita disposizione di legge a prescrivere la disapplicazione di regolamenti, istruzioni e altri atti, anche dell’Anac.
Chi – in sede politica – reputa che si possa fare a meno di una cornice giuridica unitaria si spinge ben oltre, propugnando l’estensione su vasta scala delle soluzioni utilizzate per la ricostruzione del ponte di Genova. Ma non sembra rendersi conto delle peculiarità di quella vicenda: vi era un consenso pressoché unanime sull’opera da realizzare, la provvista finanziaria era assicurata da un soggetto privato onerato da norme eccezionali, il ricorso a un diritto “singolare” era giustificato da un’indiscutibile emergenza. Una generalizzazione di questa soluzione è quindi da scartare.
Chi, infine, ritiene che il legislatore non possa esimersi dal riconoscere norme di condotta, dal ricercare meccanismi efficaci per il loro enforcement, onde evitare ritardi e distorsioni, auspica che il nuovo governo riprenda il percorso della semplificazione, intrapreso l’anno scorso con inspiegabili deviazioni e contraddizioni. Ciò richiede un saldo consenso politico e l’accordo su alcuni riferimenti operativi e semplificanti, volti in particolare a restituire margini di discrezionalità alle stazioni appaltanti.
Questa soluzione è comparativamente di gran lunga preferibile rispetto alla precedente. Ma, per essere efficace, va accompagnata da almeno tre accorgimenti. Vanno rimossi gli ostacoli frapposti dall’intreccio delle competenze, se del caso con una ben precisa revisione costituzionale. Bisogna ridurre i vincoli derivanti dall’eccesso di norme di legge: a tal fine, una nuova disciplina legislativa, da approvare in tempi stretti – com’è consentito dalla nostra Costituzione – può delegare al governo l’emanazione di regolamenti di delegificazione, con il vantaggio di evitare ulteriori, successivi interventi legislativi. Occorre richiedere una revisione, per dir così, a regime della disciplina riguardante i ricorsi al giudice amministrativo.
È un tema importante in sé, sul quale non vi è consenso tra i giuristi, che richiede ulteriori analisi.
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Savino
Cambiare, ringiovanendo, la dirigenza e non favorire corruzione a abusi d’ufficio con gli allentamenti dell’obbligo di firma, bisogna recarsi davanti ai magistrati se si commettono nefandezze.