Province sotto accusa, in Italia e in Francia, in nome del rigore. Eppure negli ultimi anni in molti paesi ci sono state riforme verso assetti costituzionali più decentrati. Siamo sicuri che il numero di livelli di governo sia effettivamente associato a maggiore spesa pubblica, debito o deficit?
LA TENDENZA AL DECENTRAMENTO
Dopo la famigerata lettera della Bce che chiedeva la testa delle province italiane, arriva la raccomandazione dell’Ocse per la Francia a ridurre drasticamente il numero di comuni e a eliminare le province. Come riporta il Sole-24Ore, si tratta della “piaga storica del paese, quella della moltiplicazione dei livelli amministrativi territoriali (…) che vale per la Francia ma ha il sapore di un invito più generale (…)”. L’affermazione appare piuttosto apodittica. Ma siamo sicuri che il numero di livelli di governo sia effettivamente associato a maggiore spesa pubblica, debito o deficit? Forse no.
La struttura istituzionale di un paese, soprattutto per quanto riguarda i livelli di governo, si forma nel tempo e di pari passo con la sua evoluzione storico-politica nonché socio-economica. Negli ultimi decenni la maggior parte dei paesi avanzati ed emergenti ha avviato riforme nella direzione di assetti costituzionali maggiormente decentrati, ne sono esempi l’Italia e la Spagna tra i paesi avanzati, la Cina e l’India tra quelli emergenti. Le riforme, volte a decentrare competenze, autonomia e risorse verso i livelli inferiori di governo, sono motivate da una serie di circostanze: la globalizzazione, l’incremento delle differenze etniche tra regioni, l’aumento delle disparità economiche interne ai paesi, e altre ancora.
Al di là delle esigenze riscontrate nei vari paesi, gli studi teorici e alcuni lavori empirici sul federalismo fiscale sottolineano l’effetto positivo che una struttura di governo decentrata può avere sulla dinamica e, più precisamente, sul contenimento della spesa pubblica aggregata. In particolare, si ritiene che un maggior numero di unità governative, o livelli di governo, favorisca forme di competizione (fiscale) orizzontale (tra giurisdizioni) e verticale (tra governo centrale e sub-centrale) che possono dar luogo a una riduzione della spesa pubblica complessiva, anche nel tentativo di limitare l’azione dello Stato-Leviatano. (1)
FRAMMENTAZIONE VERTICALE E PERFORMANCE FISCALI
Di seguito si riportano alcune correlazioni tra il grado di frammentazione verticale del settore pubblico e i principali aggregati di finanza pubblica per venti paesi Ocse dal 1972 al 2007, in medie quinquennali. La variabile che cattura la frammentazione verticale è data dal rapporto tra il numero di governi sub-nazionali per abitante. (2) I paesi con valori più elevati dell’indice risultano gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia e ciò non stupisce perché sono i paesi più grandi e di tipo federale. Seguono l’Islanda (evidentemente per basso numero di abitanti che deprime il rapporto) e la Germania, altro paese federale. L’Italia si colloca a metà strada nei paesi europei, con livelli simili a quelli di Grecia e Spagna.
Nella figura 1 si riportano le correlazioni tra il numero di livelli di governo per abitante (sull’asse delle y), e, rispettivamente, il rapporto di spesa pubblica/Pil, il rapporto debito pubblico/Pil e il rapporto deficit /Pil. In tutti e tre i casi, il numero di livelli di governo per abitante è negativamente correlato con le variabili fiscali. Nel calcolare le correlazioni si è tenuto conto di alcuni fattori specifici: la circostanza di essere un paese federale, il tasso di differenza etnica, la dimensione del paese in termini di popolazione. Quella che emerge è una correlazione negativa tra il grado di frammentazione verticale e i tre aggregati di finanza pubblica.
Figura 1. Correlazione tra grado di frammentazione verticale e i) spesa pubblica/Pil, ii) debito/Pil, iii) deficit/Pil
Si potrebbe ritenere che i risultati dipendono dal fatto che ci sono alcuni paesi fuori misura (outlier) che sono quelli che nel grafico riportano i valori in alto (Australia, Canada, Islanda e Stati Uniti). La figura 2 mostra gli stessi grafici senza questi paesi: la situazione non cambia in modo significativo.
Figura 2. Correlazione tra i livelli di governo per abitante e i) rapporto di spesa pubblica su Pil, ii) rapporto debito pubblico su Pil, iii) rapporto deficit su Pil (senza i paesi outlier)
AUSTERITY MA CON “RIGORE”
Il clima da “caccia alle streghe” continua ad accanirsi contro ogni voce di spesa pubblica. Di recente, il fuoco si è concentrato sui livelli intermedi di governo, con poca considerazione delle ripercussioni sull’efficienza del sistema economico. Se bastasse ridurre i livelli di governo per bonificare le finanze pubbliche difficilmente si spiegherebbe il trend opposto osservabile nella maggior parte dei paesi negli ultimi anni. Oppure, in quei paesi, dovrebbero riscontrarsi tassi di crescita della spesa pubblica. Ma i dati non mostrano alcuna correlazione tra decentramento, spesa e debito.
Una serie di considerazioni di efficienza spingono per l’adozione di processi di decentramento: miglior allocazione delle risorse a livello locale (erogazione dei beni pubblici locali); maggiore accountability della classe politica; maggiore partecipazione democratica e civile. Non mancano studi che mettono in evidenza una serie di inefficienze dei sistemi decentrati: maggiore debolezza e preparazione della classe politica e amministrativa locale, corruzione, minore efficacia nell’attrarre investimenti diretti dall’estero in caso di istituzioni deboli.
Non si vuole qui negare l’opportunità o la possibilità di intervenire con riforme sull’articolazione territoriale del sistema di governo. Si vuole solamente sottolineare che la relazione tra il numero di livelli di governo, da un lato, e il contenimento della spesa pubblica e dell’indebitamento, dall’altro, non è così lineare come l’attuale impeto abolizionista sembra sottointendere.
(1) Il riferimento in particolare è alla tradizione della scuola public choice fondata da James Buchanan e Gordon Tullock.
(2) Per comparabilità tra i paesi sono considerati i primi due livelli di governo sub-nazionale, così ad esempio per l’Italia si sommano il numero di regioni e il numero di province.
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AM
Concordo con lAutore. Decentramento non significa affatto un automatico aumento della spesa pubblica. E’ semmai il decentramento all’italiana che porta a una lievitazione della spesa. Decentramento all’italiana cosa significa? Le amministrazioni locali decidono le spese e poi si trovano senza fondi per pagare le imprese fornitrici. Gli effetti possono essere gravissimi come la chiusura di ospedali, l’accumularsi di rifiuti nei centri urbani, le interruzioni stradali a seguito di eventi metereologici, ecc Diventa quindi indispensabile e urgente l’intervento dello Stato con un aggravio delle spese. In altri paesi evidentemente la situazione è diversa. Gli enti locali sono più responsabili o monitorati in modo più efficace.
Carla Perotti
ma noi siamo italiani!
le regioni si sono dimostrate solo un costo (vedi ruberie varie) forse meglio eliminare le regioni e tornare alle province ?
Arnaldo Mauri
Il ritorno alle province mi potrebbe andare bene. Ma il pericolo sarebbe allora la proliferazione delle province. E poi vorrei che tutte le province avessero lo stesso trattamento senza privilegi per alcune.
Diego Verusio
Posto che il sistema di governo perfetto non esiste, sono convinto che l’Italia abbia bisogno di una seria riforma in senso federale. Il problema delle province, nell’attuale sistema, è che sono una semplice ripetizione di livelli di governo (superiori o inferiori) senza un ruolo caratterizzato da specifici attribuzioni. Il ruolo di “direzione” può essere svolto dalle Regioni (come di fatto è) e le attribuzioni delle Province possono essere assunte dai Comuni (singolarmente o organizzati).
Ma il punto è che ci vorrebbe davvero una Camera delle Autonomie, in modo che le amministrazioni locali non siano semplici ripetizioni di schemi politici nazionali. Il Federalismo dovrebbe, alla lunga, “responsabilizzare” maggiormente anche gli amministratori locali, sperando che, nel tempo, questo porti al vero risparmio: il taglio delle inefficienze, di livelli di governo ridondanti, rimpalli di responsabilità, ecc…
Luigi Oliveri
Non è così. Si tratta di un’opinione apodittica, figlia di luoghi comuni. Le province, esattamente all’opposto, hanno competenze del tutto peculiari e riguardanti ambiti totalmente inconciliabili con i confini delle mura dei comuni: basti pensare alle politiche attive del lavoro, alla formazione professionale, alla programmazione e alla rete delle scuole superiori, ai trasporti e alle strade provinciali.
Giuseppe Scarrone
Il fatto che le funzioni provinciali siano attribuibili ai Comuni non regge ad una seria verifica. E’ purtroppo un luogo comune maturato nelle redazioni della stampa generalista con sedi a Roma e Milano, guarda caso le uniche due vere aree metropolitane italiane, dove Comune e Provincia andrebbero fusi in unico ente e dove già ora non è percebile la funzione dell’ente intermedio. Ma l’Italia è anche e soprattutto “provincia” per sua costituzione storica e sociale: i municipi romani e i liberi comuni medievali erano strutture “provinciali”, essenza tipica di una civiltà urbana diffusa. Che le Province servano lo dimostrano i disservizi creati dai tagli insensati, non compensabili dalle risorse di Comuni e Regioni.
Diego Verusio
In verità, le mie considerazioni sono frutto delle riforme (attuate o mancate) che hanno caratterizzato il nostro assetto governativo negli ultimi 30 anni. L’Italia, da sempre, è un amministrazione centralizzata. Né con le Bassanini, né con la riforma del titolo V della Costituzione si è riuscito a cambiare questo paradigma. Il motivo, come ho detto, è semplice: l’attribuzione di funzioni a livello locale, significa depotenziare il livello di controllo che i partiti (anch’essi organizzati in maniera fortemente accentrata) hanno sui loro propaggini locali. L’attribuzione di funzioni, non può prescindere anche da un’autonomia finanziaria (completa… quantificazione dei tributi e libertà di cassa e di spesa). Ovvio che se i partiti perdono la possibilità di gestire grosse entità di risorse pubbliche, dimezzano il loro controllo sulle realtà locali. Se poi si realizzasse la Camera delle Autonomia, si potrebbero avere fenomeni per cui, a prescindere dal livello di governo centrale (che ovviamente non può sparire), Regioni ed enti locali di colore diverso avrebbero una forte autonomia. Oltre al fatto che si potrebbe ampliare il fenomeno di governi locali a guida “civica” e non politica… e questo è tanto più vero, quanto più la realtà è piccola e gli amministratori vicini al corpo elettorale (in maniera effettiva o percepita).
Detto ciò, anche a livello empirico, basterebbe aprire un qualsiasi libro di diritto costituzionale o degli enti locali e vedere lo spazio riservato alle province. A parte poche funzioni di indirizzo e di regolamentazione le province non sono –per come le vede il nostro sistema legislativo- un centro di potere imprescindibile.
Né, sinceramente, posto il quadro istituzionale, può essere di alcun aiuto il fatto che le province abbiano una “funzione” o un retaggio storico. Non vedo come possa reggere il paragone tra comuni medievali/municipi romani e le attuali province, dal momento che la complessità (demografica, legislativa, comunicativa, urbanistica, ecc.) non è in alcun modo rapportabile nemmeno a quella dei più piccoli comuni d’Italia. In un tempo in cui una comunicazione da Roma Caput Mundi avrebbe raggiunto le province romane più distante anche con diversi mesi di ritardo… non è esattamente il panorama che abbiamo oggi.
Tra l’altro, l’Italia moderna, proprio per la sua peculiare conformazione, non lascia molto spazio a un livello di governo di tipo provinciale strutturato secondo l’attuale modello. I confini politici delle attuali province, non corrispondono ai confini dell’efficacia di governo intermedio. Quantomeno un riordino sarebbe doveroso.
Ma detto ciò, quali sono le funzioni provinciali che non possono essere svolte da una Conferenza di Servizi o da un Coordinamento (temporaneo o permanente) di Comuni? La provincia ha tra i suoi compiti solo funzioni di indirizzo e di coordinamento, oltre a poche funzioni che possono essere delegate dai livelli superiori oppure quelli che, in virtù del principio di sussidiarietà, non possono essere svolte efficacemente dai Comuni.
A ben vedere le funzioni di indirizzo possono essere tranquillamente svolte dalla Ragione in conferenza dei servizi con i Comuni. Quelli di coordinamento possono, altrettanto tranquillamente, essere svolte dai Comuni in maniera aggregata.
Tanto per fare un esempio concreto, il coordinamento scolastico è paradigmatico della ridondanza di un struttura fissa e pesante come quella provinciale. Alla fin, fine la provincia, nel caso in questione, non fa che aggregare le risultanze che vengono da scuole e assessorati dei comuni interessati e agire in conseguenza. Poi la decisione sulle classi, sui corsi e via dicendo esulano dalla sua competenza. In ultima analisi la provincia decide se è il caso che un istituto chiuda o meno in base alle necessità demografiche del territorio. Non vedo come questa funzione (che tra l’altro viene svolta in un arco temporale tutto sommato ristretto e non durante l’intero anno) non possa essere assunta da un coordinamento dei vari assessorati interessati dei Comuni.
Né regge l’accenno alle risorse di Comuni e Regioni. E’ ovvio che la soppressione delle Province corrisponderebbe a un riallocazione delle relative voci contabili.
Ma come detto nel mio post precedente, magari in maniera veloce, ho affermato che, affinché un decentramento amministrativo sia utile ed efficace, dovrebbe innanzitutto prevedere una seria riforma del federalismo fiscale che, da un lato permetta l’allocazione delle risorse li dove servono e, dall’altro responsabilizzino maggiormente gli amministratori degli enti locali, che risponderebbero in maniera più diretta nei confronti degli elettori/contribuenti.
Nel caso in cui ci fosse, poi, una riforma amministrativa profonda che riveda il ruolo delle Province, nulla toglie che queste potrebbero divenire un livello di governo utile. Stante l’attuale sistema legislativo, le province hanno un ruolo marginale e ridondante. Sinceramente, sono convinto che una riforma amministrativa seria sia imprescindibile (anche il ruolo delle prefetture, retaggio napoleonico, oggi non ha veramente più ragion d’essere). Tuttavia, se vi fosse un riordino puntuale e ponderato… delle Province non sentiremmo la mancanza.
Massimo Matteoli
Una delle peggiori conseguenze del vento di “antipolitica” che soffia nel paese è la delegittimazione dei livelli di governo decentrati ed intermedi.
La conseguenza pratica è un nuovo centralismo regionale e nazionale, ma è illusorio pensare che ciò sia positivo, anche solo per quello che riguarda il controllo dei costi o la moralità publica,.
La strada da percorrere è esattamente l’opposta ed è quella di favorire l’unione e l’aggregazione dei comuni su aree omogenee e dare a loro funzioni, poteri e, soprattutto, autonomia tributaria, così che chi spende non ricorra ai trasferimenti regionali o nazionali ma alle tasse che riscuote dai propri elettori
Statene certi, in questo modo diminuiranno anche le spese locali improduttive.
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Gregorio
non si possono fare paragoni tra stati e culture politiche così diversi. Gli stati che riescono a reggere bene a un decentramento degli organi di governo (e di spesa) sono, guarda caso, quegli stati che hanno ben interiorizzato meccanismi di libera concorrenza, associati a bassi livelli di corruzione politica e che hanno, più in generale, un senso dello stato e delle istituzioni molto forte. Noi siamo in Italia. Pensare che un assetto di governo e di spesa possa automaticamente generare dei comportamenti virtuosi è pura illusione. A mio parere, prima di decentrare, uno stato come l’Italia dovrebbe vivere un periodo di centralizzazione della spesa e di razionalizzazione dei costi. Parlare di federalismo facendo finta di vivere in un altro paese, non è serio e soprattutto non funziona.
Renato Foresto
abc
Renato Foresto
L’ intervento del prof. Filippetti mi ha spinto a dare un’ occhiata ai bilanci consuntivi 2011 delle 12 Amministrazioni lombarde e centrato sulla voce di spesa ordinaria della Funzione n° 1 ( Amministrazione generale ), quella che caratterizza il ” costo della politica “. Questo costo andrebbe rettificato da una analisi meno grossolana dei dati nudi e crudi ma é pur sempre un costo pagato dai cittadini. Ne do la sequenza in € / abitante partendo dalla provincia con la spesa più moderata : Pavia la cui spesa della Funzione 1 risulta di 24 € per abitante ( con spesa del Personale di 10 ). Seguono : Mantova 27 (14 ); Sondrio 29 ( 15 ); Bergamo 39 ( 9 ); Brescia 32 (10 ); Lecco 32 ( 11 ); Lodi 34 ( 15 ); Varese 36 ( 7 ); Cremona 37 ( 20 ); Como 43 ( 16 ); Monza 51 (9); e la più costosa Milano 51 ( 13 ). Considerando che in Lombardia ogni € vale più di 9 milioni il ventaglio indicato acquista alto significato.
La stessa giostra traspare anche dai dati Istat riferiti al 2010 e limitati alle aree Nord-ovest : ( Costo della Funzione n° 1 € 53 / abitante – non viene riferito il costo del Pesonale ); Nord-Est € 47; Centro 54; Sud 45 e Isole 52, con il costo medio nazionale di 50.
Diceva Einaudi che per deliberare bisogna conoscere. Evidentemente il governo non sa che la vera questione non riguarda la dimensione delle Province ma il loro rendimento in termini di costi / ricavi. I costi della Funzione 1 sono esatti al centesimo mentre il ricavo é il servizio ” Direzione e controllo ” uguale per tutte le province.
Ubaldo Muzzatti
L’argomento è e sarà d’ attualità, visto che una vera riforma del “Sistema Stato-Regioni-Autonomie locali” non è stata varata. Dovremo interrogarci
Su quanti livelli istituzionali dovrà essere riorganizzato lo Stato?
Come saranno strutturati gli enti intermedi? E quali le loro funzioni?
Prima di rispondere sarà meglio studiare le soluzioni adottate in Europa.
Io condivido con l’autore la necessità di mantenere un livello istituzionale intermedio tra Comune e Regione. Nutro dei dubbi che la Provincia, come ora strutturata, sia ancora la risposta adeguata. Penso anche che avremo bisogno di un maggior decentramento (dei servizi che restano in capo allo Stato) e una maggiore autonomia nella organizzazione ed erogazione dei servizi che saranno riservati alle Regioni e agli enti di minore estensione: Comuni e intermedio.
Ho approfondito questi aspetti in “DECENTRAMENTO O AUTONOMIA, PER LE REGIONI E GLI ENTI INTERMEDI?” che si può leggere su “VOCE CIVICA”
e direttamente al link:
http://www.vocecivica.com/2013/04/decentramento-o-autonomia-per-le.html
Ubaldo Muzzatti