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Più ispezioni e più mirate per ridurre gli incidenti sul lavoro

Qualsiasi campagna per ridurre gli incidenti sul lavoro non può prescindere dalla prevenzione e dal rafforzamento dell’attività ispettiva. Cinque anni dopo la sua istituzione è tempo di ripensare all’idea di un unico Ispettorato nazionale del lavoro, il cui fallimento era stato preannunciato.

Migliorare numero ed efficacia delle ispezioni

Il sindacato ha lanciato una campagna contro gli infortuni sul lavoro, una scelta che non si può che condividere. Purtroppo, in Italia gli incidenti mortali sul lavoro sono più numerosi che in altri paesi (circa 2,5 ogni 100 mila lavoratori per anno contro 1,9 in media nella Ue) e la differenza non si spiega con il rilevante peso del settore manifatturiero nella nostra struttura dell’occupazione. Rimane anche quando ci si concentra sul solo manifatturiero o sui servizi. Né si spiega col fatto che da noi, al contrario che in alcuni altri paesi, vengono contabilizzati anche gli incidenti nel transito da casa a lavoro.

Qualsiasi campagna efficace per abbassare il numero di incidenti sul lavoro non può che basarsi sulla prevenzione attraverso il rafforzamento dell’attività ispettiva. Per questo motivo è opportuno interrogarsi sull’efficacia dei controlli sulle norme di sicurezza e, più in generale, delle norme sul lavoro. C’è evidenza, infatti, che le condizioni di lavoro sono peggiori e gli infortuni più frequenti in aziende che operano nel settore informale. Inoltre, quando si ispeziona un’azienda anche con finalità diverse da quelle del controllo sulla sicurezza si ottiene un effetto deterrente complessivo sulla regolarità delle condizioni di lavoro.

Le informazioni desumibili dai rapporti annuali dell’Ispettorato nazionale del lavoro ci indicano che negli ultimi 10 anni c’è stato un costante calo del numero di ispettori che operano per le principali istituzioni che si occupano a vario titolo di vigilanza: complessivamente gli ispettori del ministero del Lavoro e dell’Inps sono diminuiti del 30 per cento dal 2010 al 2020 (da 5.500 a circa 4 mila). In altri paesi, il numero di ispettori per lavoratore è sensibilmente più alto anche se le statistiche non sono strettamente comparabili.

Di qui la pressante e legittima richiesta di aumentare il personale degli ispettorati. Sarebbe, però un grave errore non pensare anche a migliorare l’efficacia delle ispezioni indirizzandole verso le aziende dove è più facile riscontrare le irregolarità, e possibilmente porvi riparo.

L’ispettorato unico funziona?

A cinque anni dalla sua nascita, è possibile una prima valutazione dell’efficacia dei controlli condotti dall’Ispettorato nazionale del lavoro. Nelle intenzioni di chi l’ha proposto, avrebbe dovuto uniformare i poteri delle tre strutture competenti per le ispezioni, evitando che ministero del Lavoro, Inps e Inail si pestassero i piedi nei vari controlli, appesantendo la vita delle imprese soggette a ispezioni incrociate (per la verità un evento molto raro). Si è così deciso di portare tutti gli ispettori all’interno dell’Inl. A partire dalla sua istituzione, a Inps e Inail non è stato più consentito reclutare nuovo personale ispettivo.

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L’idea cardine dietro al progetto Inl era che fosse necessario creare un profilo di ispettore “tuttofare”, in grado di scovare sia il pagamento irregolare dei contributi sia le deficienze nella sicurezza degli impianti e nei contratti di lavoro. Si è ritenuto sbagliato mantenere la specializzazione dei corpi ispettivi nell’eseguire controlli specifici, andando in controtendenza rispetto a quanto accade negli altri paesi Ocse. Ad esempio, negli Stati Uniti OSHA (Occupational Safety and Health Administration) pianifica e conduce ispezioni per la sicurezza dei luoghi di lavoro, mentre a quelle per le frodi sul lavoro sovrintende OIG (Office of Inspector General) dell’US Department of Labor. Nel Regno Unito, l’Employment Agency Standards Inspectorate si occupa di ispezioni in materia di regolazione del lavoro, mentre l’HSE (Health and Safety Executive) si occupa di sicurezza e benessere dei lavoratori.

La figura 1 compara l’efficacia dei controlli condotti dall’Inl con quelli dell’Inps, che ha mantenuto un proprio corpo di ispettori (pur in esaurimento). Come si vede, si registra un calo di aziende ispezionate sia per Inps che per Inl: passano rispettivamente da poco meno di 90 mila nel 2010 a poco più di 15 mila nel 2019 e da circa 150 mila a 113 mila nel 2019, senza tenere conto del crollo durante la pandemia. Ma l’Inps ha di fatto quintuplicato nell’arco di 10 anni la sua efficacia in termini di recupero contributi. L’Inl, invece, ha ridotto sia il numero di ispezioni che la loro efficacia.

L’importanza dei dati

La ragione della maggiore efficacia dell’Inps risiede nelle banche dati di cui dispone. I controlli e le ispezioni sono da sempre il cuore della lotta all’evasione, ma senza le banche dati l’attività degli ispettori sarebbe molto meno efficace. Le informazioni contenute in banche dati amministrative sempre più sofisticate permettono oggi di costruire attraverso tecniche di statistical learning indici di rischio per le dichiarazioni dei contribuenti o di verificare la coerenza fra molte dichiarazioni effettuate dagli stessi contribuenti in tempi o per ragioni diverse. Le informazioni che derivano da queste analisi permettono agli ispettori di restringere fortemente la platea dei soggetti da visitare e di migliorare l’efficacia delle visite.

Un vantaggio di questo approccio è che si applica in modo continuativo all’universo di datori di lavoro solo sulla base delle informazioni raccolte dalle amministrazioni pubbliche. Inoltre, può essere utilizzato tanto nel contrasto dell’evasione contributiva quanto nell’antifrode, impedendo di corrispondere prestazioni che non soddisfino i requisiti previsti dalla legge.

La vigilanza attraverso le banche dati ha inoltre il pregio di permettere di intervenire prima del pagamento e a tappeto, su tutti anziché a posteriori e su un campione. Questo evita le laboriose e spesso inconcludenti azioni di recupero di contributi non versati o di prestazioni erogate, ma non dovute ed è molto più efficace anche come deterrente per comportamenti fraudolenti. Soprattutto può prevenire gli infortuni.

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È bene notare che le banche dati amministrative sono molto complesse. Perché vengano utilizzate in modo appropriato occorre conoscere a fondo le procedure dell’istituzione che raccoglie le informazioni nell’ambito delle proprie attività. Questo è un ulteriore ostacolo alla creazione di un unico corpo ispettivo con competenze diffuse e una ragione in più per mantenere una certa specializzazione in campo di vigilanza.

Un fallimento annunciato

Nell’audizione Inps del luglio 2015 si sottolineava come la struttura organizzativa della nuova agenzia fosse poco razionale, con l’affidamento all’Ispettorato nazionale del compito di guidare l’attività ispettiva del personale Inps e Inail definendo linee di condotta, direttive, programmazione e modalità di accertamento. Si noti bene che per sua natura tra le tre strutture, l’Ispettorato era quella priva di banche dati necessarie a svolgere il compito di coordinamento e programmazione della vigilanza nei rispettivi campi di azione. Inoltre, l’Ispettorato si sarebbe dovuto occupare anche della formazione. Ciò significa che gli ispettori dell’Inps avrebbero dovuto imparare il mestiere dei colleghi dell’Inail e del ministero, gli ispettori dell’Inail il mestiere dei colleghi del ministero e dell’Inps e gli ispettori del ministero il mestiere dei colleghi dell’Inps e dell’Inail. Un colossale rimescolamento di carte, con il personale dell’agenzia rimasto però a carico delle amministrazioni di provenienza, che continuavano a erogare i premi di risultato.

La struttura organizzativa bizantina dell’Ispettorato nazionale è stata giustificata come transitoria, propria di un ruolo “provvisorio, in esaurimento”. Ma è una transitorietà destinata a durare più di 30 anni, visto che presso l’Inps e l’Inail ci sono ispettori di 35 anni di età.

Dati gli insuccessi sin qui dell’Ispettorato e l’urgenza di ridurre gli incidenti sul lavoro in Italia, viene da chiedersi se non valga la pena di riconsiderare il progetto Inl, limitandosi a coordinare meglio gli ispettori di Inail, Inps e ministero del Lavoro, rispettandone le differenze e pianificandone l’azione di modo che le peculiari capacità di ognuno non intralcino il lavoro degli altri. Il primo passo dovrebbe essere quello di permettere a Inps e Inail di aumentare il proprio personale ispettivo, eliminando il precedente blocco delle assunzioni, e di superare ogni spezzettamento tra enti e amministrazioni centrali e locali del corpo ispettivo afferente ai tre tipi di controlli (sicurezza sul posto di lavoro, evasione contributiva e rispetto delle norme sul lavoro).

* Le opinioni espresse da Edoardo Di Porto sono esclusivamente personali e non coinvolgono l’istituzione per cui lavora.

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  1. G. Pierucci

    Buongiorno,
    concordo in toto e aggiungo che è ora di ribardirlo con forza e determinazione.

  2. luigi lama

    le considerazioni sull’importanza delle banche dati per programmare l’attività ispettiva sono del tutto condivisibili; il mancato rispetto delle norme per la tutela del lavoro spesso non riguarda solo un aspetto. Nell’articolo si prendono in considerazione INPS, INAIL e Ispettorato del lavoro. I limiti evidenziati della riforma sono aggravati dal fatto che sono attori dell’attività di prevenzione anche le ASL, in modo rilevante, e vigili del fuoco. La separazione delle informazioni e delle attività dal un lato mina l’efficienza, dall’altro talvolta esaspera gli imprenditori con ripetuti controlli non coordinati.

  3. Francesco

    Ma la sicurezza negli ambienti di lavoro è di competenza dei dipartimenti di prevenzione delle Asl di cui nell’articolo neppure si parla…
    INPS, INAIL e ministero del lavoro si occupano solo di questioni giuridiche ed economiche, non è dai loro ispettorati che dobbiamo aspettarci qualcosa sulla sicurezza negli ambienti di lavoro

  4. Marco La Colla

    Il bell’articolo di Tito Boeri è viziato dal fatto che ritenga poco influente il fatto che, diversamente dal resto d’Europa, da noi si conteggino come incidenti sul lavoro anche quelli in itinere, da e per casa. La differenza tra noi e gli altri paesi, se non dipende solo da ciò, interviene nell’aumentare il nostro dato. Se ciò avviene allo scopo di garantire un risarcimento alle famiglie, cosa sacrosanta, si separino almeno i due dati, e si confrontino col resto d’Europa quelli avvenuti sul posto di lavoro! Altrimenti continueremmo ad avere questo record negativo, che però non descrive la situazione reale. Aggiungo solo che se si vuole continuare a considerare sul lavoro anche quelli avvenuti durante i trasferimenti, aggiungiamo a quelli sul lavoro anche quelli sullo studio, cioè quelli che purtroppo capitano agli studenti che si recano a scuola!

  5. Filippo Ariani

    Per ridurre gli infortuni servono MENO ispezioni meglio pianificate.
    Il costo atteso delle sanzioni è due ordini di grandezza minore di quanto le aziende già spendono per la sicurezza. https://www.epicentro.iss.it/ebp/pdf/Tesi_Ariani.pdf
    Se oltretutto ciascun ispettore (ASL) privilegia un aspetto diverso dell’infinita barocca normativa, scompare ogni priorità.
    Diviene allora MOLTO più conveniente minimizzare le spese, tenere un basso profilo sperando che il controllo non arrivi, e nel caso pagare la sanzione.
    In queste condizioni, qls. aumento concretamente possibile delle ispezioni non può spostare utilmente l’equilibrio generale degli investimenti per la salute sul lavoro.
    Ma molti infortuni gravi si concentrano in una minoranza di aziende (ben conoscibili dalle ASL mediante i Flussi INAIL) ed occorre iniziare risanando QUELLE. Situazioni spesso difficili che richiedono interventi lunghi e approfonditi.
    E indagare NELL’IMMEDIATO gli infortuni lavorativi con fratture e prima prognosi da 30gg. Che poi raggiungono quasi sempre la procedibilità d’ufficio e soprattutto sono un “pilota automatico” per scovare le realtà a rischio non conosciute.
    Aumentare genericamente le ispezioni porta invece a disperdere le energie dove non servono. Le piccole realtà con pochi problemi divengono il bersaglio più utile per fare più sopralluoghi in meno tempo. Così come la spinta alla superficialità e al controllo di aspetti formali rapidi da accertare quanto spesso inutili per ridurre gli infortuni.

  6. Michele

    Alcune considerazioni da chi, come me, lavora nella sicurezza da oltre 20 anni:
    1-ma chi ha detto che più controlli equivalgono a più sicurezza? I sistemi di “comando e controllo” sono fallimentari, le aziende non vogliono gli infortuni e nessuno ha/può pensre di controllare in modo capillare tutto e tutti, anche considerando una normativa tecnica sconfinata
    2-siamo sicuri che gli ispettori sappiano fare quello che dicono? Ci vorrebbero persone assunte nel settore, con ventennale esperienza, invece gli ispettori sono in genere dei burocrati che non hanno alcuna esperienza pratica, non vogliono responsabilità e credono che punire equivalga ad educare
    3-la normativa va ridotta e semplificate, inoltre le norme UNI, che sono prescrittive, devono essere GRATIS.
    4-Gli enti ispettivi DEVONO esporsi e dare le soluzioni, uscire “dopo” e cercare i colpevoli non serve a nulla.
    5-gli ispettori NON vogliono andare nei cantieri, perchè è faticoso, devono esporsi, non vogliono “fare tardi”, quindi restano rintanati nei loro uffici a scrivere circolari. Questo non va bene e non li rende credibili
    6-Il sindacato deve decidere se vuole controllare, e quindi denunciare i lavoratori inadempienti, o continuare a limitarsi a puntare il dito, difendendo gli iscritti sempre e comunque.
    7-Gli infortuni in itinere sono tanti, ma sono molti anche quelli in agricoltura e andrebbero sempre indicati chiaramente nelle statistiche!

  7. Francesca Sansone

    La mia è una storia emblematica: dallo stress da lavoro legato alle condizioni lavorative anpiamente segnalate all’azienda fin dal 2016, alle istituzioni sanitarie, INAIL, Commissione multidisciplinare di valutazione dello stress lavoro correlato, fino al licenziamento il 18 maggio 2020.
    Patologie cardiache, oncologiche, metaboliche, neurologiche, psichiatriche ignorate da tutti, mentre le responsabilità aziendali sono state visibilmente coperte da tutti, doprattutto dai medici, insabbiate da INAIL che non potendo ignorare le prove presentate, ha sì riconosciuto la malattia professionale, il SOLO disturbo post traumatico da stress cronico, ma a partire da 36 giorni dopo il licenziamento, in modo da deresponsabilizzare chiunque: mi sono ammalata di lavoro, per una patologia “cronica” cioè sviluppata il un tempo lungo, ma a partire dal 26 giugno 2020: un ossimoro, dato che nulla di cronico insorge in una data certa.
    Solo parole, lacrime di coccodrillo e, probabilmente, corruzzione e/collusione che tutti conoscono e fanno finta di ignorare.

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